Capitolo 25

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                 BEATRICE

-Potete sistemarli qua - ci disse Andrea, non appena entrammo in casa sua.
Ebbe sì, erano già passati due giorni e praticamente, nella noiosa noia, erano volati. Non era successo niente di interessante: zero interrogazioni, tanti compiti e nessun passo avanti con Luca. Dopo quella telefonata c'era ancora più imbarazzo tra di noi: credo che volesse scordare le brevi e belle frasi che mi aveva confessato, forse sperava che non ci dessi peso, ma da parte mia non era così facile; continuavo a pensare e ripensare al fatto che mi trovasse bella. So che era una cosa da poco, ma per me era molto, dopo i "complimenti" negativi che mi aveva fatto in passato. Da due giorni non ci parlavamo nemmeno per le cose essenziali e di estrema necessità, come la gomma o il temperino; anzi, io, piuttosto, lo chiedevo ad uno dall'altra parte della classe e lui, d'altronde, faceva lo stesso.
Martina ed io appoggiamo nell'ampio soggiorno il sacco a pelo e la borsa con dentro il necessario per la notte e raggiungemmo gli altri in cucina.
Non seppi il perché, ma, prima di andarci, cercai di individuare con lo sguardo lo zaino di Luca tra tutti gli altri. Di fianco alla mia roba c'era quella di Martina e, forse di Francesco. Erano tutti disposti in cerchio, ma non riuscii a riconoscere quello di Luca.
Prima che potessi anche solo ragionarci su, Martina mi trascinò via.
-Ehi! - ci salutò Gabriel, seduto al tavolo della cucina. Eravamo le ultime arrivate, come al solito.
C'erano già tutti: Giulia, Francesco, Luca, Gabriel e il cugino di Andrea, Antonio, con la sua ragazza, Chiara; purtroppo loro erano più piccoli di noi di qualche anno, perciò si sarebbero sentiti forse a disagio, ma avevano un'aria amichevole.
-E anche questa volta sei arrivata venti minuti dopo! - esclamò Francesco sorridente, rivolto a me.
-Guarda che oggi è stata colpa di Martina che doveva decidere quale pigiama prendere. -sorrisi.
Mi andai a sedere accanto a Gabriel e lui mi pizzicò una guancia, salutandomi. Gli sorrisi sinceramente e mi guardai intorno. Era pomeriggio, esattamente l'ora della merende, per cui sul tavolo erano sparsi vassoi di biscotti, pasticcini e altre cose che sicuramente aveva preparato la madre di Andrea, un'ottima cuoca.
Repressi l'istinto di guardare di fronte a me, dove era seduto Luca e mi fiondai sui biscotti al miele; ne divorai almeno cinque, prima di passare alle pizzette.
Si, si, so che si dovrebbe mangiare prima il salato e poi il dolce, ma io non seguo un filo logico, alle volte. E poi mi lamento perché non mi vedo bene allo specchio...
Andrea passò con del tè freddo fatto in casa e poi con un'altra caraffa di quello caldo, di cui io presi un bicchiere. Amavo il tè, come avevo già potuto dimostrare.
Ridemmo e scherzammo come a tutte le comuni feste -anche se quella era più che altro un compleanno intimo tra pochi amici - e ci divertimmo talmente tanto che, arrivati ad un punto non ricordo per quale stronzata detta, finimmo per non riuscire quasi più a respirare dal ridere, tutti.
Cercai di ignorare Luca per tutto il tempo, e devo dire che ci riuscii straordinariamente. Forse l'infatuazione stava per finire. Dovevamo solo stare lontani.
Il cugino di Andrea si era dimostrato divertentissimo, infatti non aveva mai smesso di raccontarci barzellette o fare battute ironiche pertinenti e non troppo invadenti.
Ridemmo tutti per l'ultima barzelletta che aveva detto e Andrea fece un altro giro di bevande, questa volta con il succo di pompelmo.
Mi maledissi mentalmente per non essere riuscita a fermare le mie corde vocali quando Andrea stava per versare del succo di frutta nel bicchiere di Luca.
-No, a lui non piace. - esordii, continuando a ridere, ma quando Andrea mi guardò confuso e Luca alzò di scatto lo sguardo verso di me, divenendo serio, smisi di ridere anch'io.
-Oh. - annuì piano, Andrea, con ancora la caraffa sospesa vicino al bicchiere. Ma insomma, in tanti anni di amicizia non sapeva che non gli piaceva il succo?
-No, è che... cioè, me l'ha detto... una volta... tempo fa... così... - balbettai e sperai che Antonio stesse raccontando un'altra barzelletta, perché non capivo cosa stava succedendo attorno a me: ero troppo concentrata e contenere il rossore e a trovare una scusa più plausibile del "me l'ha detto una volta".
Luca continuava a fissarmi e, anche se piccolissimo, minuscolo, macrometrico, riuscii a scorgere un sorriso sulla sua bocca. Era contento che lo ricordassi? Non è un dettaglio del tipo "mi ricordo il colore dei tuoi boxer della seconda volta in cui abbiamo fatto sesso"- erano blu scuro, comunque.
-Beh, non lo sapevo... allora cosa vuoi, Luca? - Andrea era ancora confuso, ma forse aveva visto il mio imbarazzo e decise di lasciar perdere.
-Mi va bene ancora il tè, grazie. - sorrise, ma di un sorriso strano.
Quando mi guardai attorno mi rassicurai del fatto che tutti erano presi da una nuova barzelletta di Antonio, così ebbi il tempo di rivolgere un'occhiata a Luca, che stava aspettando che lo guardassi.
Scosse la testa e poi mimò "ma sei pazza?"
"scusa, non ci ho pensato", mimai anch'io. Non era poi una cosa da tanto: poteva avermelo detto anche quando eravamo a scuola, in una conversazione normalissima!
"A momenti ci scoprivano", disse ancora solo con le labbra.
E quasi mi persi nel guardarle muoversi. Come quando mi baciava...
Basta.
Mi infastidii e non poco. "Stai calmo!"
Lui sbuffò e non rispose, tornando a guardare tutti all'infuori di me.
   Ascoltai la barzelletta successiva, perché ormai quella l'avevo persa, e mi costrinsi a non mangiare più, perché alle otto e mezza avremmo mangiato la pizza.

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