Capitolo 43

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LUCA
Che bambina che era! Aveva un orgoglio superiore alla media ed era testarda come un mulo. Quando faceva così non riuscivo proprio a sopportarla.
Mi ero accorto che qualcosa non andava già dall'inizio della messa: pensando che nessuno la guardasse, non aveva quel suo solito sguardo sereno e rilassato di quando veniva in Chiesa, bensì si contorceva le mani e guardava il pavimento, con uno sguardo perso; non aveva detto la metà delle preghiere e non aveva cantato neppure una canzone, cosa che solitamente adorava fare. Non che io la fissassi sempre e tutto il tempo, sia chiaro, ma da quando avevamo gli amici in comune, da quattro anni e mezzo, avevamo iniziato a sederci vicini e alcune volte mi scappava da ridere quando si metteva a cantare oppure quando recitava le preghiere, per conto suo, non rispettando il ritmo lento degli altri.
Mi passai le mani tra i capelli, frustrato, pensando che non si sarebbe fatta convincere tanto facilmente: quando decideva una cosa, da testarda com'era, non c'era modo di farle cambiare la prospettiva delle cose.
Tornai dal gruppo di nostri amici e notai che si era di nuovo aggregata e stava provando –inutilmente – a sorridere e ostentare serenità.
Lì non avrei potuto dirle niente, ma l'avrei fatto dopo, non c'era modo che mi scappasse: non avevo nessuna intenzione di farle passare il Natale da sola; non sapevo quale fosse stata la motivazione per cui sua madre avesse deciso di partire proprio per Natale, ma comunque ormai era fatta, quindi non mi importava.
Andrea stava raccontando aneddoti del suo viaggio di due giorni in macchina a Torino ma io non lo ascoltavo e avevo gli occhi fissi su Beatrice; lei faceva di tutto per non incontrare il mio sguardo e parlava con Giulia di argomenti stupidi e inutili, che sapevo erano solo un capro espiatorio: sapevo che la stavo guardando.
-Cos'hai mangiato tu prima? – le chiese Martina, dopo averle detto che si era abbuffata di spaghetti alle vongole.
-Mah, la solita roba a base di pesce. – Beatrice stette sul vago ed io fui curioso di sapere cos'avesse mangiato realmente. Dubitavo che si fosse preparata un cena con i fiocchi.
-Del tipo? – le chiese Giulia?
-Ehi, domattina voi venite a messa? – mi accorsi di chiesto io solo quando tutti si girarono verso di me. Non sapevo perché ero intervenuto e immaginai fosse un lapsus. Ahia.
-No, penso che starò a letto fino a tardi. Tanto sono già venuto stasera. – rispose Gabriel. –Anzi, è proprio ora che vada, perché inizio ad avere sonno.
-Sì, anch'io. Domani avevo intenzione di venire, perciò è meglio che vada a dormire.-intervenne Beatrice. Sì, come no.
-Eh, sta iniziando a venire sonno anche a me. – dissi, constatando l'espressione scocciata di Beatrice.
-Bene, buon Natale a tutti e buonanotte. – rispose, prima di andarsene.
-Sì, infatti, buon Natale. – risposi anch'io e feci per incamminarmi ma caso voleva che il parroco, don Ambrogio, mi fermasse.
Ma non doveva fare gli auguri a tutti?! Aveva già finito? E poi Dio dovrebbe arrivare sempre al momento giusto, secondo il principio della Provvidenza di Manzoni? A me non sembrava.
-Non sei venuto a confessarti ieri mattina. Come mai? – mi guardò sorridendo, ma capii che in fin dei conti era serio.
-Ehh, ho avuto un attacco di diarrea incredibile, mi creda.
-Potevi venire anche questa mattina: io sono sempre qui.
-Sì, ma l'attacco è durato tutta la notte. Non vede come sono dimagrito? – mi passai le mani lungo il corpo, scherzosamente. –Non me la sono sentita, mi dispiace.- finii in fretta, perché volevo fermare Beatrice prima che si barricasse in casa.
-Dio sa se dici bugie. – mi guardò ancora più serio di prima.
-E Dio sa che le dico per una giusta causa. – risposi in fretta – mi scusi ma devo andare. – gli diedi una lieve pacca sulla spalla in segno di scuse e gli voltai le spalle.
Mi incamminai sul marciapiede di fronte alla chiesa, ma fui fermato ancora una volta, sentendo chiamare il mio nome.
Tommaso mi corse incontro e mia madre si avvicinò camminando. Mio fratello volle che lo prendessi in braccio e quando si metteva in testa una cosa, c'era poco da fare: non avrei potuto fare altro che accontentarlo. Mi ricordava qualcuno.
A quel punto mi arresi: se era scappata dal mio invito e voleva passare il Natale sola come un cane, allora sarebbe stato così. Io ero stanco di correrle dietro. Amen.
Sospirai, frustrato e tenni il passo di mia madre, anche perché Tommy stava diventando abbastanza pesante, perciò non potevo nemmeno camminare tanto veloce.
-Prima ti stavo cercando, ma non ti ho visto con i tuoi amici. – esordì mia madre, tranquilla.
-Sì, dovevo risolvere una specie di questione.
-Con chi?
-Con un altro mio amico.
-Non ti droghi, vero? -
Mi girai a guardarla, stranito. –Ma come ti viene in mente?
-E allora che "specie di questione" dovevi risolvere? – mimò le virgolette.
-Con Beatrice. – sospirai. Non c'era alcun bisogno di mentirle.
-Bea. – ripeté Tommy, mezzo addormentato sulla mia spalla.
-E cioè?
-Ma non lo vengo di certo a dire a te. – risposi, ovvio.
-Dai, sono tua madre.
-Appunto.- chiusi la questione.
-Ehi, guarda, non è proprio lei, quella? – disse, dopo un po'.
Mi girai nella sua direzione e poi verso quella che stava indicando con il dito. Sul marciapiede, molto più avanti di noi, Beatrice – riconoscibile dalla sua sciarpa viola di lana – stava camminando tranquillamente verso l'incrocio che separava le nostre vie.
-Cazzo. Mamma tieni Tommaso. – glielo passai velocemente e lei esclamò qualcosa, sorpresa.
-Ma dove vai? – mi chiese, mentre cominciavo a correre.
-Torno subito.-
Corsi abbastanza veloce, ma non mi dovetti sforzare più di tanto. L'errore lo feci quando urlai il suo nome per farla fermare; ma ovviamente, quando si girò e si accorse che ero io, fece tutto il contrario e cominciò a correre anche lei.
Per fortuna che avevo le gambe più lunghe e molto più fiato di lei, infatti riuscii a raggiungerla praticamente subito. La bloccai da dietro per i fianchi e la cinsi con entrambe le braccia.
-Ehi, fermati.- anche se non aveva molto senso, dato che l'avevo fermata io.
Cercò di divincolarsi, ma io strinsi la presa. Affondai il viso nella sua sciarpa calda e morbida, che aveva il suo profumo delizioso e la strinsi forte fin quando non si calmò e smise di dimenarsi.
-Sei una bambina, lo sai?
-Luca, lasciami subito andare. – mi ordinò, calma ma concisa.
-No se non vieni a casa con me.
-Non voglio venire!
-Sì, invece, solo che sei troppo orgogliosa per ammettere che non vuoi veramente passare il Natale da sola.-
Intanto la gente continuava a passare, tornando a casa, accanto a noi, ma io non mi ero mosso di una virgola e la stringevo ancora, sniffando la sua sciarpa.
Si abbandonò contro il mio corpo e sospirò, come se avessi centrato il segno, ma poi rovinò tutto con un: -Non è affatto vero.
-Va bene, non è vero, ma vieni a casa mia?-
Lei si girò tra le mie braccia e mi guardò, gli occhi coperti per metà dalla cuffia che aveva in testa.
-Luca, non posso. Poi bisognerebbe prima chiederlo a tua madre e non credo che le farebbe... – non la lasciai finire: la presi per un braccio –perché per mano mi sembrava troppo intimo di fronte a mia madre – e la trascinai verso Tommaso e la mamma.
-Dove stiamo andando?
-A chiedere il permesso a mia madre. – risposi ovvio.
-Mamma, - esordii, quando fui abbastanza vicino da scorgere l'espressione perplessa di mia madre. Già, mi ero dimenticato che quell'inseguimento e quella specie di abbraccio era accaduto sotto i suoi occhi; chissà cosa doveva aver pensato. –La madre di Beatrice è in viaggio, non è che potrebbe passare il Natale da noi?-
Mia madre guardò prima me, poi Beatrice con gli occhi spalancati:-Hai passato la cena della vigilia da sola? Oh, tesoro, certo che puoi venire a casa nostra!-
Per fortuna avevo una madre così sensibile.
-Ma non è un problema restare a casa, non voglio disturbare... – iniziò quella testarda di Beatrice.
-Ancora? Ma la smetti? – sbuffai, infastidito.
-Luca! – mi rimproverò, poi si rivolse a lei. –Non è di nessun disturbo, Beatrice, tranquilla.- le fece un sorriso amichevole.
-Il problema è che io avrei anche... –ah, Lilium!
-Bene, – la interruppi –Allora noi andiamo a prendere la sua roba e arriviamo.
-Sì, io metto a letto Tommy, intanto. – mi accorsi solo in quel momento che il mio fratellino, ossessionato da Beatrice, non si era messo a strillare per andare in braccio a lei e non aveva gridato il suo nome.
-Sì, però io volevo... – continuò Beatrice, ma la fermai per una terza volta.
-Andiamo, Bea, è già l'una e mezza, non vorrai fare le tre! – la trascinai sempre per il braccio e dissi a mia madre che ci saremmo visti poco dopo.
-Perché non mi hai lasciato dire che c'era anche Lilium? Non lo posso lasciare a casa da solo per un giorno e mezzo!- mi tirò una pacca sulla spalla.
-Ehi! – protestai, toccandomi la parte dolorante. –Perché se non lo sa non potrà dire di no. – risposi, ovvio.
Lei si fermò proprio mentre stava aprendo la porta di casa sua.
-Ma sei un idiota! – strillò. Ero sicuro che avesse svegliato anche la sua vicina taccagna. –Io non vengo, basta. – continuò, perentoria.
Sbuffai. –Dai, Bea. Ti giuro che non dirà niente. Non le piacciono molto i cani, ma sono sicura che appena lo vedrà, se ne innamorerà.
-Io invece penso di no. – rispose, aprendo la porta e cercando di chiudermi fuori, con poca convinzione, ma io riuscii a tenerla aperta e ad entrare.
-Neanche fosse un cane che distrugge tutto quello che c'è in casa. -
Lei mi ignorò e si incamminò su per le scale.
-Lilium! – lo chiamai, vedendolo accucciato ai piedi del divano. Quando sentì chiamare il suo nome, si tirò su e mi corse incontro.
Mi chinai per accarezzarlo, poi lo presi in braccio e salii le scale per dire a Beatrice di darsi una mossa.
-Ehi, ma che stai facendo?! – esclamai, quando la vidi indossare il pigiama.
-Vado a letto.
-No, adesso tu ti vesti, metti il pigiama in una borsa e mi segui fuori dalla porta.
-Non mi puoi dire cosa devo fare. – si impuntò, pestando un piede per terra.
-Bea, ne abbiamo già parlato, sai come la penso.
-Sì, esatto. E non mi interessa.-
Sospirai, cercando di trovare una soluzione.
-Allora il pigiama te lo tolgo io. – mi avvicinai prima che potesse impedirmelo e le alzai la maglia, mentre lei si divincolava e protestava.
-No, smettila! – mi ordinò, quando le mie dita fredde entrarono in contatto con la pelle nuda della sua pancia. E come ciliegina sulla torta, iniziai anche a farle in solletico, sulle costole, dove lei lo soffriva di più.
-Alza le braccia! – risi, quando cercai di tirarle ancora più su la maglia del pigiama.
-No!- provò di non ridere, ma non ci riuscì.
Quando riuscii finalmente a toglierle la  maglietta, mi prese un desiderio profondo e la spinsi immediatamente sul suo letto. Fare sesso la notte di Natale sarebbe stato terribilmente significativo. E non sapevo se fosse un bene o un male.
Si lasciò togliere i pantaloni mentre ancora stava ridendo e poi presi a baciarla. E non ridemmo più.
-Ti va? – le chiesi, tra un bacio e l'altro.
-Sì. – rispose Beatrice, decisa, togliendomi la maglia.
Fu una cosa veloce: mi spogliò rapidamente con una smania tale che sembrava volesse mangiarmi e io feci altrettanto con la sua biancheria intima.
Per fortuna avevamo diviso i preservativi tra camera mia e camera sua, perché non avrei potuto aspettare altro per entrarle dentro. Mi sembrava di non averne mai abbastanza. Fare sesso con lei mi piaceva come mai mi era piaciuto il sesso occasionale con una ragazza. Il problema era che, ahimè, non sapevo spiegarmelo.
Non riuscivo a credere che ogni volta che la vedevo in mutande e reggiseno o in asciugamano o anche tutta vestita mi venisse duro, pur conoscendo già il suo corpo nudo; non riuscivo a spiegarmi il perché degli improvvisi brividi che mi percorrevano la schiena non appena le entravo dentro, come in quel momento, oppure mentre la baciavo. Non mi era mai capitato e non sapevo decidere se tutto ciò mi piacesse o no.
