Capitolo 28

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                 LUCA
Stavo girando per la mia camera da più di un'ora, esattamente dall'ora in cui ero tornato da casa di Andrea.
Non sapevo cosa fare e lasciare le cose come stavano con Beatrice mi sembrava la soluzione peggiore. Dovevamo chiarirci. E subito.
Presi una felpa e mi catapultai giù dalle scale, senza dire niente a mia madre e salutare Tommaso alle prese con le macchinine in salotto. Non lo avevo ancora perdonato per la telefonata a Beatrice: ero convinto che fosse servita solo a peggiorare le cose, perciò gli avevo dato una bella strigliata e gli avevo detto che per un po' non mi avrebbe più dovuto parlare. Non mi portava nemmeno più il latte la mattina. Sì, l'empatia, il sopportare le frustrazioni, l'assertività e tutta l'altra roba che ci insegnavano a scuola andava a farsi friggere quando c'era di mezzo Beatrice.
Comunque sia, i giorni di silenzio sarebbero finiti prestissimo, perché non riuscivo a stare senza le coccole che mi faceva il mio fratellino.

Mi precipitai a casa di Beatrice in un attimo e bussai alla porta. Come l'altra volta, la macchina di sua madre non c'era e questo mi tolse un po' di quel peso che avevo nel petto.
Beatrice chiese "chi è?" ed io poco dopo trovai stupida la mia risposta "Indovina!": non era il momento di essere ironici.
-Che cosa ci fai qui? –chiese, ancor prima che la porta fosse aperta del tutto.
-Dobbiamo parlare. – sospirai.
-Io non voglio parlare con te.- sbatté i piedi a terra come una bambina.
-Beh, nemmeno io ne ho molta voglia, vista la tua simpatia. – mi stava già infastidendo e la conversazione era appena iniziata.
-Allora vattene!- trovai una punta di malinconia nella sua espressione, ma la represse ancor prima che potessi accertarmene.
-No che non me ne vado! – sbraitai, facendo quasi cadere dalla bicicletta un povero vecchietto che viaggiava indisturbato. Fatti gli affari tuoi la prossima volta, invece di guardare.
-Beh, io non ti faccio entrare. – si appoggiò allo stipite e incrociò le braccia al petto, con aria di sfida.
-Bene, allora entro da solo. – mi avvicinai a lei e la presi per i fianchi, alzandola dal pavimento e avanzando in casa sua. Feci qualche passo, il tempo di entrare nell'altro e chiusi la porta con il piede, mettendola giù. Nell'appoggiare i piedi a terra, si spalmò lungo tutto il mio corpo, atterrando proprio appiccicata a me.
Mi guardò titubante e notai che il rancore di prima era praticamente dissolto: ora sembrava una ragazzina indifesa e confusa.
Eravamo così vicini. Le portai istintivamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio e la fissai negli occhi.
Mi cinse il collo con le braccia e io, invece di prendere il viso tra le mani, le appoggiai le mani sulle braccia.
Ci stavamo per baciare.
-Ehi, dobbiamo parlare. – sussurrai, provando a distogliere lo sguardo dalle sue labbra.
Lei annuì, ma sembrava non mi stesse ascoltando.
-Ci baceremo. Ma non ora. – la mia voce usciva roca.
Lei continuò ad annuire e riuscimmo finalmente a guardarci negli occhi.
-Dobbiamo parlare, Bea, ti prego. – sembrava quasi una supplica, o forse lo era, ma non potevamo finire un'altra volta a fare sesso. O meglio, potevamo, dovevamo, ma prima era necessario parlare.
Le tolsi lentamente le braccia dal mio collo, fissandola sempre negli occhi e le presi la mano, indirizzandomi verso il divano, ma non appena ci pensai su, mi accorsi che non era nemmeno quella una buona idea.
-Dov'è la cucina? – la mia voce non si era ancora del tutto stabilizzata.
Fu lei a guidare, stavolta e mi portò in un'ampia stanza, che si affacciava sul salotto. Avrei potuto trovarla anche da solo, che stupido.
Ero stato a casa di Beatrice solamente una volta – tranne le volte in cui sono stato sulla porta -, in prima superiore, durante il suo compleanno, al quale non voleva invitarmi, ma sua madre aveva detto che avrebbe dovuto invitare tutta la classe. Ci ero rimasto molto male, perciò non era finita molto bene, la festa...
Era cambiata molto dall'ultima volta che l'avevo vista: era più moderno e il divano, assieme ad alcuni mobili, erano stati spostati.
La casa era leggermente più piccola della mia, ma molto accogliente.
Lucina era caratterizzata da mobili fucsia scuro – potrà sembrare odioso, invece era venuta molto bene, considerato che io il rosa e i suoi derivati – e le pareti verde acido, ma dava un senso di tranquillità. Sembrava un prato fiorito.
La feci sedere su una sedia del tavolo rotondo ed io andai a sedermi dall'altra parte, di fronte a lei.
Mi guardò aggrottando le sopracciglia. –Se mi aspetti un attimo, vado di sopra e mi metto la giacca elegante che uso per andare a messa.
-Spiritosa. – gli feci una smorfia.- penso sia necessario, visto che prima mi sei saltata addosso. – provai a ridere, ma ero ancora in procinto di controllare la mia eccitazione.
Lei spalancò la bocca: -Cosa? Sei tu che mi hai preso di peso e hai infranto la legge!
Questa volta non riuscii a non ridere: -Infranto la legge?
-Ti dice qualcosa il termine "violazione di proprietà privata"?
Scoppiai a ridere. –Ma tu sei pazza!
-Lasciamo perdere, o giuro che ti riempio di insulti!
Stavo per ribattere, ma il mio Super-io mi invitò a rimanere calmo.
-Bene, possiamo parlare, ora? – le chiesi.
-Si.
E poi calò un imbarazzo alquanto evidente. Da dove avrei dovuto cominciare?
-Uhm... carina la cucina...- sicuramente non avrei dovuto iniziare dalla cucina!
-Ehm, grazie. Li ho scelti io i colori. – sorrise appena.
-Ottima scelta.
Annuì e poi tornò a fissare le sue mani, appoggiate al tavolo.
-Beatrice, dobbiamo parlare di quello che è successo ieri notte. – dissi di getto.
-Okay, sto aspettando. – alzò le sopracciglia.
-Tu cosa pensi? – le chiesi, non sapendo cosa dire.
-Penso... penso che... non lo so, è successo e basta! – si attorciglio la manica della maglia con le dita.
Mi stupii, perché questi pensieri avrei dovuto averli io: lei era la parte razionale ed io quella istintiva.
-Beh, e cosa dovremmo fare ora? – spalancai le braccia, già infastidito: un minimo di aiuto da parte sua non guastava.
-Pensavo avessi già deciso cosa fare. Dimenticare tutto, no? Facciamo come se nulla fosse successo e fine. – terminò con una risata amara.
-Guarda che questo in non l'ho mai detto. Mi hai interrotto e non mi hai lasciato finire di dire quello che volevo dire.
-Beh, dillo ora! – incrociò le braccia al petto.
Sospirai e mi passai una mano tra i capelli. –E' evidente che tra di noi c'è una forte attrazione fisica. –continuai, a bassa voce. Era abbastanza imbarazzante: non mi era mai capitato di dover parlare con una ragazza di quello che facevamo.

Lei arrossì palesemente e abbassò lo sguardo.
-C'è, secondo te? – le chiesi conferma.

-A quanto pare...- disse in un sussurro.
-Beh, ricordi quella proposta...
Lei alzò la testa quasi di scatto. –Quella di essere "scopa-amici"?-
-Esatto... – deglutii. Non le andava bene.
In effetti mi aveva risposto di no, ma aveva comunque fatto sesso con me, perciò...
-Tu pensi di usarmi con un giocattolo, come hai fatto finora? – si alzò improvvisamente dalla sedia, strillando.
Quasi mi spaventai, ma mantenni la calma. –Io penso che tu non abbia ben capito il discorso che ti avevo fatto quando ti ho fatto la proposta: io non ti uso! Praticamente ci soddisfacciamo a vicenda quando ne abbiamo voglia. Non solo io, anche tu! Essere d'accordo di fare sesso non significa essere una puttana!
-No, infatti, non lo sarei, perché non mi pagheresti! – sbottò.
-Ma quanto cazzo sei testarda?! Ti vuoi sedere e calmarti? – mi misi a gridare anch'io.
-Non sono testarda, ho solamente un po' di amor proprio! Non vado in giro a darla a chi la vuole!
-Io non ti sto dicendo che devi darla a me e a tutti i miei amici, cazzo!
-Non ti permettere di parlare così apertamente della mia vagina!
Spalancai la bocca e per poco non mi venne da ridere. –Ma così come?! – gridai.
-Io non sono un fazzoletto usa e getta! – continuò ad urlare.
-E chi lo hai mai detto! Io no di certo!
-Beh, -abbassò la voce - mi tratti come tale.
A quel punto mi alzai anch'io, andandole incontro. Era chiaro che non riuscivamo a tenere una conversazione ragionevole seduti ad un tavolo.
-Quando mai l'ho fatto? - spalancai le braccia, abbassando anch'io il tono.
-Tutte le volte che mi hai baciata e poi mi hai detto di dimenticare tutto, come se non avesse alcuna importanza, ad esempio.-
Scossi la testa -Avevo i miei motivi.-
-quali?
Tornai a sedere al mio posto e lei fece lo stesso.
-non ha importanza, ora. - ce l'aveva invece più ora che prima, ma non glielo avrei mai detto comunque.
-le volte in cui mi abbassavi l'autostima a meno venti. - la sua voce si stava incrinando.
-Ero ubriaco, lo sai.
-Anche la seconda volta? - aveva gli occhi lucidi.
-Ti ho chiesto scusa, mi sembra.
-Mi ha fatto male lo stesso.- lasciò uscire un singhiozzo strozzato.
-Bea, perché piangi? - sospirai, appoggiando i gomiti sulla tavola e nascondendomi la testa tra le mani.
-n-niente..- balbettò tra un singhiozzo e l'altro.
Sospirai ancora una volta. -vieni qui. -
Lei mi guardò confusa. Le indicai le mie ginocchia e lei si alzò, girando attorno al tavolo per venire da me.
Sapevo che non avrei dovuto farlo, che anche se fossimo diventati scopa-amici, non avrei dovuto lasciare alcuno spazio per la dolcezza tra di noi, ma quando la vedevo piangere o stare male diventavo un'altra persona.
Si sedette cautamente sulle mie ginocchia e mi circondò il collo con le braccia, appoggiando la testa sulla mia spalla, pur di non guardarmi in faccia.
Era così sensibile che non sapevo mai cosa dire: non mi sembrava di aver fatto chissà cosa, o per lo meno avevo cercato di rimediare, ma forse a lei importava più di quanto credessi.
-Ehi, smettila di piangere...- la consolai, abbracciandola.
-non credi che se ci riuscissi avrei già smesso? - la voce rotta assieme alle sue grida, mi fecero venire quasi mal di testa.
Sbuffai, frustrato e la tenni stretta a me, finché non si calmò.
Dopo dieci minuti, si asciugò le lacrime -per fortuna che non era truccata - e mi guardò.
-Puoi continuare con il tuo discorso. -sentenziò, come se niente fosse.
Scoppiai a ridere. -io ho finito.
-che cosa? - si allarmò, stringendo la presa del suo braccio sulla mia spalla.
-Ho finito il discorso. Cos'hai?-
Allentò la presa e tirò un sospiro, che a me parve di sollievo.
-Bene, andiamo a guardare la TV. - si alzò dalle mie gambe e si indirizzò fuori dalla cucina, verso il soggiorno.
Ma questa è tutta matta, scossi la testa divertito.
-non mi mostri la tua cameretta? - scherzai, mentre la raggiungevo.
-non è affatto cambiata dall'ultima volta che sfortunatamente l'hai vista.- si buttò sul morbido divano bordeaux.
Io mi sedetti accanto a lei e poi accese la TV.
Dopo mezz'ora che stavamo guardando un programma demenziale su MTV, mi tolsi le scarpe e mi misi comodo sulla penisola, mentre lei si era stesa sulla parte lunga, con la testa accanto alle mie gambe. Volevo chiederle se volesse appoggiare la testa sulle mie gambe, ma poi non mi era sembrata una buona idea. In quel periodo non mi venivano tante buone idee, a quanto pareva.
-inizio ad avere sonno.- disse Beatrice, sbadigliando.
-Anch'io. Tua madre tornerà presto?
-Tra tre o quattro giorni.- rispose, con la voce sempre più debole.
-Bene, allora mi posso addormentare- chiusi gli occhi. D'altronde non avevamo dormito molto la notte prima.
Quando stavo per cadere nel vortice buio del sonno, la sua voce mi interruppe.
-Va bene.- disse in un sussurro.
-cosa? - continuai a tenere gli occhi chiusi.
-Facciamo sesso, quando ci pare e piace. Diventiamo scopa-amici.

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