Capitolo 50

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LUCA
Avevo dei capelli in faccia ma non me ne preoccupai, anche se facevano il solletico.
Continuai a dormire perché adoravo quella sensazione.
Quando però, la luce del sole filtrò dalla finestra, interrompendo quel fantastico momento di serenità, mi ripresi: Beatrice si stava muovendo ed io la sentivo benissimo perché era praticamente sopra di me.
Non che mi dispiacesse, chiariamo, ma giusto la sera prima avevamo segnato sulla lista il punto del non dormire abbracciati!
Aprii leggermente gli occhi e guardai in basso, dove trovai l'ammasso di capelli che mi avevano fatto il solletico per tutta la notte sul mio petto e il braccio di Beatrice che circondava il mio corpo. E il mio avvolgeva il suo.
Era così strano ma allo stesso tempo piacevole.
Era sbagliato ma allo stesso tempo sentivo che mi faceva stare bene.
Purtroppo, però, la ragione vince quasi sempre sulle emozioni e allora fui costretto a convincermi che non sarebbe dovuto ripetersi mai più; soprattutto dopo ciò che era successo la sera precedente e che ancora stavo cercando di capire: com'era possibile aver provato una sensazione talmente forte quasi da essere dolorosa solamente in un lampo? Nel momento in cui l'ho guardata negli occhi.
Che fosse stato quello? No, impossibile.
Ed ero anche abbastanza sicuro che non fosse stato l'orgasmo, perché ne avevo provati tanti e mai nessuno era stato tale e inoltre non ancora venuto, quindi...
Beatrice sollevò pigramente la testa e ci ritrovammo a pochi centimetri di distanza. Ma lei non mi guardò negli occhi: non l'aveva ancora fatto dalla sera prima e mi chiedevo il motivo.
Sospirò, ma rimase comunque sul mio petto. –E' successo di nuovo. – disse con voce assonnata.
-Già... – risposi solo.
Dopo pochi istanti si allontanò e si sistemò nella sua parte di letto a fissare il soffitto.
-Perché? – chiese.
-Perché cosa?
-Perché ci siamo svegliati così?
-Non lo so. Sei tu che mi stavi addosso.
-Guarda che sei tu che stai in mezzo al letto. Probabilmente pensavo fossi un cuscino e mi sono appoggiata.
-Allora sei stata tu.
-Se sei così poco intelligente da capire che ti ho appena dato la colpa, allora sì.-
Mi voltai a guardarla e se non ci fosse quella continua situazione di imbarazzo dalla sera prima, probabilmente le avrei tirato qualcosa o le avrei fatto il solletico.
-Non è colpa di nessuno. Ci siamo avvicinati durante la notte come l'altra volta, okay?
-Okay. – concluse. – Ma non va bene così.
-Sono d'accordo.- più o meno. Ammettevo che mi piaceva l'idea di svegliarmi con il suo profumo sotto al naso.
-Quindi cosa facciamo? – probabilmente quella domanda ce l'eravamo già fatta un milione di volte.
-Continuiamo come se non fosse successo niente, no? – rispose eloquente.
Sospirai. Era insopportabile. –Va bene. Che ore sono?
-Sei tu che hai la sveglia sul comodino, Luca, ti puoi sporgere se non è troppa fatica per te. – constatò infastidita.
Sì, decisamente insopportabile.
Girai la testa verso la sveglia e lessi che erano le nove del mattino. Sperai solo che Tommaso fosse ancora a letto e non venisse in camera mia: mi piaceva che mi portasse il latte ogni mattina, ma non quando c'era Beatrice – sì, ero un po' geloso del mio fratellino, alle volte.
-Sono le nove passate, andiamo a fare colazione? – domandai.
Beatrice annuì e si alzò dal letto, andando in bagno.
-Posso fare la doccia?
-Sì. -
Aspettai che uscisse dal bagno – dopo venti minuti buoni – e ci corsi dentro perché mi stavo facendo la pipì addosso.
-Voi maschi siete incontinenti. – commentò, quando le sfrecciai accanto.
-No, siete voi femmine che ci mettete troppo in bagno.
    Scendemmo a fare colazione ma non ci rivolgemmo la parola.
Mi madre aveva preparato più di una dozzina dei suoi fantastici biscotti – artefici della seconda volta in cui io e Beatrice eravamo finiti a letto insieme – ed Tommy li aveva quasi divorati tutti quando scendemmo.
-Ehi, piccolo, lasciane un po' anche a noi. – gli scompigliai i capelli.
-Buongiorno – salutò mia madre entusiasta e noi rispondemmo forzando un sorriso. Non andava bene. E avevamo finito di chiarire giusto ieri.
-Cosa vuoi da colazione, Bea?
-Una camomilla. – risposi per lei.
-Un tè, se c'è, grazie. – mi lanciò la solita occhiataccia. Dovevo dire che questa discussione tra camomilla e tè mi stava iniziando a piacere.
La lasciai stare e mi chiusi nei miei pensieri, riflettendo sul motivo per cui Beatrice non mi guardava negli occhi: sembrava avere timore...
E metteva me a disagio.
La colazione continuò in assoluto silenzio, tranne per qualche domanda che mia madre aveva fatto a Beatrice o per qualche sgridata che si era preso Tommaso.
-Va tutto bene? – chiese mia madre. Non capii a chi si riferiva fino a quando non alzai lo sguardo: spostava lo sguardo da me a Beatrice.
-Sì, tutto a posto. – rispose lei, forzando un sorriso. L'avrebbe capito persino Tommaso.
-No invece. – borbottai io.
-Come? – chiese mia madre e Beatrice mi lanciò un'occhiata. Ma sembrò quasi strabica, dato che non mi guardava negli occhi. Dovevo ancora capire come faceva.
-Niente. – borbottai ancora.
-Io vado a vestirmi perché devo tornare a casa. – Beatrice si alzò da tavola, alquanto imbarazzata.
-Certo, vai pure. – le sorrise mia madre.
Quando fu sparita, mi fissò.
-Che c'è?
-Che succede? – che impicciona, mamma mia.
-Ma niente.
-Avete litigato?
-Noi litighiamo sempre, quindi non conta.
-Sembrate molto... seri e distaccati.
-Può essere. – restai vago.
-Sei sicuro che vada tutto bene?
-Sì, mamma, non ti preoccupare. Sono affari nostri. – mi alzai da tavola e mentre andavo in salotto Beatrice scese le scale.
-Quindi vai? – le chiesi, perché non sapevo cosa dire.
-Già. Mia madre mi aspetta. – era anche lei a disagio.
-Ci vediamo a scuola, allora. – la salutai e lei mi fece un cenno, senza guardarmi perfettamente negli occhi.
-A lunedì.

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