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Erano luce i suoi occhi.

Chissà se in questo periodo gli sono apparsa nella mente, ho invaso i suoi sogni qualche notte, qualche oggetto gli ha ricordato me, se mi abbia pensato, tutte domande che vorrei tanto chiedergli, ma che rimarranno per sempre segregate nel mia testa.

Lo vedo abbracciare i suoi compagni di stanza, di nuovo felici di stare insieme.

Tutti prendiamo posto lungo l'enorme tavolo al centro della stanza, il solito, io come sempre tra Matteo e Ciro, mentre Federico era parecchio più in là, quasi a inizio tavolo, mentre io ero verso la parte centrale, eravamo distanti.

«Allora ragazzi...» inizia mio padre.
«Prima di tutto bentornati e benvenuti, per chi è nuovo.
Secondo, ancora complimenti, a voi e a noi, perché ce la siamo meritata tutta quella coppa, ogni centimetro. Volevo dirvi ancora grazie, so di avervelo ripetuto almeno un milione di volte, ma non mi stancherò mai di dirvelo. Grazie perché con voi ho vissuto un'esperienza meravigliosa, grazie perché ci avete ricordato cosa significa essere italiani, cosa vuol dire essere felici per il proprio paese, grazie per averci fatto vivere un po' di magia, sì, perché non è sempre solo questione di strategia, a volte bisogna anche avere un pizzico di fortuna. Siete stati la mia soddisfazione più grande, certo... sempre dopo mia figlia.» si ferma in una piccola risata, e poi riprende.
«Adesso abbiamo un nuovo obbiettivo, i Mondiali, non vi nego che sarà più difficile, ma possiamo farcela, l'ho visto il mese scorso e lo vedrò anche a dicembre. Ciò che davvero mi importa in questo momento è che voi non perdiate né la speranza e né la magia di quelle notti magiche, perché sono state davvero magiche.»

Mi ero commossa, avevo gli occhi lucidi, ad uno ad uno stavo rivivendo tutti i momenti passati qui, e non faccio altro che ricordare come momenti belli anche quelli brutti.

***

Sono sdraiata sul letto a pancia in su, fissavo il soffitto della stanza, sperando di prendere sonno, mi sentivo gli occhi pesanti come due macigni, stavano per chiudersi, ma non si chiudevano mai del tutto, c'era sempre qualche pensiero che li faceva rimanere aperti, ma il segno che mi fa capire che quel pomeriggio non avrei dormito, è il mio telefono appoggiato sul comodino accanto a me che squillava, allungo il braccio, lo prendo.

Kalvin. Ancora.

Sospiro.

Non ho voglia di parlare con lui, anche perché non saprei neanche cosa dirgli, ma allo stesso tempo se non risponderò lui non smetterà di chiamarmi, lo conosco.

«Pronto?»
«Mia...»
«Kalvin cosa vuoi?»
«Possiamo parlare..?»

Respiro, mi alzo dal letto e mi fiondo davanti la finestra aperta per prendere un po' d'aria.

«Non ho niente da dirti.» dico con tono severo, gelido.
«Beh, io sì.» mi risponde con voce ferma.
«Mi dispiace tanto, davvero, non puoi neanche immaginare cosa io stia passando in questi giorni...» continua.
«Perché, credi che per me invece sia stata una passeggiata?!» quasi urlo a ripensare al tutto il dolore che mi ha fatto provare.
«Non ho detto questo... dico soltanto che mi manchi, non è più la stessa cosa... è vero ho fatto una cazzata, l'abbiamo fatta entrambi...» riferendosi a Federico.
«E so che riusciremo a passarci sopra, in passato abbiamo superato cose ben peggiori...»

E quali sarebbero..?

«Cos'è peggio di un tradimento..?» gli domando, ma da lui ricevo solo silenzio, che già vale come risposta.
Non sta facendo altro che arrampicarsi sugli specchi, perché si sta trovando con le spalle al muro, non sa da chi andare.

Ma lui dov'era quando io non sapevo da chi e dove andare? Dov'era quando ho dovuto passare un'intera notte accovacciata su una panchina per colpa sua? Dov'era quando piangevo con la faccia premuta sul cuscino del mio letto?

109 || Federico Chiesa ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora