Capitolo 22

255K 8.6K 577
                                    

-Che cazzo ti passa per la testa?- Beatrice sembrava piuttosto arrabbiata, mentre mi spingeva sul petto, contro il muro.

Aprii la bocca per parlare, confuso, ma le sue labbra mi precedettero. Mi prese il viso tra le mani rudemente, e stampò la sua bocca sulla mia, provocandomi un brivido. Questo non me lo aspettavo: sapevo che era una ragazza intraprendente, benché fosse anche timida, ma quel suo di essere incazzata e il fatto che fosse lei a prendere in mano la situazione trovavo che fosse eccitante.
Aprii la bocca per accoglierla avidamente e gemetti quando lei mi infilò le mani tra i capelli. La presi per i fianchi la sbattei contro il muro parallelo, in modo che lei aderisse ai mattoni.
Mentre le nostre lingue si accarezzavano e i nostri gemiti facevano eco nella stretta via -sperai vivamente che nessuno degli abitanti che abitavano in quei due palazzi paralleli avessero le finestre sopra di noi aperte -, le infilai le mani sotto la maglietta, accarezzandole la parte bassa della schiena, i fianchi e lo stomaco.
In quel momento di Gabriel non me ne poteva importare di meno: avevo troppo bisogno di avere un contatto con lei, per preoccuparmene. Anche se era sbagliato. Pazienza. I sensi di colpa a dopo, ora pensa a questa ragazza e al piacere che ti dà, pensai in mente mia.
-Sei uno stronzo. - riuscì a dire ansimante, quando ci fermammo qualche secondo per respirare. Sicuramente faceva riferimento a prima. La guardai negli occhi e appoggiai la mente alla sua.
-Ho i miei motivi. - risposi respirando affannosamente anch'io.
-Non riusciamo proprio a rimanere amici, vero? - le chiesi, mentre le sfioravo le labbra.
-Io... non credo di... - si interruppe e ripeté lo sfregamento delle labbra di poco prima, come se fosse calamitata.
Senza che nessuno dei due continuasse la conversazione, riprendemmo a baciarci rudemente, tirandoci i capelli e aggrappandoci l'uno all'altra, dimenticandoci di essere in un luogo pubblico, dove la gente sarebbe potuta passare da un momento all'altro. Per fortuna che in quel vicolo non c'era tanta luce, per via dei palazzi alti che coprivano il sole, altrimenti ci avrebbero visti tutti quelli che passavano nella via consecutiva.
Beatrice mugolò quando le tirai il labbro tra i denti e inarcò la schiena, spingendosi contro di me. Gemetti di seguito a lei e mi resi conto che la mia erezione stretta, poverina, nei boxer e nei jeans faceva davvero malissimo. Ebbi l'impulso di aprirmi la cerniera e abbassarmi i pantaloni, ma la mia parte razionale, per fortuna, era più forte.
-Bea...- borbottai, nella sua bocca e lei mi tirò i capelli. Mi baciò con maggiore avidità e io a stento riuscii a trattenermi dall'abbassare i pantaloni di entrambi ed entrarle dentro. Quanto mi mancava quella sensazione...
-Bea... credo di non farcela se continuiamo così... - provai a staccarmi ma lei mise una mano dietro la mia nuca e mi attirò a sé, in segno di protesta, ritornando a baciarmi. E questo mi fece eccitare ancora di più.
Le cinsi la vita e la strinsi a me, inalando il suo profumo, mentre continuavo a divorarla. Per trovare un po' di sollievo nei pantaloni - che poi non arrivò- mi staccai dalla sua bocca e presi a baciarle il collo, mordicchiandoglielo ma stando attento a non lasciarle segni. Fremette e mi strinse le braccia al collo, portandomi più vicino a sé. Eravamo avvinghiati così ermeticamente che tra i nostri due corpi non passava nemmeno un filo d'aria.
Stavo per prenderla in braccio per avere maggiore contatto tra i nostri sessi, sperando che non peggiorasse la situazione, quando mi squillò il cellulare. Porta troia.
Con il cuore ai mille al minuto e i respiri affannati, smettemmo di baciarci e io appoggiai la fronte contro la sua, continuando a guardarle la bocca. Che cazzo di bocca magica aveva? Chissà se poteva usarla per fare anche altre cose...
Non è il momento di pensarci, Luca, ti devi riprendere, non eccitarti ancora di più.
Non staccandomi da lei, tirai fuori il cellulare dalla tasca e senza guardare lo schermo risposi. Dissi "pronto" con voce bassa e poi stampai un bacio al lato della bocca di Beatrice; la sentii sorridere e sentii un gran calore al petto, fino a quando non sentii la voce dall'altra parte.
-Luca, dove cazzo siete? Tra poco dobbiamo trovarci in piazza San Marco! - Gabriel sembrava infastidito.
Mi staccai da Beatrice velocemente, proprio mentre lei stava per ricambiare il bacetto che le avevo dato io.
Dandole le spalle, feci un respiro profondo per regolarizzare la voce, e fui scosso dai brividi.
-Ehm... ci siamo fermati a prendere una cosa... non ci siamo allontanati tanto... - la mia voce non appariva comunque normale come avrei voluto.
-Ma hai corso? - mi chiese.
Mi schiarii la voce. -Si, un po'. Dove siete voi? - cercai di cambiare discorso.
-Ehm... - ci pensò su e immaginai che si stesse guardando intorno. - Nel punto in cui vi abbiamo lasciato. Di fronte alla bancarella dei magneti.
-Ah... venite più avanti, così ci incontriamo a metà strada, non siamo lontani. - non mi sembrava il caso di trovarci davanti alla bancarella dove avevamo rubato meno di dieci minuti prima.
Mi rispose affermativamente e mi disse di sbrigarci e io chiusi la chiamata. Restai a fissare il cellulare che avevo in mano per non guardare Beatrice. Fui sopraffatto dal senso di colpa; sapevo che sarebbe arrivato.
-Beatrice... - mi girai verso di lei ma non la guardai negli occhi.
Alzò un dito. -No, non dirmelo, - fece una risata amara -devo dimenticare ciò che è successo. Tra di noi non c'è mai stato niente.- concluse, imitandomi.
Aggrottai la fronte, sorpreso, ma poi abbassai lo sguardo sospirando: era proprio quello che volevo dire, di malavoglia.
-Forza, andiamo.- disse, raccogliendo frettolosamente il suo zaino e tirando un calcio al mio. Non la rimproverai.
Si avviò veloce verso l'uscita della stradina. Io raccolsi il mio zaino e la seguii.
-Bea... aspetta... - mi passai una mano tra i capelli, frustrato.
-Aspettare cosa? - sorrise amaramente, guardandomi da sopra la spalla.
-Voglio spiegarti... - cosa le avrei spiegato? Che non lo facevo perché Gabriel era innamorato di lei? Avrei tradito comunque il mio migliore amico.
-Ma spiegarmi cosa? - si girò verso di me, infastidita.
-Non fare così... - lagnai, consapevole di sembrare un bambino.
-Io non faccio niente. Piuttosto tu! Perché continui a cercare di baciarmi se poi mi chiedi di dimenticare tutto o mi ignori per giorni?! - aprì le braccia, esasperata.
-Cazzo...io... non lo so...- mi tirai i capelli e feci un giro su me stesso, per ragionare.
-Bene, allora impara a controllarti se poi devi rovinare tutto! - Gridò, per poi girarsi e ricominciare a camminare.
-In che senso rovinare tutto? - le gridai dietro, inseguendola. -Aspetta! - ma lei continuava a camminare. Rovinare cosa? Le interessava il fatto che la baciassi?
Mi accorsi solo in quel momento che la gente ci fissava: un po' perché ci stavamo urlando contro, ma probabilmente anche per il nostro aspetto: Beatrice aveva i capelli tutti scompigliati ed era tutta rossa in volto; la maglietta era stropicciata e leggermente sollevata. Era chiaro che ci fossimo saltati addosso solo vedendo il suo stato, non osai pensare come apparivo io.
-Bea... - le afferrai il braccio.
-Che cazzo vuoi? - mi urlò contro, girandosi. Aveva gli occhi lucidi. O forse me lo stavo solo immaginando.
Socchiusi la bocca, sbigottito dal suo tono aggressivo- anche se non avrei dovuto, vista la consuetudine - e feci un passo indietro, lasciandole il braccio.
-Dovresti... sistemarti... - la indicai appena, con lo sguardo basso. Proprio non riuscivo a guardarla negli occhi: avevo troppa paura di sapere cosa ci avrei trovato, che fossero emozioni positive o negative.
Lei sembrò ancora più infuriata, ma invece di urlarmi di nuovo contro, si sistemò la maglietta e si aggiustò i suoi meravigliosi capelli sciolti, per poi ricominciare a camminare. Le stetti dietro senza dire niente e intanto pensai a cosa avrei fatto. Quella situazione si stava complicando troppo: non volevo fare un torto al mio migliore amico, ma in quel modo rischiavo di litigare ancora di più con Beatrice e di impazzire a forza di pensare a come starle lontano e non saltarle addosso.
BEATRICE
-Madov' eravate? – Martina mi venne incontro entusiasta; per cosa non l'avevo capito.

