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Federico si trovava quasi alla fine della lunga tavolata, accanto al ragazzo che avevo visto pomeriggio agli allenamenti, Nicolò Barella.
Chiesa aveva la mano destra chiusa in un pugno sotto il mento, lo sguardo assente, i suoi occhi guardavano un punto fisso, era pensieroso, o magari solo stanco.
«Mia, in che stanza sei?»
La voce mi costringe a far slittare i miei occhi dal viso di Federico Chiesa, a quello di Federico Bernardeschi.
«109» rispondo, forse con troppa superficialità.
Matteo Pessina mi guarda e sorride «Sei con noi in stanza»
Noi?
«Non ti annoierai» dissero all'unisono Lorenzo e Ciro con un sorriso in faccia.
Ero sempre più convinta che quei due fossero fratelli nati da due madri diverse.
Si dice che di solito i gemelli abbiamo una connessione speciale, come se uno vivesse nell'altro. Ecco. Immobile e Insigne non erano gemelli, ma sicuramente uno viveva nell'altro.
Con serietà dissi «Lo vedremo..», quasi con diffidenza, ma subito dopo le mie labbra si curvarono in un sorriso, non riuscivo a rimanere seria con "la coppia che scoppia".
Così, facendo due più due, ho scoperto a chi appartenevano i letti e tutto quel disordine in camera: i vestiti piegati alla perfezione sul letto accanto al mio erano sicuramente di Pessina, mentre tutte le maglie sparse su gli altri due letti appoggiati alla parete opposta, tutti i jeans ancora dentro i borsoni, beh, non serve che ve lo dica.

La serata continua in modo tranquillo, Bonucci e Chiellini parlano tra di loro, ridono e scherzano.
Istintivamente il mio sguardo va a Lorenzo e Ciro, poi ritorna dal Capitano e il vice, di nuovo a Lorenzo e Ciro e poi ancora da Bonucci e Chiellini.
Mi accorsi che Immobile e Insigne sarebbero diventati come Giorgio e Leonardo tra un paio d'anni, sempre quelli di una volta, sempre amici, uno sempre pronto ad aiutare l'altro.
Io mi trovai subito con Matteo, eravamo molto simili, un ragazzo tranquillo, solare e con i piedi per terra ma la testa fra le nuvole, era un gran sognatore, quando parlava del calcio i suoi occhi brillavano, era proprio la sua passione divenuta poi, il suo lavoro.

Mi alzai dal tavolo spostando la sedia delicatamente, odiavo il rumore delle sedie che sfregavano sul pavimento, e mi diressi fuori, sulla terrazza in fondo la stanza. Volevo prendere una boccata d'aria, ma ero anche curiosa di vedere il paesaggio da quassù, l'hotel era pieno di verde, alberi e piante, mio padre mi ha anche detto di una piscina, lì da qualche parte. L'hotel era grandissimo, sapevo solo la strada che portava al campo, alle camere, e ai pasti, c'erano ancora tante cose da vedere, mi ero ripromessa di andarlo a visitare tutto prima della fine degli europei.
L'aria era piacevolmente fresca, il cielo stellato, Orione sempre in vista e la luna piena.
Il terrazzo non era poi così grande, c'era un piccolo lampione appeso al muro ruvido che illuminava lo spazio solo per metà.
Poggiai le mani sulla ringhiera nera piena di ghirigori, e feci un respiro profondo. Mi sporsi un po' di più. Sì. Il panorama era ancora più bello visto da qui.

Mi accorsi di non essere sola, nell'ombra del terrazzo c'era qualcuno, un ragazzo, sicuramente un giocatore, c'era solo la squadra in quella stanza, e in più durante la cena non ho visto nessuno entrare.
Aveva i pugni stretti sulla ringhiera e il respiro affannato.
È possibile che non mi abbia sentito arrivare?
«Stai bene?» dissi a bassa voce, come se avessi paura che qualcuno ci avesse potuto sentire.
«Non ne voglio parlare.» Rispose secco.
Era Federico Chiesa.
Non mi ero accorta che si fosse alzato durante la cena.
Mi avvicinai un po', con cautela, come se fosse un animale ferito, e proprio perché ferito, era ancora più pericoloso, pronto ad attaccare.
Arrivai a pensare che io fossi il problema, che la mia presenza lì con loro fosse un problema.
«Ti sto antipatica?» Iniziai. La sua bocca si aprì, ma non gli diedi il tempo di ribattere. «Ho notato che scherzi con tutti ma con me no, ho fatto qualcosa di sbagliato? Il problema sono io?» Dissi tutto ad un fiato.
I suoi occhi guardano i miei, non riuscivo a capire cosa stessi facendo io, ma soprattutto lui, non riuscivo a capire le sue emozioni, dal suo viso non trapelava nulla.
Non so il perché ma mi ritrovai senza fiato.
Feci per dire qualcosa, ma adesso fu lui ad interrompermi.
«Come potresti esserlo?» Un sussurro.
Una domanda o un affermazione?
Non lo vidi più, non era più di fronte a me, pensai di essermelo immaginato, ma sicuramente non era così.

Rientro dentro, lo cerco, ma nulla, non c'è, il posto accanto a Nicolò è vuoto.
Sarà in camera.
I miei piedi partono, non ho più il controllo su di loro, anzi, loro hanno il controllo su di me.
Una scarica che parte dalla pancia sale e mi avvampa il viso. Rabbia.
Sono arrabbiata, confusa, frustrata.
Come potresti esserlo?
Quella frase mi risuonava in testa.
Che vuol dire?
I miei piedi continuano, non so se stessi correndo o camminando, salgo le scale. Ecco il corridoio con le stanze.
Eccomi davanti la sua camera, forse.
Pomeriggio, in campo, ho sentito Nicolò dire di essere nella 112, ho intuito subito che Federico fosse in stanza con lui dato che dove c'è uno, c'è anche l'altro.
Non busso, giro la maniglia entro nella stanza e chiudo la porta alle mie spalle con più forza di quanta ne volessi.
La stanza è simile alla mia, pareti color cappuccino, pavimento in legno e una grande finestra nella parete sinistra.
Anche i letti sono uguali, due nella parete destra, e due nell'altra, uno era ancora intatto, forse non ci dormiva nessuno.

È lì. Sdraiato su uno dei due letti a destra, forse l'altro accanto al suo era di Barella.
I suoi capelli sprofondavano sul cuscino candido, le gambe rilassate lungo il letto e le mani tenevano il telefono.
Gira la testa distrattamente e appena si accorge della mia presenza si mette a sedere.
È teso.
Rompo il silenzio.
«Non ti credo.» La mia voce è ferma e costante, nonostante la rabbia non urlo.
«Non mi importa, puoi lasciarmi solo per favore?»
Quella sua sufficienza e superficialità riaccendono il fuoco che avevo cercato di controllare.
Non lo degno neanche di una parola, ho le labbra serrate e la bocca asciutta, voglio solo andare in camera mia, fare una doccia per rilassare in nervi e dormire.

La mia stanza era a un paio di metri più in là della sua, dieci passi ed ero di fronte alla porta in legno con il numero "109" dorato.
Entro, ma ero tutt'altro che sola, Matteo era seduto sul mio letto, Nicolò era in quello accanto, mentre negli altri due c'erano Ciro, Lorenzo e Bernardeschi.
Mi lascio cadere accanto a Matteo e butto un lungo sospiro.
Sento tutti gli occhi su di me,
Barella mi guarda con viso accigliato.
«Che hai?»
«Nulla.» I miei occhi sono persi nel vuoto.
Ancora quella frase.
Come potresti esserlo?
«Impossibile, si vede che c'è qualcosa che non va» Aggiunge
Matteo.
«Dov'è Federico?» Si unisce Bernardeschi.
Odio essere al centro dell'attenzione.
Respiro.
«L'ho lasciato in camera sua.»
Barella soffoca una risata «Ecco con chi sei arrabbiata, è successo qualcosa con lui?»
La rabbia aumenta, non ce la faccio più.
«È arrogante e presuntuoso!» Dico alzando la voce, faccio una pausa, sbatto gli occhi più volte e guardo in basso.
«E ho la sensazione che mi odi» Questa volta uso un tono più basso.
Le labbra di Nicolò si tirano indietro in un sorriso rassicurante, si sporge in avanti e mi accarezza la mano «Non è così, solamente sta passando un brutto periodo con Benny..»
Doveva essere la sua fidanzata.

Tiro un sospiro, di nuovo.
Prima Nicolò e poi Federico escono dalla stanza, lasciandoci da soli.
Matteo mi guarda, lo vedo preoccupato, ma non dico nulla, ho fatto il pieno per oggi.
Mi alzo dal letto e mi dirigo verso il bagno, apro l'acqua e aspetto che si riscaldi.
Nonostante fossimo a fine maggio l'acqua calda mi aiutava a rilassarmi, i miei pensieri scivolavano dalla mia mente come questa scivolava sul mio corpo.

Mi presi un po' di tempo, noncurante del fatto che altre tre persone avrebbero dovuto lavarsi.
Dopo 15 minuti abbondanti uscì dalla doccia mi misi un paio, di pantaloncini e una maglietta abbastanza larga che avevo rubato a Kalvin e mi lasciai sprofondare sul letto.
Presi il telefono e controllai l'orario 23:56, mi ritrovai un messaggio: "Buonanotte amore", sorrisi e risposi "Goodnight love".
Da quando io e Kalvin stavamo insieme, lui si sforzava di parlare in italiano, mentre io in inglese, e così anche i messaggi.
Mi ricordo che all'inizio ha avuto un po' di difficoltà con l'italiano, la cosa più difficile erano i verbi, invece adesso era diventato abbastanza bravo, adoravo il suo accento britannico.
Con quel ricordo chiusi gli occhi, con la speranza di sognarlo, invece..
Come potresti esserlo?

SPAZIO AUTRICE

Buongiornooo, scusate l'inattività, ma ho passato un paio di giorni frenetici, ma sono tornataaa, cercherò di pubblicare ogni due giorni 🤞🏻
Intanto spero che questo e gli altri capitoli vi stiano piacendoo🙃





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