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Il cinguettio degli uccelli mi sveglia, allungo la mano e trovo lui, pelle ambrata, capelli ricci, una leggera barba ricopre il suo volto e lascia spazio a delle labbra rosee e carnose.
Gli accarezzo il viso ancora dormiente.
Sorrido.
Lo guarderei dormire per ore e ore, ma devo preparare la valigia per il volo. Apro la finestra per fare entrare un po' d'aria, il sole non era ancora alto e un sussurro di vento fresco riempe la camera, preparo la colazione, faccio una doccia, mi vesto e faccio i bagagli, non avrei dovuto portare tante cose, sarei stata fuori solo tre giorni, anche se l'ora successiva mi accorsi di aver messo in valigia quasi tutto il mio armadio.
Sento dei passi provenire dalla camera da letto e dirigersi in cucina. «Buongiorno.» La sua voce mi riporta alla realtà, «Buongiorno tesoro.» Dico dandogli un bacio a stampo. Cingendomi la vita mi domanda: «Hai già preparato la valigia?» Annuisco.
Le sue labbra si curvano in un sorriso. «Vado a farmi una doccia.» Lo vedo allontanarsi da me, il suo corpo era sodo, i muscoli erano al proprio posto, le sue braccia tatuate. Era stato scolpito da Michelangelo pensai, mi sentivo davvero fortunata ad avere un uomo come Kelvin al mio fianco, non solo per il suo aspetto fisico o il suo lavoro, ma per il suo cuore, aveva un gran bel cuore, era buono e generoso con tutti e con lui tutti i miei pensieri svanivano.
Pranzammo in una caffetteria vicino casa e dopo aver preso le valigie e averle caricate in macchina ci dirigemmo a Coverciano per salutare mio padre prima della partenza.
Il cancello si aprí, andai alla reception dell'edificio e chiesi dove si trovasse, una donna dai capelli biondi raccolti in uno chignon e dall'aria seria mi indicò una porta «La seconda a sinistra.» Aveva detto, così mano nella mano con Kelvin, piegai la maniglia e ci ritrovammo mio padre impegnato in uno schema calcistico e 26 facce puntate verso di noi.
«Scusate il disturbo, non volevamo interrompere ma tra due ore abbiamo il volo. Ci vediamo fra tre giorni mister».
Mio padre venne verso di noi e mi abbracciò «Va bene tesoro, stai attenta, miraccomando. Ciao Phillips.» Tese la mano in segno di saluto e Kelvin la strinse. Non so il perché, ma sin dal primo giorno per mio padre era sempre stato "Phillips", mai "Kelvin", cose calcistiche pensai, e Kelvin ormai si era fatto l'abitudine.
Stavamo per uscire quando una voce ci fermò «Mister, chi è questa ragazza?» Mi voltai di scatto, Lorenzo Insigne mi stava guardando, il solito curiosone, mio padre non esitò a rispondere «Mia figlia.»
Tagliai corto e dissi «Le presentazioni le faremo fra tre giorni.» Volevo essere io a presentarmi alla squadra, non sapevano che Mancini avesse una figlia nonostante io avessi già 20 anni, non potevo biasimarli, ho sempre preferito stare lontano dai riflettori, vivere una vita "normale", ma purtroppo l'aereo ci aspettava e non c'era più tempo, ma un altro commento si alzò «Simpatica la ragazza.» A parlare stavolta fu Ciro Immobile, il migliore amico di Lorenzo, erano fatti per stare insieme quei due, la coppia che scoppia mi piaceva chiamarli.
Con un «Ci vediamo», un bacio dato a mio padre, che nel frattempo rideva sotto i baffi, e un saluto generale da parte mia e di Kelvin uscimmo dall'edificio e ci dirigemmo all'aeroporto.

Era già primavera inoltrata, le rondini volavano nel cielo limpido, senza nuvole. Una leggera brezza mi scompigliò i capelli, feci un respiro profondo e sorrisi leggermente, amavo la primavera, anche se l'inverno era da sempre stata la mia stagione preferita.
In realtà ero la solita persona che in inverno aveva la nostalgia dell'estate, e in estate la voglia di inverno.
~

Kelvin mi scosse la spalla leggermente, non mi ero accorta di essermi addormentata in aereo.
«Siamo arrivati?»
«Si.»
Anche lui aveva aver dormito, aveva gli occhi stropicciati dal sonno.
L'aria londinese si faceva sentire, era più fredda rispetto a quella di Coverciano, il cielo non era più azzurro e limpido, ma coperto da un telo di nuvole grigie.
Una macchina nera ci accompagnò a casa di Kelvin, amavo casa sua, era spaziosa e piena di vetrate.
La mia stanza preferita era il salotto, in inverno mi piaceva leggere un libro sul tappeto che poggiava sul lucido pavimento in marmo e riscaldarmi alla luce del camino scoppiettante.

~

Tre giorni passarono velocemente purtroppo, dovevo solo prendere un paio di cose prima di tornare in Italia, un paio di giorni prima mio padre mi chiese se avessi voluto passare con lui il periodo degli europei e io accettai, non lo vedevo quasi mai a causa del lavoro, e inoltre anche Kelvin doveva iniziare gli allenamenti con la squadra, so quanto fosse importante per lui questo europeo e mi sembrava giusto lasciarlo dedicarsi totalmente a questo, d'altronde metteva sempre tutto se stesso in qualunque cosa facesse, era una delle tante cose che amavo di lui, se aveva un obiettivo in testa doveva raggiungerlo, era convinto che l'Inghilterra avrebbe vinto gli Europei e conoscendolo ormai da tre anni sapevo che avrebbe fatto di tutto pur di confermare la sua tesi.

La mattina della mia partenza ci svegliammo presto, il volo era nel primo pomeriggio, ma ovviamente dovevo andare in aeroporto almeno due ore prima per il check-in. Ogni volta che uno dei due partiva la sensazione era sempre quella. Tristezza. Non sapevamo mai quando ci saremmo incontrati di nuovo, facevamo del nostro meglio per portare avanti la relazione, il primo che aveva la possibilità andava a trovare l'altro ovunque fosse, non era facile ma a noi andava bene.
Lo abbracciai così forte, come da voler imprimere ogni parte del suo corpo nella mia mente, il suo odore mi inondò le narici, un profumo forte ma non dava fastidio, forte ma delicato, era il solito profumo maschile che però sulla sua pelle cambiava totalmente.
La sua mano sollevò il mio mento facendo incontrare i nostri occhi, posò le sue labbra sulle mie, presi la valigia e mi allontanai, diretta verso l'aereo, pronta per tornare in Italia.

109 || Federico Chiesa ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora