Capitolo 49

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BEATRICE
Luca mi aveva chiesto di andare a fare colazione prima di andare a scuola, ma io gli avevo detto di no: avevo un gran mal di testa e non avevo voglia di parlare di ciò che era successo sabato, due giorni prima. Anche perché non c'era niente da dire: Andrea aveva scoperto che eravamo scopamici e dovevamo solo sperare che tenesse la bocca chiusa. Mi aveva chiesto di vederci anche domenica, ma avevo promesso a mia madre che saremmo andate a trovare la nonna, così avevo rifiutato.
   Quando poi ci eravamo visti davanti a scuola, ci eravamo lanciati un'occhiata di sfuggita e poi ognuno per la sua strada, perché ero terribilmente a disagio a sapere che Andrea intercettava e comprendeva ogni nostro singolo sguardo.
   Per tutto il giorno non ci eravamo parlati, sfiorati – come a volte accadeva di proposito che mi toccasse il braccio oppure il culo perché sapeva che mi dava fastidio.
Ed era stato così per tutta la settimana, perché continuavo a rifiutare i suoi inviti e lui continuava però a farmeli. La verità era che avevo paura che siccome uno dei suoi amici lo sapeva, le cose tra noi sarebbero finite e in un certo senso non volevo che finisse.
Il venerdì dopo, finalmente ebbi il coraggio di tornare a parlargli e le cose sembrarono tornare abbastanza normali tutto il giorno.
   Dopo la scuola mi invitò a casa sua per dormire ed io ovviamente accettai, dicendo a mia madre che dormivo da Martina.
-Ma tu non la inviti mai qui a casa. – disse mia madre, sulla soglia della mia camera, mentre io mettevo nella borsa la biancheria – nascondendola da lei perché non volevo che Luca vedesse che avevo anche reggiseno e mutandoni della nonna, perciò avevo iniziato a comprare roba un po' più carina – , il pigiama, lo spazzolino, le creme, il cambio per il giorno dopo e la spazzola.
-Sì che la invito. Quando tu non sei a casa viene sempre. – sì, non Martina, ma Luca viene sempre.
-Ah, allora va bene. – se ne andò contenta. Non sopportava di avere senza dare in cambio ed era una cosa che apprezzavo di lei.
Scesi le scale e mi precipitai di sotto perché erano le sei e dovevo andare da lui alle cinque e mezza.
-Mamma, io vado! – le urlai e lei venne prima a darmi un bacino, con un vassoio tutto incartato in mano.
Nooo.
-Tieni, porta da Martina la torta che ho fatto oggi pomeriggio, così la mangiate per cena.-
Se c'era una cosa che non sopportavo era portare il dolce a casa degli altri: sì, era un gesto gentile, ma se poi non veniva bene, come di solito accadeva a mia madre, ci facevo sempre la figura della stupida e dovevo subire i finti complimenti dei miei amici e dei genitori. Era già capitato un sacco di volte che una volta soli, o Martina o Gabriel ammettessero che la torta o i biscotti o qualunque cosa avessi portato era appena commestibile. E a mia madre, quando tornavo a casa, dicevo sempre che era piaciuto tutto e mi avevano riempita di complimenti per lei.
-Va bene, mamma, ora devo andare. – salutai Lilium mandandogli un bacio volante e mi incamminai velocemente per il marciapiede, sperando di non incontrare nessuno.
-Bea! – sentii dietro di me dopo essere arrivata all'incrocio. Oddio, fa che non siano Gabriel o Martina.
Mi voltai lentamente e mi accorsi che era Andrea, ma poi vidi che teneva per mano Giulia e strinsi le labbra.
-Ciao! – forzai un sorriso.
-Dove vai a quest'ora? – mi chiese Giulia innocentemente.
Lanciai un'occhiata ad Andrea e poi risposi: -Ehm... da un'amica di mia madre a portare questa torta...-
Lei mi sorrise e Andrea ammiccò, con la faccia di uno che sapeva, tirandola.
-Andiamo Giulietta, se no fa tardi. – la tirò per la mano e proseguirono dopo avermi salutato.
Almeno non l'aveva detto a Giulia.
    Quando arrivai a casa di Luca, ad aprirmi fu, come spesso accadeva nell'ultimo periodo, sua madre.
-Ciao! Entra! – mi accolse come faceva sempre. Era una donna molto affabile e gentile.
-Buonasera. – risposi. Quando entrai sentii un delizioso odore di carne e mi venne l'acquolina in bocca. –Mia madre ha insistito per portare un torta, ma non le assicuro che si possa mangiare.-
Lei ridacchiò. –Come sei simpatica! Sarà buonissima.
-Non stavo scherzando. – annuii, consapevole di aver fatto una brutta figura dal momento in cui gliel'avevo consegnata.
-Finalmente ce l'hai fatta! – la voce di Luca sulle scale interruppe i nostri discorsi. Sembrava scocciato.
-Sì, eccomi qua. – risposi allo stesso modo.
-Dovevi essere qui tre quarti d'ora fa.
-Luca! Ti sembra il modo? –lo riprese sua madre.
-Che ho detto?! – era già di cattivo umore o era stato il mio ritardo a causarglielo?
Se non ci fosse stata sua madre gli avrei risposto come al solito quando faceva così, ma non volevo sembrare maleducata.
-Allora? Ti muovi o vuoi che ti porti in braccio su per le scale? – continuò ed io lo fulminai con gli occhi.
-Luca! – lo riprese di nuovo sua madre.
-Guarda, se vuoi faccio presto ad uscire da casa tua. –mi voltai verso la porta.
Lui sbuffò, poi sospirò e sembrò calmarsi. –Ti aspetto in camera.- disse solo, prima di scomparire su per le scale.
-Scusalo, ha appena avuto una discussione con suo padre ed è un po' agitato. – mi informò Viola, mortificata.
-Non si preoccupi, sono più o meno abituata ai suoi sbalzi d'umore.-
Lei ridacchiò, con lo stesso sguardo che aveva avuto poco prima Andrea per strada ed io la guardai confusa.
-Mi scusi, ora raggiungo Luca e vedo se si è calmato. – dissi, iniziando a sentirmi in imbarazzo.
-Sì, certo, la cena sarà pronta tra un'oretta, perché devo fare il bagno a Tommaso.-
Mi spuntò un sorriso non appena nominò il suo nome e mentre lei andava in cucina, io salii le scale e bussai alla cameretta di Tommaso per salutarlo.
-Ehi! – il suo volto si aprì in un sorriso non appena mi vide e questo mi riempì di felicità.
-Cosa stai disegnando? – gli chiesi, vedendolo seduto sul tappeto, intento ad osservare qualche scarabocchio su un foglio colorato.
-Devo disegnare un albero, tra poco ci riuscirò. - indicò il figlio.
-Allora ti lascio lavorare. Ci vediamo dopo. – ridacchiai per quanto era tenero e andai alla porta di Luca.
Pensai di bussare, ma poi realizzai che mi stava aspettando, perciò non avrei dovuto.
Quando entrai, lo vidi seduto alla scrivania intento a sfogliare un libro e spalancai gli occhi.
-Che c'è? – mi chiese, vedendo la mia faccia.
Scoppiai a ridere. –Hai in mano un libro?
-Come credi che faccia ad essere così intelligente, scusa? – rispose scocciato.
-Pensavo fossi nato così. Allora sei umano anche tu. –ridacchiai e lui provò a nascondere un sorriso.
-Smettila di mettere il broncio. – andai davanti a lui e gli tirai le guance tra le dita.
Questa volta non riuscì a reprimerlo, il sorriso.
-Ehi! – scoppiò a ridere quando gli mollai le guancia e gli premetti le mani su entrambe le guance, facendo sporgere le labbra in avanti.
Finalmente sembrava essergli passato il cattivo umore. Non gli avrei chiesto di suo padre, come era mia intenzione fare, perché capito che sarebbe diventato di nuovo scontroso.
Ex abrupto mi tirò per le braccia e mi fece sedere sulle sue ginocchia. Uh, non credo lo avesse mai fatto senza uno scopo preciso. Ignorai le regole per una volta e cercai di non mostrarmi troppo sorpresa allacciandogli un braccio dietro il collo.
-E' tutta la settimana che non ci vediamo. – esordì, guardando la sua mano, che non sapeva dove appoggiare.
-Non è vero. A scuola ci vediamo.
-Sai quello che intendo. – rispose serio. Alla fine, quella mano vagante trovò la sua destinazione sulla mia coscia.
-Ho avuto da fare... – sviai.
-Che cosa?
-Non sono affari tuoi.
-Dimmi la verità. Dopo che Andrea l'ha saputo, hai immaginato che le cose sarebbero cambiate e mi hai evitato. – disse quasi in un sussurro. Solo in quel momento mi accorsi della vicinanza: sembrava non dovessimo farci sentire da nessuno, quando nella stanza c'eravamo solo noi.
-Come fai a saperlo? – sussultai.
-Perché l'ho pensato anch'io, ma poi ho realizzato che se ci fossimo entrambi evitati era logico che sarebbe cambiato tutto. – rispose  ancora bisbigliando; secondo me non se ne rendeva nemmeno conto.
-E le cose sono cambiate? – cominciai a sussurrare involontariamente anch'io.
-Dipende. Tu vuoi che cambino? -
Scossi lentamente la testa, incantata a guardarlo negli occhi. – Non credo.
-Bene, allora. Ti dispiace che Andrea lo sappia?
-Penso di sì. Ora mi considererà una poco di buono, come avevo anticipato.
-No, non credo. – scosse la testa e sembrò quasi essersi incantato anche lui.
Ci stavamo avvicinando così tanto l'uno all'altra che non me ne resi conto finché i nostri nasi si sfiorarono.
Il suo sguardo vagò sulle mie labbra e per un secondo mi tornò in mente l'immagine di noi due in quel vicolo a Venezia.
Avevo una voglia di baciarlo...
E lo stavo per fare, ma un secondo dopo, lui si allontanò di scatto.
-Non dobbiamo baciarci più, ricordi? – disse ancora in un sussurrò ed io tornai in me annuendo.
Mi mossi per sistemarmi meglio, e sentii la sua erezione attraverso i pantaloni.
Lo guardai in imbarazzo –ancora non mi ero abituata al fatto che potessi fargli questo effetto – e lui mi sorrise impertinente.
-Sì, anch'io ne ho voglia. – risposi sentendomi audace.
Il suo sorriso si accentuò ancora di più e fece per togliermi la maglia, ma io mi alzai e lo bloccai.
-Che c'è? – mi chiese, come un bambino.
-Ci sono tua madre e tuo fratello.
-E allora? Mia madre sta facendo il bagno a mio fratello e abbiamo un po' meno di un'ora prima di cena. – si alzò anche lui.
-E se entrano? Già in troppi mi hanno vista nuda o seminuda.-
Lui ridacchiò e andò verso la porta, dandogli un giro di chiave.
-Fatto. – mi si avvicinò e mi spinse sul letto.
Mi tolse velocemente la camicetta e i pantaloni e mi osservò in biancheria per un attimo. Mi imbarazzai subito, pensando fissasse qualche difetto del mio corpo.
-Da quando hai iniziato ad indossare biancheria sexy? – domandò retoricamente ed io potei tirare un sospiro di sollievo.
-Da un po'. –sorrisi.
-Guarda che mi mancano le mutande con le margherite, eh.- scherzò.
-Ti avevo detto che non le avresti mai più viste. – scherzai anch'io, ricordando cosa gli avevo detto un sacco di tempo fa.
Lui scoppiò a ridere. –Non credo intendessi in quel senso, ma a me va bene anche così, anzi... – le accarezzò per un secondo, poi me le tolse.
Mi sbrigai a togliere il reggiseno mentre lui si toglieva i pantaloni della tuta che usava sempre a casa e la maglietta.
Restai a fissarlo ammirando la sua accentuata virilità finché si sdraiò per metà su di me, solo in boxer e mi osservò per un momento.
-In questo momento ho una gran voglia di baciarti dappertutto, ma anche questo non si può fare, vero? – sussurrò ancora, fissandomi il ventre e poi il collo.
Dovetti sforzarmi per scuotere la testa e biascicare un no.
Le nostre intimità erano già in contatto e in quel momento non riuscivo a pensare ad altro.
Strappò il preservativo che aveva preso e se lo infilò dopo essersi tolto i boxer.
Fissò il mio corpo per un'altra volta prima di entrare dentro di me con una spinta.
Sospirai per quanto mi era mancato –una settimana era tantissimo, da quel punto di vista – e appoggiai le mani sulle sue spalle.
Andai incontro ai suoi fianchi e lui guardò il mio seno, toccandolo.
Evitavamo di guardarci perché se no ci saremmo baciati, ma era assai difficile non farlo. Chiusi gli occhi, godendomi quella sensazione, che però non era così forte come quando anche le nostre labbra erano in contatto, oltre al resto del nostro corpo.
Gemette quando gli allacciai le gambe attorno ai fianchi e affondò il viso nel mio collo. Le sue labbra erano in contatto con la mia pelle e capivo che stava facendo uno sforzo per non baciarla, dal fatto che ogni volta che le schiudeva, poi si allontanava.
-Luca... – mi ritrovai a gemere e lui si sollevò.
Nel momento in cui i nostri occhi si incastrarono sentii una fitta allo stomaco. Una sensazione fortissima, un calore lancinante che quasi mi fece stare male. Mi spaventai tantissimo e spalancai gli occhi, poi li chiusi. Era durata solo due secondi.
-Non guardarmi così. – dissi di getto, tra un gemito e l'altro.
-Cazzo. – quando li riaprii, vidi che anche lui aveva gli occhi sbarrati. Che avesse sentito quella sensazione anche lui? No, dubitai. Era solo una cosa mia che sarebbe passata in un secondo.  –Così come?- mi chiese, sospirando più volte.
-Non lo so. Non guardarmi negli occhi. – risposi, con un tono più agitato di quanto avrei voluto.
Luca non rispose e si limitò a riaffondare il viso nel mio collo, ma questa volta non mi sfiorò.
Continuammo più a lungo delle altre volte, fino a quando non lo sentii irrigidirsi e a catena lo feci anch'io. Solitamente ci baciavamo per sopprimere i gemiti, ma non avremmo potuto farlo. Proprio quando sua madre e suo fratello erano in giro per casa.
Perciò affondai le unghie nelle sue spalle e strinsi le labbra, mentre Luca schiacciò le sue contro il mio collo per non gridare.
Non appena il suo respiro si fu placato, si alzò senza nemmeno guardarmi e andò in bagno.
Io rimasi a guardare il soffitto e mi toccai il ventre. Non sembrava essere stato un mal di pancia. Non l'avevo mai provato prima e non sapevo se fosse una bella o una cattiva sensazione.
Guardai l'orologio ed iniziai a rivestirmi quando sentii lo scrosciare dell'acqua in bagno. Erano passati venti minuti. Non era mai capitato che durasse così tanto senza che nessuno dei due venisse prima. E non credo fosse un bene.
Sì, era stato bello, ma non bellissimo come le altre volte. Dovevo associare la causa al fatto che non ci eravamo riempiti di baci come le altre volte?
O forse era proprio cambiato qualcosa?
Il solo pensiero mi fece andare nel panico: forse non era piaciuto come le altre volte anche a Luca e aveva intenzione di finire tutto?
  Quando uscì dal bagno, non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi, perciò proseguii ad infilarmi i pantaloni neri e la camicetta.
Quando constatai, senza guardarlo negli occhi, che fu completamente vestito con il pigiama – con i coniglietti – , gli chiesi, facendo finta di osservare il cellulare: -Andiamo di sotto?
-Mmm-mmm. – rispose, precedendomi nell'aprire la porta e scendere le scale.
Nell'andare di sotto incontrai per la strada Tommaso con un adorabile accappatoio verde da coccodrillo con il cappuccio e il sorriso mi tornò.
-Ciao. – lo salutai retoricamente.
-Vuoi vedere il disegno che ho fatto? – mi domandò, e gli occhi gli si illuminarono.
-Se prima ti vesti lo guarda volentieri. – intervenne Viola, uscendo dal bagno tutta rossa. Probabilmente suo figlio l'aveva fatta dannare talmente tanto da dover fare una doccia anche lei.
Ridacchiai e annuii. –Sì, quando ti sei vestito, vieni in salotto e me lo fai vedere.-
Lui corse immediatamente in camera sua ed io scesi le scale.
Non vidi Luca da nessuna parte e pensai fosse in cucina, ma non volevo raggiungerlo. Penso che avrei avuto per sempre paura di guardarlo ancora negli occhi per paura di sentire quella sensazione dolorosa.
Mi sedetti sul divano e aspettai in silenzio che Tommaso scendesse.
Lo fece dopo sette minuti, in cui io fissai l'orologio secondo per secondo, con quattro fogli in mano.
-Hai fatto prestissimo! – gli dissi, non appena si buttò sul divano accanto a me.
-Sarebbe stato pronto anche prima se non avesse messo tutti i vesti al contrario, compresi i calzini. – commentò sua madre, in tono divertito, mentre andava in cucina per preparare la cena.
-Dov'è Luca? – mi chiese.
-Non è in cucina?
-No.
-Allora sarà tornato in camera. – risposi. Non mi sembrava, ma probabilmente era così.
-Guarda. –Tommy mi piazzò davanti i quattro fogli sul tavolino davanti al divano.
In ogni foglio c'era un albero in ogni stagione: primavera con le foglie verdi e i germogli, estate con i fiori, autunno con poche foglie arancioni e inverno senza foglie con la neve azzurra pastello.
-Ma sei bravissimo! – esclamai. E lo pensavo veramente. A cinque anni non mi sarebbe mai venuto in mente di disegnare e per giunta così bene le quattro stagioni.
-Davvero? – un sorriso gli illuminò il volto quando lo elogia.
-Davvero. Io alla tua età non sapevo nemmeno disegnare un fiore fatto bene. -
Tommy mi abbracciò e mi spiegò dettagliatamente come li aveva disegnati, quali colori aveva usato e come gli era venuta l'idea.
A metà spiegazione, Viola gridò dalla cucina che era pronta la cena e ci precipitammo in fretta a tavola.
-Vai a chiamare Luca, per favore? – mi domandò.
Andai di sopra, ma sia la camera che il bagno erano vuoti.
-Non so dove sia. – constatai tornando in cucina.
Viola ci pensò su e poi mi disse di provare in giardino.
Aprii la portafinestra del soggiorno che dava sul giardino ed effettivamente trovai Luca a dondolarsi sulla grande sedia a dondolo al buio. Sembrava anche una scena abbastanza inquietante...
-E' pronta la cena. – gli dissi avvicinandomi. Tanto era buio, perciò non ci sarebbe stato pericolo di incontrare i suoi occhi.
-Arrivo.
-Perché eri qua fuori?
-Avevo bisogno di prendere una boccata d'aria.
-Dovuto a cosa?
-Non lo so. Non mi sentivo bene. Avevo un forte dolore alla pancia, ma non quello solito. –Oddio, l'aveva provato anche lui, allora?! - Devo aver mangiato qualcosa che non mi ha fatto bene. –concluse.
Mi sedetti accanto a lui, anche se sua madre mi aveva mandato per chiamarlo a cena. –A volte dovremmo domandarci cosa abbiamo provato, non cosa abbiamo mangiato. Sai che le emozioni sono tutte nella pancia? – citai la psicologa delle medie che mi aveva seguito nel periodo in cui era morto mio padre e che con questa frase mi aveva fatto capire l'origine dei mal di pancia che mi facevano stare così male una volta finito di piangere o quando andavo nel panico.
-No, non credo sia così, Bea. – rispose e guardò i suoi piedi.
-Beh, dove si sentono le farfalle, di solito?
-Nello stomaco.
-E il piacevole fastidio di quando la persona che ci piace ci sfiora?
-Nella pancia.
-Esatto. E tu cos'hai provato in quel momento?-
Volevo che me lo dicesse senza che dovessi dirgli di averlo provato anch'io: in questo modo avrei forse capito cos'era senza allarmare me e lui.
Rimase un secondo in silenzio.
-Io... non ne ho idea... stavamo facendo sesso e... d'un tratto ho provato una strana sensazione e...- si fermò.
-E ti è piaciuta?
-Non ne ho idea. È stata talmente strana che non so se sia stata una cosa piacevole o meno.
-E vorresti riprovarla?- domandai deglutendo: era la stessa identica cosa che avevo pensato anch'io, ma era chiaro che non l'aveva associato, come avevo fatto io, al momento in cui ci eravamo guardati negli occhi.
-Io... credo di sì.- sospirò.
Mi alzai in piedi. –Ci aspettano a cena. – mi incamminai verso la porta.
Forse quella conversazione mi aveva messo ancora più ansia di quanta non ne avessi già.
-E quindi cos'abbiamo concluso? – mi chiese, seguendomi. Aveva un tono strano: sembrava timido.
-Devi capire perché hai provato quelle cose. – gli dissi attraversando il salotto.
-E come faccio?
-Quando lo scopro, te lo dico. – risposi, riferita in primis a me stessa.

Per quasi tutta la cena, c'era stato un silenzio imbarazzante e io continuavo ad evitare lo sguardo di Luca anche quando mi chiedeva di passargli l'acqua o il sale.
La situazione si animò un po' quando io e sua madre iniziammo a conversare di argomenti interessanti e mi distrassi un po' perché dovevo concentrarmi per non dire cavolate e fare brutte figure.
Alla fine della cena ero molto più a mio agio e quando arrivò il momento di testare la torta non mi sentivo nemmeno così preoccupata.
La servì in tavola e dovevo ammettere che a occhio sembrava buona: gialla, con una spolverata di zucchero a velo sopra; si chiamava Torta magica.
Tommy volle essere il primo ad assaggiarla e quando morse il primo pezzo mi preoccupai, poi lo vidi sorridere e annuire e mangiai il mio.
Okay, non avevo mai mangiato una torta così buona.
-Tua madre è bravissima! Falle i complimenti da parte nostra! – esclamò Viola.
Non me l'aspettavo assolutamente e dovevo ammettere che in quel momento mi sentii così fiera di mia madre che per poco non scoppiai a piangere.
Luca, che era stato silenzioso e assente per tutta la cena, sorrise appena e ne tagliò altri due pezzi per divorarli.
In quattro avevamo finito tutta la torta in soli venti minuti. Wow.
Ci alzammo da tavola quando furono le nove di sera ed io augurai la buonanotte a Tommy, che per ordine della madre dovette andare a letto.
-Se voi volete andare a guardare la tv, mentre io finisco di sparecchiare... – ci incitò Viola.
Senza chiedere conferma a Luca, mi indirizzai in salotto e mi sedetti sul divano. Lui si sedette ad un metro e mezzo da me.
Meglio, pensai.
-Cosa ti va di vedere?
-Fai tu. – risposi giocherellando con i bottoni della mia camicetta.
Fece zapping per un tempo interminabile e alla fine si fermò su un canale in cui c'era un film con tanto sangue.
Anche se mi faceva schifo, non volevo né lamentarmi, né avvicinarmi per coprirmi gli occhi con il suo braccio. Mi dovetti arrangiare, portando la mente altrove fino alla fine del film.
Proprio mentre c'erano i titoli di coda, Viola uscì dalla cucina e venne verso di noi sorridente. Poi osservò la distanza che c'era tra me e suo figlio e il suo sorriso scemò in un'espressione confusa.
-Io vado a dormire. Voi state pure quanto volete. – disse.
Mi alzai stiracchiandomi. –Veramente il film è appena finito. Credo che andrò a dormire anch'io.-
Luca si diresse in silenzio verso le scale ed io e sua madre lo seguimmo.
-Buonanotte. – le dissi, mentre stava entrando nella sua stanza.
-Buonanotte anche a voi due. – forzò un sorriso. Ovviamente pensava che avessimo litigato.
   Arrivata in camera di Luca, mi spogliai in fretta e indossai il pigiama, mettendomi sotto le coperte.
Mentre lui era in bagno, mi venne in mente la lista come un flash e accesi l'abat-jour sul comodino tirando fuori la lista e un pennarello dal cassetto.
Cominciai a scrivere "Non dormire abbracciati".
-Che fai? – mi chiese Luca, uscito dal bagno e io continuai a scrivere.
-Aggiungo dei punti. – risposi. "Niente baci".
Salì sul letto e mi avvicinò di molto a me, per vedere che cosa scrivevo.
"Non guardarsi negli occhi durante il sesso".
-In che senso? – chiese e il suo respiro mi colpi la spalla. Faceva un profumo buonissimo quando si muoveva e mi veniva più vicino.
-Nel vero senso della frase.
-Non posso guardarti negli occhi?
-Luca, non capisci che questo è il mot... – bussarono alla porta e dovetti interrompermi.
-Avanti. –disse Luca.
Viola aprì leggermente la porta forse per prima accertarsi che non fossimo in situazioni ambigue e imbarazzanti.
-Che c'è? – chiese secco.
-Volevo chiedere a Beatrice se aveva freddo. – mi guardò sinceramente premurosa.
-No, grazie, sto benissimo con questa coperta, stia tranquilla. – la rassicurai e lei sorrise.
-Allora buonanotte.
-Buonanotte. – dicemmo in coro io e Luca e lei chiuse di nuovo la porta.
Sospirando, misi via il foglio e mi sdraiai, spegnendo la lampadina.
Nel buio, dopo un po', sentii Luca muoversi.
-Ma... ti è piaciuto?- sussurrò all'improvviso.
Sapevo che si riferiva al sesso.
-Sì...
-Ma? – sembrò leggermi nel pensiero.
-Non è stato come le altre volte...
-Sono d'accordo. Cosa dobbiamo fare?  - sospirò.
-Continuare così. Penso sia la cosa più giusta perché tutto possa funzionare e non ci siano conseguenze. – conclusi e lui non rispose.

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