Capitolo 37

245K 7.9K 474
                                    

BEATRICE
Nelle ultime due settimane, le cose tra me e Luca andavano di bene in meglio, se così si può dire: facevamo sesso quasi tutti i giorni, spesso a casa sua perché la sua ultimamente faceva i turni di giorno e invece mia madre era a casa.
Mi dispiaceva mentire a mia madre, dicendole che andavo da Martina o da Gabriel – che lei considerava quasi come un figlio, poiché mi era stato vicino in momenti difficili – e mi sarebbe piaciuto passare anche qualche pomeriggio con lei, ma quando lo dicevo a Luca, lui trovava sempre il modo di convincermi ad andare a casa sua.
Stavamo attenti a non farci scoprire, non interagendo quasi mai davanti ai nostri amici e, ahimè, per sicurezza neanche a scuola anche se nessuno ci avrebbe visti: nelle scuole anche i muri hanno gli occhi e le orecchie.
Devo dire che andavamo anche piuttosto d'accordo: ci parlavamo solo lo stretto necessario, facevamo sesso e poi ognuno se ne andava per la sua strada dopo aver finito – tranne per quell'eccezione a casa mia, ma era servita per parlare di quelle piccole restrizioni – e ultimamente il suo "bipolarismo" sembrava sparito. Avevo aggiunto quel piccolo punto alla lista, a sua insaputa e lui, quando l'aveva scoperto, si era arrabbiato e non poco per non averne parlato con lui; non mi aveva parlato per due giorni, ma poi era bastato un piccolo bacio – conoscevo i suoi punti deboli – per farlo ritornare comprensivo e simpatico.
Comunque sia non andavamo ancora d'accorto.
Proprio come in quel momento.
Eravamo nel suo letto, sotto le coperte perché quando avevamo finito di sudare per il sesso, ci era venuto un freddo del trentadue. Discettavamo per il fatto che io avessi preso mezzo voto più del suo nel compito di matematica. Tuttavia, i nostri non erano litigi veri e propri, più battibecchi che alle volte trovavo buffi e, ripensandoci, mi veniva da ridere.
-E' scientificamente testato che un ragazzo è più bravo in matematica di una femmina. E il fatto che i maschi prendano sempre quattro comunque c'entra con l'impegno, non con l'intelligenza. – sentenziò, dopo almeno quattro volte che avevo provato a convincerlo del contrario.
-E io invece ti ripeto che è la società che ci fa credere che le femmine siano più sensibili e più brave con i pensieri e le parole, mentre i maschi siano più afferrati per le cose logico-spaziali! Ma in verità non è così,– gesticolai in aria – infatti io con le parole faccio schifo! Non so come farò alla maturità, perché non sono nemmeno capace di esporre un paragrafo.
-Va beh, poi ci sono le eccezioni.... – mi indicò, ironico ed io gli colpii il braccio.
-Oh, Dio, quanto sei fastidioso? Come fa tua madre a sopportarti?! –sospirai.
-Il fatto che abbiamo due idee differenti su tutto, non mi rende automaticamente fastidioso, sei tu che hai il paraocchi. – ribatté.
Uh, spenta.
Sapevo di avere quasi sempre ragione e quindi tendevo a convincere gli altri di ciò che pensavo io. Tuttavia, non glielo avrei mai confessato.
-Io me ne vado. È tardi.- sviai, alzandomi dal letto.
-Che ore sono? – si mise a sedere e appoggiò la schiena contro la testiera.
Guardai il cellulare sul – relativamente – mio comodino e gli risposi: le otto di sera.
-Abbiamo fatto tardissimo, oggi!
-Beh, siamo arrivati qui alle tre, abbiamo mangiato, guardato la tv, fatto i compiti e poi...-
-Abbiamo scopato-  mi interruppe. – non ti devi vergognare di dirlo, Beatrice. Soprattutto a me. – si indicò sorridendo maliziosamente. – la persona con cui hai scopato.-
-Smettila di essere sempre così diretto! – arrossii violentemente. Avevo appena cominciato a dire "fare sesso", tranne in casi particolari, e lui pretendeva che dicessi la parola "scopare"? Troppo volgare.
-Comunque sia, abbiamo fatto un sacco di cose, perciò il tempo è volato.
-Quando ci si diverte... – si alzò e iniziò a vagare per la stanza completamente nudo.
-Tu, ti diverti con me' – ridacchiai.
-Quando mi fai divertire sì.
-La tua risposta non ha senso... senti, puoi metterti qualcosa addosso? Mi metti in imbarazzo?
-Perché? Sei convinta che io abbia il fisico più bello del tuo?
-Io ho le tette. Questo batte tutto. – risposi, allacciando il reggiseno.
Ci pensò un po' su. – Sì, forse hai ragione. Comunque devo fare la doccia, perciò non mi devo vestire.
-Dov'è tuo fratello? – indossai i pantaloni.
-Da mio padre. Resta lì stanotte. – rispose, prendendo un paio di boxer, dei calzini e il pigiama sulla sedia accanto all'armadio.
-Tu non ci vai mai.
-No. – rispose secco ed io decisi di non intraprendere quel discorso.
Andò alla finestra e guardò fuori – beandomi della perfetta visuale del suo fondoschiena.
-Forse... è buio... – disse, laconico e si girò verso di me.
-Quindi?
-Ecco... potresti... cioè.. restare. Insomma... se vuoi... – balbettò ed io per poco non scoppiai a ridere. Tuttavia, quella proposta non sembrava buona.
-Non credo sia una buona idea...
-Solo per stasera: insomma, non mi fido a lasciarti andare a casa da sola. Sai cosa dicono i giornali sui piccoli paesini dispersi... – insistette.
Lo guardai divertita: da quando si interessava alla mia salute?
Beh, a pensarci bene, era successo già un paio di volte, ma tralasciamo i particolari.
-Mi sentirei responsabile, dato che tornavi da casa mia...
-E cosa dico a mia madre? – stavo pensando di accettare e ciò non era un buon segno.
-Che dormi da Martina o da Giulia... da chi vuoi... – rispose ovvio.
Piegai la testa, pensandoci. Mia madre non avrebbe sospettato di niente, però, mentirle...
Ah, smettila, Beatrice! So che quando sei per strada tutta sola, hai i brividi di paura.
Luca continuò a fissarmi per qualche secondo, poi si indirizzò verso il bagno.
-Beh, io vado a fare la doccia. Se ti ritrovo qui al ritorno, significa che resti. –chiuse la porta e sentii l'acqua della doccia frusciare.
Mentire a mia madre? Per dormire con Luca?
No, per non farti andare a casa da sola con il buio, mi ricordò la mia mente.
Per la paletta del vigile urbano! Avrei potuto insistere di più sui compiti, così non avremmo guardato la tv e sarei potuta andare a casa prima!
Oppure non avresti dovuto fare sesso due volte, ma solo una.
No, quella parte non l'avrei tolta.
Però non potevo lasciare mia madre a mangiare da sola... aveva cucinato i filetti di pesce....
Appunto.
Sì, ma anche se non mi piacevano non volevo che si offendesse, pensando che l'avessi fatto apposta.
Presi il cellulare e aprii il contatto di mia madre.
Scossi la testa e presi zaino e giubbotto; scesi le scale e mi sbrigai ad arrivare alla porta di casa prima che Luca finisse la doccia.
Feci per aprire la porta, ma la richiusi immediatamente, scossa da non so quale terrore, non appena vidi il buio infinito. No, non ce l'avrei fatta, nonostante i lampioni.
Ripresi il cellulare, lo sbloccai e chiamai mia madre.
-Tesoro, ti voglio a casa tra dieci minuti! È buio pesto, fuori! – rispose arrabbiata.
-Appunto mamma. Io e Martina abbiamo fatto tardi e non mi va di tornare a casa al buio. Resto qui stanotte. – mi sforzai di tenere la voce ferma. Avevo mentito a mia madre solamente quando dicevo di andare a casa di Martina o di Giulia a studiare, quasi tutti i pomeriggi per andare a casa di Luca.
La sua voce si addolcì. –Vuoi che ti venga a prendere in macchina?-
Uh, avrei potuto fare così. Invece risposi:
-No, mamma, non ti preoccupare. La madre di Martina ha detto che posso restare tranquillamente.
-Okay. Ma avevo fatto il filetti di pesce... – la sua voce era delusa e il mio istinto da ragazza gentile e sensibile mi fece venire il senso di colpa.
-Lo so... mi dispiace tantissimo, mamma. Mi sarebbe piaciuto mangiarli! – non era vero, però lei si impegnava a cucinare il pesce.
-Vorrà dire che te ne terrò da parte un po' e lo mangerai domani sera.- fantastico.
-Certo, non vedo l'ora. Ci vediamo domani, mamma.- conclusi, con un sorriso, prima di riattaccare.
-Bea? – la voce di Luca mi chiamò dal piano di sopra.
-Sono qui. – gli urlai di rimando, togliendomi nuovamente la giacca e salendo le scale.
Quando rientrai in camera sua, lui indossava solo la maglietta del pigiama e dei boxer, intento ad infilarsi i calzini. Era stupendo.
-Pensavo te ne fossi andata, quando non ti ho visto. – disse, imperturbabile.
-Volevo. – risposi sinceramente – però poi ho visto che buio c'era già fuori e ho cambiato idea.-
Appoggiai lo zaino ai piedi della scrivania e lo fissai, mentre, ahimè, si metteva i pantaloni del pigiama blu – che gli stavano distintamente bene, dovevo ammettere.
-Ma... tua madre non ha alcun problema se resto a cena e poi a dormire? – chiesi, e per quanta confidenza avessi già con lui, divenni timida.
-Una delle fortune di avere una madre che lavora in ospedale è che non ce l'hai quasi mai tra i piedi, perché i malati ci sono anche di notte.-
-Non dire così. A me manca, mia madre, quando è in viaggio...- gli feci il labbruccio.
-Ma sì, devo ammettere che a volte, ma pochissime volte, manca anche a me, la mia. Però alla fine è bello stare in casa da soli.
-Tranne quando c'è tuo fratello.
-Lui non mi dà nessun fastidio.
-Tranne quando devi portarti le ragazze a casa...
-Ti ho già detto che non mi porto le ragazze a casa. Altrimenti, quando si rendono conto che non voglio nient'altro che un pompino o una scopata, ho paura che mi vengano a cercare come delle psicopatiche. – gettò i vestiti sporchi nella cesta in un angolo della stanza e si buttò sul letto.
-E non hai paura che anch'io possa diventare una pazza psicopatica? – gli sorrisi, ammiccando.
-Tu hai ben chiari i miei principi, perciò no. Anche perché tu non lo potrai mai diventare: lo sei già.-
Spalancai la bocca, quasi offesa, anche se sapevo che scherzava. Gli lanciai una gomma che era sulla scrivania e lui strillò come un bambino quando gli arrivò sul petto. Che mira, oh.
-E non hai paura, a casa da solo, di notte? – tornai seria, perché io ne avevo.
-No.
-E quando piove o ci sono i tuoni, i lampi, il vento...?
-No. Tommy sì, però. Infatti quando non c'è la mamma viene sempre nel mio letto quando ci sono i temporali. Deve cambiare abitudini o diventerà un fifone.
-Ehi, ha cinque anni! Povero bambino, lascialo vivere in pace senza mettergli troppe pressioni.
-Io ho smesso di andare nel lettone quando avevo quattro anni.
-Buon per te. Io a dieci, ma solo perché c'era Lilium con me.
-Chi è Lilium? – aggrottò la fronte.
-Il mio cagnolino.
-E da quando ce l'hai?
-Da un sacco di tempo. Era già in casa prima che io nascessi. Era di mio padre. – cercai di celare la nota di tristezza che aveva preso il mio tono di voce.
   Solo poche volte, io e Luca avevamo parlato così, sinceri, facendoci delle domande per conoscerci, senza litigare. E devo dire che mi piaceva: capivo che non era poi quel ragazzo stronzo di cui parlavo con Martina e che odiavo, prima che succedesse tutto ciò. Tuttavia, quando tornava nel Luca consuetudinario, non riuscivo ancora a sopportarlo.
-Bene. – esordì, alzandosi dal letto. –Siccome non c'è mia madre a cucinare, o cucini tu o ordiamo cinese o una pizza.
-Sai quanto ingrasso? – mi portai una mano sul petto, inorridita. Certo, mi abbuffavo di dolcetti e biscotti, ma quando c'era da mangiare una pizza facevo delle storie. La coerenza in persona.
Luca roteò gli occhi al cielo e mi fece cenno di decidere.
Sbuffando, gli risposi che una pizza non mi avrebbe fatto male, ma la ordinai con i carciofi: almeno mangiavo anche – relativamente – della verdura.
Quindi, chiamò la pizzeria vicina a casa sua e mi informò che il tempo di attesa era di mezz'ora.
In quel lasso di tempo, perciò, ci posizionammo sul divano, a guardare un programma di cucina – che mi fece venire ancora più fame di quanta già non avevo –, stando ai due estremi opposti del divano, di comune accordo, anche se non lo avevamo chiarito  esplicitamente.
Quando volli ripiegare le gambe sul divano, mi sentii scomoda e mi si accese una lampadina.
-Luca! – esclamai, guardandolo.
-Che ho fatto? – alzò le mani, sorpreso.
-Non ho i vestiti per domani! – strillai, disperata.
Non potevo andare a casa, prendere i vestiti e tornare lì, altrimenti avrei potuto restare direttamente a casa mia! E non potevo nemmeno andare a scuola con le stesse mutande e la stessa maglia di ieri – perché ero sicura che un minimo puzzasse.
-Ah. – rispose solo.
-Ah?-
Alzò gli occhi in aria, pensieroso e dopo pochi secondi sembrò in procinto di aver fatto una scoperta che avrebbe cambiato la vita dell'uomo.
-Un paio di volte fa hai lasciato qui un maglione. – esordì.
Tirai un sospiro di sollievo, ma non del tutto: -E le mutande?
-Quelle di mia madre ti starebbero troppo larghe, suppongo. – sua madre era una bellissima donna, ma aveva dei fianchi larghissimi, probabilmente per via dei due parti, come spesso capita.
-Perciò – proseguì- ti presterò un paio di boxer. – sentenziò.
-Stai scherzando, vero? – mi sfuggì una risata.
-No. Almeno che tu non voglia andare senza. Ma non ti converrebbe più di tanto.
-Per quale motivo?
-Perché mi verrebbe voglia.
-E perché non dovrebbe venirti?
-Perché a scuola soffrirei e non poco.-
Abbandonai il discorso perché mi fece venire voglia di fargli domande sporche su cosa pensava e se pensava a me durante le lezioni, invece dovevo mantenere un contegno.
Quando arrivò la pizza, me la feci ovviamente offrire da Luca senza troppi convenienti del tipo "ma no, ti ridò i soldi", "non importa, non serve che me la offri".
Non riuscii a finirla tutta perché avevo iniziato a mangiare troppo in fretta e mi ero gonfiata come una palla, perciò Luca, oltre alla sua pizza copiosamente farcita, mangiò anche una parte della mia.
   Sparecchiai per muovermi un po' e cercare di sgonfiarmi e mi offrii anche di lavare i bicchieri e i piatti su cui avevamo messo la pizza; anche perché se no lui non l'avrebbe di certo fatto.
-Che film guardiamo? –gridai dalla cucina, mentre lui portava il computer in salotto e collegava i cavi alla tv.
-Di sicuro non lo scegli tu, altrimenti mi prendi per il culo un'altra volta! – urlò di rimando, infastidito dal ricordo.
Ridacchiai. – Basta che non guardiamo delle stronzate sulla fine del mondo o sull'invasione degli extraterrestri e siamo a posto.- risposi, presi uno strofinaccio e mi asciugai le mani profumanti di detersivo per piatti e andai da lui, buttandomi sul divano.
Lui trafficò per qualche minuto con il computer, poi partì il film e si sistemò come poco prima all'estremità opposta alla mia, sdraiato sulla penisola del divano.
Presi di mia iniziativa un panno di lana dal mobiletto, perché non volevo rischiare di creare troppa intimità come alcune volte precedenti. Luca prese il suo panno preferito e se lo stese lungo tutto il corpo, rinsaccandoselo sui piedi, per poi sospirare e cominciare a prestare attenzione al film.
-Ma è un film horror! – strillai, dopo dieci minuti, quando mi resi conto che iniziavo ad avere paura.
Annuì disinteressato, continuando a guardare lo schermo della tv.
-Sei uno stronzo! – dichiarai.
-Anche tu lo sei stata l'altra volta. Ora zitta che voglio sentire.- disse, imperterrito.
Sbuffai e cercai di restare calma. Io odiavo gli horror e lui ne aveva avuto testimonianza quando eravamo andati in quella stupida casa disabitata.
Mi coprii gli occhi il almeno quattro scene tragiche, poi non resistetti più da sola.
-Oh, santissimo Signore! – scattai sul divano non appena un urlo della povera bambina del film mi sorprese fino a farmi venire il batticuore. Mi avvicinai a Luca e mi appiccicai al suo fianco, prendendogli un braccio e nascondendo il viso sulla sua spalla.
Lui sbuffò e si lamentò. –Non è possibile guardare un film con te che strilli ogni due per tre!
-La prossima volta eviti di farmi guardare film così, idiota. – la mia voce alta era ovattata dalla sua spalla – e dalla maglia del suo pigiama, che stavo sniffando.
Luca sospirò e restò in silenzio. A metà film, come quella volta sul divano prima che arrivasse sua nonna, aprì un braccio e mi cinse un fianco, mentre con l'altro si allungava e univa i due panni tra di loro.
Non dissi niente. Nemmeno quando appoggiò la testa sulla mia e sospirò.
Mi percorse, come la volta precedente, un brivido lungo la schiena e dovetti ripetermi che non era corretto per non cingergli anch'io un fianco con il braccio. Ne avevo una tale voglia.
Persi i successivi venti minuti del film, per fortuna, troppo concentrata sull'analisi dei fatti. Dovevo parlare e dire qualcosa? Dovevo continuare a fare come niente fosse? O forse dovevo tornare alla mia postazione di inizio film? Cosa si aspettava Luca?
Dato che lui non diceva niente, allora non lo avrei fatto nemmeno io. Probabilmente non ci aveva nemmeno fatto caso.
Tutta quella concentrazione e quella riflessione mi fecero venire sonno. E per quella che sarebbe stata la terza o quarta volta, mi addormentai tra le sue braccia.

Sex or love?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora