Capitolo 53

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BEATRICE
Era già passato un mese e mezzo e mi ero abbastanza abituata all'assenza di Lilium in casa mia. Mi mancava però guardare la tv sul divano con lui in braccio o studiare sul letto mentre lui giocava ai piedi sul pavimento con qualche pupazzetto. Mi mancava lui...
Luca aveva continuato ad abbracciarmi i giorni successivi e ci ripetevamo continuamente che eravamo amici quindi potevamo farlo, perciò ignoravamo completamente quella regola e quando avevamo voglia di abbracciarci, ci abbracciavamo con quasi nessun imbarazzo.
D'altra parte, facevamo ancora sesso senza baciarci e ogni volta era sempre più difficile, ma continuava lo stesso ad essere bello e non faceva più così schifo come una volta.
Tra l'altro, e questa era la cosa che mi preoccupava un po' di più, avevamo continuato a dormire abbracciati, perché io, la sera dopo, con la scusa che stavo ancora male, gli avevo chiesto di dormire di nuovo come la notte precedente e da lì non avevamo più smesso.
Lo sapevo, ci stavamo avvicinando un po' troppo, ma in quel momento la cosa non sembrava avere conseguenze, perciò non c'era motivo per smettere. Anche perché mi piaceva molto.
-Quindi, cosa farai per il tuo compleanno, Luca? – gli chiese Andrea, mangiando una fetta di torta.
Era mattina e Andrea aveva pensato bene di venire a casa mia a svegliarci di malo modo, continuando a suonare il campanello con veemenza ed io ero talmente buona da stargli anche preparando la colazione.
-Non voglio fare niente. – rispose infastidito.
Già, quel giorno, per via del molesto risveglio, non era proprio di buon umore.
-Niente?
-Almeno non con te. – ribadì seccato, ma sapevamo tutti e tre che scherzava.
Presi la tazza con il latte caldo fuori dal microonde e la appoggiai sulla tavola davanti a Luca, il quale cominciò a inzuppare i biscotti con il broncio.
-Dai, sei arrabbiato per come vi ho svegliato? –ridacchiò.
-Per come ci hai svegliato? Vuoi dire per come ci hai rotto il cazzo alle otto di mattina di domenica? – ribatté.
-Tanto ci saremmo dovuti alzare comunque, lo sai. – intervenni io, con la tazza di latte – avevo deciso di cambiare un po' – in mano.
Andai verso il tavolo e mi sedetti su di un ginocchio di Luca.
Ah, sì, c'era anche quel piccolo particolare. E anche Andrea sembrava esserne sorpreso, per come rimase lì impalato.
Era risultata una cosa talmente normale nelle ultime settimane che nemmeno mi ero preoccupata che ci fosse un nostro amico.
Il fatto che a colazione mi sedessi sempre sulle ginocchia di Luca era iniziato una mattina in cui io ero scoppiata a ridere, come facevo sempre, quando lo avevo visto con i baffi bianchi per il latte sopra alle labbra; allora lui si era offeso e mi aveva chiesto di toglierli e mentre lo facevo con un tovagliolo bagnato, lui mi aveva spinto per farmi sedere su di lui.
La cosa si era ripetuta anche la seconda mattina in cui era venuto a dormire da me in assenza di mia madre e da lì mi aveva detto scherzosamente che tanto valeva che ogni mattina mi sedessi direttamente su di lui e poi gli asciugassi la bocca. Io, però, l'avevo presa alla lettera e così era stato per le seguenti settimane fino a quella mattina, omissis quando sua madre faceva colazione con noi.
Una volta, però, era successa una cosa che non si era mai più ripetuta e che non aveva creato nessun imbarazzo le volte seguenti perché avevamo deciso semplicemente di eclissare e non parlarne più: mentre ero seduta sul suo ginocchio e lui aveva finito di sorseggiare il suo latte, stavamo ridendo per una cosa che aveva appena finito di dire e senza nemmeno accorgercene ci eravamo avvicinati talmente tanto da risultare normale poi baciarci. E così era stato: ci eravamo baciati e si poteva dire che così gli avessi tolto anche i baffi di latte, ma poi ci eravamo subito staccati, tornato come sempre alla ragione.
   Anche in quella circostanza aveva scherzato dicendo che allora potevo toglierglieli sempre così i baffi, ma quella volta non lo avevo presto alla lettera.
-Okay... – prolungò la "o" – perché fate colazione una in braccio all'altro?- domandò lecitamente, Andrea.
-Beh... sì... è... – provai a spiegare la verità, ma mi resi conto che agli occhi di un altro poteva sembrare veramente stupida come cosa.
-Fatti i cazzi tuoi. – Luca mi venne drasticamente in aiuto e, anche se era stato burbero, lo ringraziai mentalmente, perché sapevo che con quella risposta, Andrea non avrebbe fatto altre domande.
Infatti, si limitò a scuotere la testa e a tagliare un altro pezzo di torta allo yogurt che avevo fatto la sera prima perché non mi piaceva ciò che Luca stava guardando in tv.
-Ma non vuoi fare proprio niente niente? – continuò il discorso del compleanno. –Insomma, sono diciotto anni.
-E allora? – era sempre più seccato e gli diedi un colpetto con la mano sul ginocchio per dirgli di smetterla perché mi stava altamente su quando faceva così.
-Neanche una serata all'Angel o vedere un film a casa tua? – domandai io e lui scosse la testa con un tenero sorriso. A quel punto, mi sentivo importante...
-Fai tu. Se non fai qualcosa io il regalo non te lo faccio. – scherzò Andrea.
-Puoi non farmelo comunque. – rispose nuovamente scocciato. –Senti, te ne puoi andare, così possiamo tornare a letto?
-Per fare cosa? – ammiccò Andrea ed io arrossii sistemandomi meglio sul ginocchio muscoloso di Luca e lui mi cinse un fianco.
-Continuano a non essere affari tuoi.
-Puoi restare quanto vuoi, tranquillo, è solo di cattivo umore. – intervenni, ma Andrea nemmeno mi sentì, continuando a guardare Luca con un'espressione strana.
-Ci stai ancora provando? – domandò.
-Piantala. – Luca gli rivolse un'occhiataccia.
-Sul serio, ancora niente? – ridacchiò Andrea.
-Ti ho detto di smetterla, cazzo. – Luca alzò la voce e io alternai lo sguardo tra i due, non capendo, fino a quando non realizzai.
-Oddio, gliel'hai detto? – mi voltai verso di lui, incredula.
Lui non rispose e Andrea imprecò sottovoce.
Feci per alzarmi dalle sue ginocchia e lui strinse più forte il mio fianco, ma con uno strattone mi liberai.
-Grazie tante, forse è meglio che te ne vai. – si rivolse arrabbiato al suo amico, poi si alzò.
-Mi dispiace, io... – iniziò a dire Andrea.
-Forse è meglio che lo segui e te ne vai anche tu. – indicai il corridoio e quindi la porta di casa.
-Bea, io non... – lo interruppi.
-Luca, sono cose mie personali! – gridai, con gli occhi lucidi per l'imbarazzo – non ci credo che gliel'hai detto! Vi siete fatti due risate? – lo spinsi fuori dalla cucina, accecata dalla rabbia e dall'umiliazione: già mi c'era voluto del tempo per dirlo a lui e poi a Giulia, figuriamoci se un mio amico maschio lo veniva a sapere!
-A chi altri l'hai detto? Francesco, Gabriel? Tutta la scuola?! – continuai.
-Mi dispiace, aspetta non... – provò a giustificarsi, ma io lo spinsi ancora verso la porta.
-Lo sapevo che non potevo fidarmi di te! Per tutto questo tempo vi sarete divertiti a prendermi in giro, vero? "Non mi ha ancora fatto un pompino e nemmeno una sega. Non si è ancora fatta fare un ditalino ed è proprio fuori" – imitai la sua voce e aprii la porta spingendolo ancora fuori, poi la richiusi.
Mi venne da piangere e allora piansi, ma poi vidi spuntare Andrea dalla cucina e mi arrabbiai ancora di più.
-Esci subito! – gli gridai contro.
Lui mi ascoltò, sembrando quasi impaurito.
-Bea, guarda che lui non... – iniziò, sulla porta, ma io gliela chiusi in faccia, ignorando Luca, dietro di lui, che cercava di entrare.
Con il fiatone – perché Luca era veramente pesante da spingere per i miei scarsi e quasi inesistenti muscoli – tornai in cucina e tirai fuori una tazza dal mobile per scaldare l'acqua e ci immersi una bustina di tè dentro. E non mi importava se mi faceva diventare ancora più nervosa, tanto più di così...
Ancora non ci credevo. Glielo aveva detto ed io avevo visto la faccia di Andrea, poco prima, schernirmi a mia insaputa e chissà quante volte avevano riso di questa cosa.
Sapevo che non era normale avere timore dei preliminari dopo aver fatto sesso, ma non ci potevo fare niente... e pensavo che Luca si stesse adattando e che non gli creasse problemi aspettare, invece...
Il mio cellulare vibrò sul tavolo per la quarta volta ed io lo ignorai continuando a parlare da sola e ad asciugarmi le lacrime per il nervoso.
Ignorai anche il campanello che continuava a suonare e che forse prima o poi si sarebbe rotto per tutte le volte che era stato suonato quella mattina.
Quando presi in mano il cellulare, sul blocco schermo vidi i due messaggi di Luca.
"Dai, Bea, mi dispiace. Mi lasci entrare?"
"Parliamo, ti prego. Non l'ho detto a nessun altro"
Questo non mi rincuorava più di tanto, perché comunque Andrea non era una tomba sigillata fino alla morte, come si era già potuto notare.
"No, non ti voglio parlare", risposi, consapevole di sembrare una bambina, ma in fondo, in quella circostanza, mi sentivo tale.
Dopo pochi minuti mi arrivò un altro messaggio. Quello mi fece sentire meglio.
"Non posso tornare a casa scalzo e in pigiama"
"Arrangiati", sorrisi, ma non per divertimento.
Lui non mi rispose più e anche il campanello smise di suonare; probabilmente la mia amata vicina gli aveva urlato qualcosa dalla finestra.
Allora potei proprio lasciarmi andare e girai per la casa, pur sapendo di sembrare una pazza, parlando da sola, piangendo e passando l'aspirapolvere.

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