Beatrice gemette quando mi spinsi in profondità dentro di lei, fino a riempirla tutta e mi mordicchiò il collo, facendo mugolare di piacere anche me.
Da spinte lente, di adattamento, divennero più ritmiche, veloci e i nostri gemiti risuonavano nel silenzio di quella casa, che non avrebbe dovuto esserci il giorno di Natale.
-Luca... – ansimò lei, poi invertì le posizioni con una spinta.
Wow. La lasciai fare, nonostante fossi maschilista e avessi sempre optato per la classica posizione di donna sotto e maschio sopra che domina. Ma lei mi aveva già fatto capire di non pensarla allo stesso modo, quando eravamo scoppiati in una discussione sull'emancipazione femminile che doveva partire in principio dalle posizioni sessuali e si era conclusa con noi che facevamo sesso contro la porta chiusa della mia camera; in questo modo non ci sarebbe stato un sotto o sopra, perché lei era in braccio a me.
Era la terza volta che lei voleva stare sopra e le prime due non sembravano essere state di suo gradimento. Sperai che il fastidio che mi aveva detto di provare le fosse passato, perché il vederla sopra di me, con i seni che sobbalzavano, quello sguardo intenso e tirato dal piacere era sicuramente la cosa più eccitante che avessi mai visto. Mi stavo fottutamente perdendo.
Appoggiò le mani su mio petto, si chinò per baciarmi con gli occhi chiusi ed io la cinsi con entrambe le braccia.
Gemetti quando cambiò il movimento che scontrava i nostri bacini e vidi mille stelline diverse davanti ai miei occhi chiusi. Stavo per venire, lo sentivo.
Con un gemito lunghissimo – così forte che la vicina bisbetica avrebbe potuto fare fantasie erotiche per ben tre notti -, venni dopo pochi istanti, ma continuai a spingere finché non sentii anche il suo profondo gemito e anche dopo: mi piaceva troppo, quella sensazione.
Diversi respiri profondi dopo, lei si alzò e si stese sul letto accanto a me, ovviamente coprendosi con il lenzuolo per le sue manie pudiche ed io andai in bagno a togliermi il preservativo e sciacquarmi la faccia: vedevo ancora stelline dorate.
-Nascondilo un po', Luca! – gridò Beatrice dalla sua stanza. – mi guardai attorno confuso, ma poi capii che si riferiva al preservativo. Così mossi un po' la spazzatura, per fortuna non trovando assorbenti sporchi e lo ficcai il più sotto possibile avvolto nel suo involucro e in pezzi di carta igienica.
Quando attraversai il corridoio buio notai Lilium ancora accucciato a terra che giocava con un pupazzetto esattamente dove lo avevo lasciato. Per fortuna non l'avevo lasciato in camera o mi sarei sentito osservato. Chissà se Lilium aveva mai visto Beatrice nuda. Era pur sempre un maschio, anche se era un cane.
Notai che si era messa già reggiseno e mutande e si stava rimettendo il pigiama. Sbuffai, ma poi mi venne in mente un'idea migliore.
-E se rimanessi io a casa tua? In effetti non mi va molto di rivestirmi e camminare. – proposi, mentre mi mettevo i boxer – ordini di Beatrice, che non voleva che io girassi nudo come un verme davanti ai suoi occhi, anche se sapevo che lo desiderava ma era troppo puritana per ammetterlo.
Mi buttai sul letto e abbracciai il cuscino.
-E Tommy? Vorrà aprire i regali con te, domani mattina. – fece una smorfia dolce.
-Beh, mi alzo presto e torno prima che si svegli.-
Lei alzò le spalle come a dire "fai come vuoi" e allora capii che le faceva piacere passare il Natale con me.
Proprio nel momento in cui Beatrice si stava stendendo sul letto e io stavo impiegando tutte le mie forze per non abbracciarla, il mio cellulare squillò.
Sbuffai e le chiesi di prendermelo nella tasca dei jeans.
-E' tua madre. – me lo porse.
-Sì?- risposi, sbadigliando.
-Vieni a casa o no? – sembrava esasperata.
-In realtà pensavo di restare da Beatrice.
-No, tu vieni a casa perché non sopporto più tuo fratello. E porta anche Beatrice. – mi ordinò e sentivo in sottofondo la voce di Tommaso che diceva qualcosa.
-In che senso non lo sopporti più?
-Nel senso che si è svegliato, non vuole tornare a dormire e minaccia di dire a Babbo Natale di non venire anche per te se non ci siete. – sospirò ed io feci una risatina. –Ho commesso lo sbaglio di dirgli che Beatrice sarebbe venuta qui.-
Sbuffai, perché non avevo la minima voglia di rivestirmi e andare fino a casa mia, ma di malavoglia mi alzai.
-E va bene, arriviamo tra un po'.-
Beatrice girò di scatto la testa verso di me. Non sembrava del tutto d'accordo.
Riattaccai con mia madre e mi rivolsi a lei sospirando.
-Bea, Tommaso non vuole andare a dormire e minaccia di non far venire Babbo Natale anche per me stanotte, se non torniamo a casa mia. – le dissi le testuali parole di mia madre. – E' questione di vita o di morte: io non posso finire nella lista dei cattivi di Babbo Natale.- dissi, con aria innocente.
Lei scoppiò a ridere, quando mi aspettai che mi rimproverasse perché la stavo prendendo in giro: sapeva che Tommaso era il tipo da dire quelle cose.
Sbuffando, però con un sorriso, si tolse i pantaloni e la maglietta e indossò un paio di jeans con un maglione.
-Però domani torno a casa prima di pranzo. – mi puntò il dito contro.
La guardai allibito. –Cioè, hai cenato da sola per la vigilia e vuoi cenare da sola anche il giorno di Natale? Ma quanto sei testarda!
-Io non penso che ai tuoi parenti faccia piacere che ci sia anch'io: te l'ho detto, non sono di famiglia e di sicuro chi ci ospiterà non avrà voglia di preparare da mangiare anche per una sconosciuta.
-Oh, ma tu non sei una sconosciuta per mia nonna. – le sorrisi ammiccando, sapendo che ora non aveva più nessuna scusa. –Il pranzo si terrà a casa di mia nonna e tu hai già avuto modo di conoscerla, anzi, sono sicuro che le farà piacere rivederti.-
Lei mi fissò in silenzio come se stesse riflettendo su qualcosa di molto complicato, poi si girò di spalle per prendere una borsa e infilarci dentro il pigiama piegato.
-Quindi dovrò prendere qualcosa di elegante da mettere? – mi chiese dopo un po'.
-Beh, puoi metterti anche una tuta, per quanto sia importante quel pranzo, ma a me piace vederti vestita elegante, perciò, sì, porta quel vestito nero che avevi messo una domenica a messa. – le confessai, con un sorriso.
-Quale? Ne ho quattro.- fece aprendo l'armadio. Mi stupii sinceramente del fatto che non mi avesse contrariato dicendo che non potevo dirle cosa doveva mettersi.
-Quello un po' corto, ma non troppo, fatto di macramè nero, con le spalline...- non mi intendevo di queste cose.
-Largo o stretto?
-Normale.- aggrottai le sopracciglia.
Sbuffando, li tirò fuori tutti e quattro e li stese sul letto. Così potei scegliere il mio preferito. Il nero metteva in risalto i suoi capelli biondi e il fatto che fosse un vestito mi piaceva, perché adoravo le sue gambe.
Lo piegò per bene e lo introdusse nella sua enorme borsa assieme ad un cardigan corto beige.
Sparì per tre minuti, immaginai fosse andata in bagno, e tornò con una trousse piena di trucchi, un dentifricio, uno spazzolino e una spazzola per capelli. Aveva riempito la borsa solo con quelli. Quante storie che facevano le ragazze, mamma mia; io quando andavo da un mio amico a dormire mi portavo dietro il pigiama –solo d'inverno- e lo spazzolino, punto.
-Ci sei?- le chiesi, spazientendomi.
Prese, sempre in silenzio, un paio di stivaletti neri con un po' di tacco e introdusse anche quelli nella borsa. Come facesse a starci tutta quella roba era un mistero.
-Aspettami di sotto. – mi disse, correndo in bagno un'altra volta. Chissà cosa doveva prendere ancora.
   Cinque minuti dopo, mi raggiunse e si incamminò verso l'albero di Natale accanto alla televisione per prendere tre sportine colorate.
-E quelli? – le chiesi, vedendo che li appoggiava per terra accanto alla borsa.
-Sono regali. – rispose, vaga. –Quindi posso portare anche Lilium?
-Certo. –presi il guinzaglio dal cassetto dell'ingresso e lo legai al collare del cagnolino.
Quando finalmente uscimmo da casa sua, avevo talmente sonno che quasi non mi reggevo in piedi: aspettare che una donna sia pronta toglie molte energie.
   Camminammo in silenzio, io che tenevo Lilium al guinzaglio e lei che si sistemava sempre la sua borsa in spalla – che ero sicuro le avrebbe lasciato il segno, per quanto era pesante – e arrivammo finalmente a casa mia in un lasso di tempo che sembrò infinito.

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