Capitolo 19

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Il giovedì dell'uscita alla casa abbandonata arrivò in fretta: le giornate passarono veloci, senza intoppi, senza che Beatrice mi rivolgesse la parola e senza un suo minimo contatto.
L'avevo fatta arrabbiare, ancora non sapevo come, ma l'avevo fatta arrabbiare molto. Era la seconda volta che la facevo piangere, anche se la prima non la ricordavo.
Forse era stato per il fatto che l'avevo baciata. Era sbagliato, non dovevo farlo, lo sapevo, ma non ero riuscito ad evitarlo: tutto è iniziato quando ci siamo abbracciati e ho sentito il suo profumo, riconducendolo subito alle lenzuola di cui erano impregnate il giorno prima; quando mi ha chiesto se poteva aiutarmi a slacciare i pantaloni, stavo lentamente per esplodere, poi è iniziata la tortura dei bottoni e della lampo, dopo mi aveva sfiorato e infine, quando mi aveva strappato il ghiaccio di mano per mettermelo più in basso, lì non ce l'avevo più fatta a resistere.
Forse era stato per il fatto che i professori ci avevano scoperto, il che era molto probabile, ma non lo avrei mai saputo, visto che in quei pochi giorni Beatrice mi aveva dimostrato che poteva stare senza parlarmi o avvicinarsi a me senza fatica fino alla maturità. Lei poteva, io non ne ero sicuro, dato che ero ancora li a pensarci. Perché Gabriel doveva essere innamorato proprio di lei? Non poteva esserlo di Martina? E a baratro e sembrava non dare fastidio il fatto che lui la difendesse apertamente, dichiarando in modo implicito i suoi sentimenti.
Camminando verso la zona più esterna e abbandonata del paese, cercai di non pensare a lei, ora in macchina con Andrea, Giulia, Martina e Gabriel. Gabriel e Beatrice insieme nella stessa macchina. Giulia era sicuramente davanti, perciò loro due erano seduti dietro. Gabriel forse si era messo in mezzo, così le sfiorava il ginocchio e la spalla, magari l'aveva presa tra le braccia e le stava dando dei baci tra i capelli, gli stessi capelli che profumavano di un profumo estasiante. Ma che cazzo...? Ero geloso? Ma no di certo!
-senti ma... Tu te la faresti Beatrice? -ed ecco quel coglione di Francesco che saltava su con tutte le sue assurdità su di lei. Aveva proprio un'ossessione e a questo Gabriel non piaceva. Ma ora Gabriel non c'era, perciò toccava a me difenderla: lo facevo solo per il mio amico in quel momento assente.
-ma che cazzo di domanda è? !- la mia voce stridette.
-è una domanda normalissima. Quando l'altro giorno ti ho chiesto se ti saresti fatto Letizia di 2 E mi hai pure risposto.- mi guardò palesemente confusi.
-e tu te la faresti?
-oh, tutti i giorni!- e fece quella faccia da finto post-orgasmo, che mi fece stringere i pugni.
-ma ti sei preso una cotta per lei, per caso? - indagai.
-una cotta no... Direi più che mi si drizza appena la vedo. -rise. A chi lo diceva.
-devi stare lontano da lei, Fre.
Mi guardò confuso. -perché, scusa?
-lei non deve soffrire...probabilmente è ancora vergine... -MOLTO probabilmente, avrei voluto dire - e non credo ci starebbe ad essere solo una scopata. -parlavo proprio io che glielo avevo pure chiesto.
-e tu che ne sai? Ancora meglio se è vergine.
-le faresti del male
-Ehi, ci sono fare, non è che la sfondo!
-non hai pazienza.
-ma che cazzo ne sai? Mi hai visto mentre scopo, per caso?
-no, certo che no, ma immagino che tu non sia un tipo paziente.
-perché tu si? Sei mai stato con una vergine? Io non credo che le ragazze che ti scopi siano vergini, altrimenti non te le scoperesti e siccome non sei mai stato fidanzato, se non alle elementari, penso proprio di no.
-E... E tu che ne sai? Io ci sono stato una volta...- la voce si abbassò leggermente: non sapevo perché, ma parlare di quando avevo fatto sesso con Beatrice, con qualcuno che non fosse lei, non mi metteva a mio agio.. Come se fosse una cosa personale.
-ah si? E com'è stato?
-fantastico.- dissi di getto, prima di pensarci.
Scoppiò a ridere -Luca Mercuri che fa perdere la verginità ad una ragazza e poi dice che è fantastico. Wow! -fece una pausa, per riflettere. -la conosco? Perché se dici che è stato fantastico...
Lo interruppi prima che potesse continuare e dire qualche cazzate -tu non te la scopi anche se io te lo dicessi. Non ci pensare neanche.
-perché?
-te l'ho detto. Non avresti pazienza: ci vuole un po' di tempo per farle adattare e non iniziare a scopartela come se non ci fosse un domani, come faresti con chiunque altra. Inoltre, se ti dice 'basta' tu devi fermarti subito, prima di non riuscire più a farlo e scommetto che tu non ne saresti capace.
-dai, non sono mai stato con ragazze vergini, ma, ehi, sono umano.-
-beh...- una scusa al più presto, Luca, coraggio, pensa! -a Gabriel non piacerebbe che tu ti facessi Bea.
-e tutti devono aspettare che Gabriel si faccia avanti? Si vede lontano un miglio che è cotto. Ma se non si da' una mossa, Beatrice resterà vergine fino a quarant'anni!
-E tu lasciala così- se solo avesse saputo che io le avevo fatto perdere la verginità e che Gabriel non ne aveva idea...se un giorno si fossero messi insieme non avrei osato essere nei paraggi quando Beatrice avesse detto a Gabriel che aveva già perso la verginità, per giunta a causa mia...
Francesco sbuffò poco convinto, come per dire 'tanto ci provo lo stesso' e io non tirai più fuori l'argomento, perché non avevo la minima intenzione di peggiorare la cosa e incoraggiarlo involontariamente a provarci con Beatrice.
-quanto manca?- chiesi, stanco di camminare al buio.
-Andrea mi ha detto che è proprio dietro quella curva.- indicò la strada davanti a noi.
Infatti, dopo altri cinque minuti di cammino, arrivammo davanti ad un cancello arrugginito e socchiuso, che circondava, assieme ad una siepe altissima, una casa in rovina ricoperta di edere rampicanti.
Accanto al cancello, nello spiazzo di prato, si trovava la macchina rossa di Andrea e i nostri amici.
Alcuni avevano portato coperte pesanti di lana, altri teli enormi da picnic e altri ancora bevande calde, come il tè e il caffè e biscotti.
-Ce l'avete fatta!- esclamò Beatrice, alzando gli occhi, scocciata.
-tu non hai dovuto fare un chilometro e mezzo a piedi, cara.- le risposi con lo stesso tono e questo la fece alterare ancora di più. Mi fissò per qualche secondo senza dire niente, come se volesse trucidarmi con gli occhi e poi distolse lo sguardo incamminandosi accanto a Martina verso il cancello socchiuso.
-Non trattarla così- mi sussurrò Gabriel all'orecchio, tirandomi uno schiaffetto sulla nuca.
-ahi! - imprecai -Così come?
-non usare quel tono. In questo periodo è molto suscettibile. Credo abbia le sue cose. - disse sottovoce.
-e chi gliele ruba! -iniziai a ridere, ma fui subito interrotto da lui:-questa battuta è vecchia come questa casa... Cammina- scosse la testa e indicò il cancello dal quale erano già entrati tutti.
Ci fermammo nello spiazzo di prato davanti alla casa e la guardammo attentamente: da quel poco che si poteva vedere grazie al chiarore della luna, era veramente inquietante.
-allora? Cosa facciamo? -chiese Giulia, stringendo il braccio di Andrea.
-ora stendiamo i teli da picnic e ci sediamo, tesoro.-le rispose il suo ragazzo, mettendole il braccio attorno alla vita. Quel gesto mi provocò una sensazione strana, facendomi deglutire, come se avessi voluto anch'io una ragazza con cui farlo; cosa alquanto strana riferita a me.
Ci posizionammo esattamente davanti alla casa e noi maschi stendemmo i teli, mentre le ragazze tiravano fuori le coperte di lana e la roba da bere e da mangiare.
Ci sedemmo in cerchio, ed io, a mio rischio e pericolo, mi sedetti accanto a Beatrice. Per evitare che Francesco si sedesse accanto a lei, mi dissi.
Appena mi sistemai alla sua sinistra, smise di ridere per qualcosa che aveva detto Martina e mi rivolse lo sguardo truce di prima, ma non si ostinò comunque a rivolgermi la parola.
Stendemmo le pensanti coperte, regalando a tutti un enorme sollievo dal freddo, siccome eravamo tutti vestiti solo con felpe e non giubbotti.
Poi fu il momento di posizionare al centro il cibo e le bevande, per arrivare al punto in cui Andrea disse:
-ora è arrivato il momento dei tradizionali racconti di Paura.- e tutti si misero a ridere e fischiare, compreso me, tranne Martina e Beatrice. Mi sporsi verso di lei, ma sembrò percepirlo, poiché si sporse in avanti a prendere un biscotto dal sacchetto. Mi ritirai frustrato e volsi lo sguardo verso Andrea.
-Questa casa, come tutti quelli che abitano nel paese sanno, è molto antica e cela dei misteri inspiegabili.- iniziò, una volta che si fu assicurato che tutti prestassero attenzione. -ci furono diverse generazioni di una famiglia inglese che abitarono questa casa; le prime impararono a vivere con i fantasmi buoni dei propri avi, ma le ultime due sembrarono non riuscirci dato che i fantasmi che dimoravano nella casa sembrarono diventare demòni.- fece una pausa lunga e intensa, in cui guardava tutti noi. Beatrice mise le mani sotto la coperta; Martina sgranocchiava biscotti nervosamente e Gabriel si girava continuamente forse per vedere se avesse qualcuno alle spalle.
Andrea riprese a parlare. -la terzultima generazione che abitò in questa enorme casa, aveva dei bambini: due gemelli, un maschio e una femmina di circa nove anni...
Fece per continuare, ma fu interrotto: -bambini, ovviamente!- sbuffò nervosa e la sentii rabbrividire. Tutti la guardammo zittendola con lo sguardo.
Quando Andrea si fu rassicurato che tenesse la bocca chiusa, riprese:- un pomeriggio, mentre erano fuori a giocare su quelle altalene,- indicò un punto del giardino lontano da noi, non visibile per la scarsa luce - sentirono dei rumori forti provenienti dalla botola accanto alla casa, sempre presente nelle case antiche; smisero di giocare e si avvicinarono cautamente. - fece una breve pausa per creare suspense. Il bambino, più coraggioso, aprì la botola incavata, ma dentro vi trovò solo una scala che portava nel buio... D'un tratto, quando la bambina si girò, vide la palla rotolare, rotolare da sola: non tirava un filo di vento. Rotolò fino alla botola aperta e con un tonfo sordo cadde dentro, come se non fosse stata una palla di gomma ma un macigno di pietra...- ci fu un'altra pausa e, per quanto quella storia non mi potesse fare la minima paura, il modo in cui Andrea la raccontava, inquietava e non poco.-il bambino si sporse per vedere meglio dentro la botola e, come se fosse stato spinto da qualcuno dietro di lui, cadde dentro.- sotto alla pesante coperta di lana, Beatrice mi afferrò di botto la mano. Sgranai gli occhi e un formicolio partì dalla mano lungo tutto il braccio. Non avevo il coraggio di girarmi nella sua direzione. Sapevo che era stato un gesto fatto solamente perché aveva paura della storia, ma per me era stato... Strano. E poi intrecciò le dita con le mie e io provai una sensazione tanto strana da fare male.
Andrea proseguì e io pensi l'ultima parte della storia, non capendo praticamente niente di quello che diceva: continuavo a pensare al contatto della sua mano calda e liscia. Mi strinse di più la mano- forse  ma non tanto da farmi male, perché la sua era abbastanza piccolina rispetto alla mia. Dovevo girarmi e guardarla.
Con un po' di coraggio, mi voltai lentamente e la scorsi a fissare Andrea con occhi sbarrati, come se le avesse appena detto che quei due bambini erano dietro di lei. Eravamo così seduti vicini che un ginocchio toccava il suo, perciò nessuno si era accordo che mi aveva preso la mano.
Non si era nemmeno accorta di avermela stretta.
Poi lei si girò, forse sentendosi osservata, e mi chiese con gli occhi perché la fissassi; prima che potessi risponderle, lei abbassò lo sguardo lentamente e io sperai che non si staccasse: era una sensazione troppo... Bella.
Quando portò lo sguardo sulle nostre mani coperte dalla lana, la sentii muovere la mano nella mia, muovere le dita sul dorso della mia mano e poi accarezzarlo con il pollice per qualche istante, come a capacitarsi che me la stesse stringendo. Nonostante la bassa luce della luna, la vidi arrossire. Imbarazzata, ritrasse la mano come se fosse stato scottata e rivolse nuovamente lo sguardo ad Andrea- ancora impegnato con la fine della storia-, mentre io rimasi a fissarla.
Non andava bene quello che stavo provando: freddo; freddo improvviso alla mano che aveva appena lasciato.
-E così la gemella, un anno dopo, uccise tutti i parenti che abitarono nella villa. -quando Andrea concluse, ci fu un silenzio tombale: tutti lo fissavano esterrefatti, mentre io mi guardavo attorno e cercavo di ricollegare i fatti; dov'era finito il bambino? Era uscito? E la sorella? Perché non l'ha salvato? Perché ha ucciso i familiari?
-quindi la sorella ora sta ancora dentro la casa? -chiese Francesco, deglutendo.
-si dice che sia morta per solitudine, ma alcuni dicono che si sia suicidata in un altro momento di pazzia. Non è mai stato ritrovato il suo corpo, nemmeno il suo scheletro, ma quelli che hanno cercato di vivere in questa casa sentivano un forte odore di un corpo in putrefazione tutte le notti ad un'ora precisa.
Beatrice ebbe un brivido e io dovetti reprimere l'istinto di metterle un braccio attorno alle spalle e attirarla a me.
-bene. -esordì Andrea, dopo un ennesimo momento di silenzio.- è arrivato il momento...- venne interrogo da Martina.
-Oh no... -disse lentamente scuotendo la testa. - non vorrai entrare!
-cosa? - strillò stridula Beatrice.
-oh andiamo, non avrete paura?- disse Francesco, tronfio.
-Ma sentilo! Sarai il primo a fartela nei pantaloni!- rimbeccai, siccome quel suo modo di fare l'invincibile mi faceva perdere la calma.
-tu pensa a te, che mentre lui raccontava la storia, avevi un'espressione da femminuccia... Mi è parso addirittura di sentirti strillare! - rise, prendendomi in giro. Gli lanciai un'occhiataccia di fuoco, sperando che venisse la bambina della storia ad ucciderlo sul posto.
-Amore, io non voglio entrare..- si lamentò Giulia.
-Ehi, ci sono io, non potrà succederti niente.- la rassicurò Andrea.

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