-Eravamo andati a fare un giro tra le bancarelle nell'altra zona. – indicai un punto alle mie spalle, impassibile. Non avevo voglia di esprimere nessuna emozione per quello che era successo. Non lo meritava.
Anche se avevo una gran voglia di piangere. 
Ma non era quello il momento, non dovevo mostrarmi vulnerabile, perché probabilmente era ciò che Luca voleva.
-Iniziamo ad andare? Mancano dieci minuti alla fine del tempo libero. – propose Gabriel, sorridendomi. Lui si che era un caro ragazzo; mi chiesi per quale motivo fosse amico di un deficiente come quell'altro.
   Per il resto delle visite guidate,cercai di evitare la compagnia di Luca, al quale non sembrava importare, visto che praticamente faceva la stessa cosa.
Trovai, invece, alquanto interessante quello che diceva la guida e me ne stetti in prima fila, lontana dal mio gruppo, per cercare di pensare a tutto tranne alle mani fresche di Luca sotto la mia maglietta, alle sue labbra carnose e alla sua lingua calda. Una combinazione afrodisiaca.
-E questa è la statua che lo raffigura. –concluse la guida, indicando una statua possente, affianco a lei. Ecco, mi ero persa un altro pezzo di spiegazione. Maledetti ormoni.
-Non credo di potercela fare ad ascoltare un altro minuto. –si lamentò Martina,che aveva deciso di seguirmi avanti, invece che stare con gli altri.
  Quando arrivammo finalmente in hotel,furono distribuite le camere e finalmente potei godermi la calma di una doccia calda rilassante. Wow. Martina e Giulia l'avevano già fatta, perciò avevo tutto il tempo prima di andare a cena. Quando uscii dal bagno, le mie compagne non c'erano più, probabilmente mi spettavano di sotto. Mi vestii e asciugai i capelli,arricciando i ciuffi davanti e mi osservai allo specchio. Ero sempre la stessa.
"Credi di essere così affascinante?"
"Se non cambi non piacerai mai a nessuno."
"No, non dirmelo. Devo dimenticare ciò che è successo. Tra noi non c'è mai stato niente."
Forse aveva ragione. Non ero poi così bella come mi sentivo. Quando mi aveva detto che ero bellissima era solo per rimediare agli errori che aveva fatto in precedenza. Perché dovevo essere così insicura e avere un rapporto pessimo con il mio corpo? I miei occhi non mi diedero ascolto, quando li pregai di non piangere. ero stanca di piace per niente. Non lo sapevo nemmeno io perché mi importasse così tanto di quello che mi diceva Luca: non mi era mai importato e quando litigavamo negli anni precedenti, nemmeno la sua parola più crudele mi colpiva. Ma ora, ora sembrava che le mie ghiandole lacrimali dipendessero da lui. Ma questa cosa doveva finire.
Uscii dalla stanza senza neanche truccarmi –consapevole di essere troppo emotiva in quel momento per mantenere un trucco non sbavato – e mi avviai verso l'ascensore. Era occupato. Le scale erano più veloci ed io ero in ritardo,perciò mi precipitai giù; ma rallentai quando sentii dei passi davanti a me. Era la felpa di Luca. Il destino era proprio dalla mia parte.
Sperai di non avere fatto troppo rumore con gli stivaletti e rallentai il passo, in attesa che andasse giù. Ma il caso volle che litigò con una zanzara –quasi scoppiai a ridere nel vederlo prendere a schiaffi l'aria – e che con la coda dell'occhio mi vedesse. Si girò di scatto e rifece gli scalini che aveva appena sceso per raggiungermi.
-Perché non rispondi ai messaggi? – mi chiese, enfatico.
-Ero a fare la doccia e ho lasciato il cellulare in... – non mi lasciò finire.
-Hai pianto? – si avvicinò, preoccupato.
Scossi la testa, fissando il muro accanto a me.
Mi prese il mento con il pollice e l'indice e mi costrinse a guardarlo negli occhi.
-Hai gli occhi rossi.
-Mi è andato un po' di shampoo negli occhi. – risposi subito. L'avevo usata molte volte quella scusa con mia madre, dopo la morte di papà.
-Non è vero. – scosse il capo.
-Cosa sei, Dio? – risi amaramente.
-Non ci vuole un genio per capirlo. – continuava a guardami negli occhi, serio,non ancora le dita che mi tenevano fermo il mento: aveva paura che avrei distolto lo sguardo dal suo.
-Perchè, ti interessa? – gli domandai, sarcastica.
-Bea, se è per quello che è successo oggi... – iniziò.
-Non c'entra assolutamente niente. Non sei il centro del mio universo. Sai quel detto... quello che succede a Venezia, rimane a Venezia. Ecco, io la penso così. Dimentichiamo tutto, come le altre volte. – feci un sorriso stanco.
- E quello che succede a casa mia? – cercò di leggere nei miei occhi, ma non glielo permisi.
-Rimane a casa tua, con te. – mi sottrassi dalla sua presa e cercai di sorpassarlo, per scendere le scale, ma mi si parò davanti.
-Adesso torneremo ad ignorarci? – mi chiese, con aria mesta. Gli importava davvero da essere triste?
-Amici che sprizzano gioia da tutti i pori come stamattina non possiamo essere,mi sembra. – gli lancia un'occhiata severa.
-Potremmo parlare normalmente...- propose.
-Se vuoi litigare, sì, potremmo parlare normalmente. – lo feci riflettere.
-Perché dobbiamo litigare? – sospirò.
Lo fissai per un secondo in silenzio. –Perché noi due siamo così. Non possiamo fare altro che litigare.
-E non possiamo cambiare?
Scossi la testa, rassegnata. –Lasciamo le cose come stanno.
Lo superai e scesi gli scalini e questa volta lui non mi fermò.

Sex or love?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora