3

1.5K 53 2
                                    

Mi vesto, metto un semplice top bianco con dei jeans a vita alta e con i capelli ancora umidi scendo al piano di sotto per raggiungere i ragazzi a cena.
Trovo una tavolata lunghissima, mi accorgo di un posto vuoto e mi siedo. Il mister era a capotavola, alla mia destra c'era invece Bonucci, mentre a sinistra Pessina, purtroppo mio padre mi aveva passato il "vizio" di chiamare per cognome i giocatori, l'abitudine.

Fu una cena abbastanza tranquilla, chi parlava di qua, chi di là. Io avevo troppa fame per chiacchierare, sì, ero passata dalla caffetteria il pomeriggio, ma il mio stomaco era come se fosse un buco nero, risucchiava immediatamente tutto quello che si trovasse attorno.
Una voce si diresse direttamente a me. «Insomma Mia, parlaci un po' di te.» Ciro, ovviamente.
«Cosa ti interessa sapere?» Dissi, alzando lo sguardo dal piatto e mettendo una mano sotto il mento.
Non mi piacevano queste tipologie di domande, non amavo parlare di me.
Ed ecco che rispose. «Come hai conosciuto Phillips?»
Ci avrei scommesso.
Non so il perché ma dal primo minuto mi accorsi che tra l'Italia e l'Inghilterra non c'era poi così tutto questo amore, certo, non come la Francia, tra noi e i francesi non c'era soltanto antipatia, quello era odio puro.

Al ricordo di me e Philips mi scappò un sorrisino.
Era novembre, inverno inoltrato, un'agenzia mi aveva offerto l'opportunità di un viaggio studio a Londra per tre mesi.
In uno di quei week-end londinesi io e altre due amiche, Sarah e Nicole, decidemmo di passare una domenica sera diversa, di solito preferivo stare a casa con una pizza e qualche serie tv, ma quel giorno avevo solo voglia di bere ed essere felice.
Ci mettemmo due ore a prepararci, io avevo un tubino nero aderente, tacchi neri a spillo con un cappotto color cammello.
Era già sera, i lampioni illuminavano le strade che erano umide per la pioggia del pomeriggio, il cielo era senza stelle, mentre la luna si vedeva a malapena.

Il locale era scuro, pavimento nero lucido, pareti nere che diventavano vinaccee per le luci, led soffusi tutti attorno al soffitto.
Nicole mi prese il braccio e mi tirò al banco degli alcolici, iniziammo con uno shot di tequila.
Mi sentii osservata e spostai lo sguardo su uno dei divanetti in pelle nera che si trovavano quasi al centro della stanza, fin quando non trovai un paio di occhi verdi.
Un ragazzo con la pelle olivastra, i capelli ricci come molle, giacca bianca e dei semplici pantaloni neri.
Smisi di guardarlo, sentii il mio viso avvampare, ringraziai la bassa luminosità della stanza così da non fare notare al ragazzo che il mio volto era arrossito.
La serata continuò, alla fine non bevvi così tanto come avevo programmato, i miei occhi cadevano automaticamente al divanetto nero. Adesso lui rideva con quello che forse doveva essere un suo amico. Rideva con piacere, doveva essere davvero felice. Lui mi guardò. Di nuovo. Scostai subito la testa, ma con la coda dell'occhio notai che fece un ghigno.
Faceva molto caldo dentro il locale, così andai in bagno, aprii il rubinetto, passai la mano sotto l'acqua e mi tamponai il collo e  il viso, facendo attenzione al trucco.

Quando tornammo a casa mi misi le mani nelle tasche in cerca delle chiavi, ma al posto loro trovai un bigliettino stropicciato. Era lui. Il suo numero. Il cuore iniziò a battermi così forte, che ebbi seriamente paura che uscisse dal mio petto.
Appena riuscimmo ad aprire la porta mi lasciai cadere sul letto, tenendo quel pezzettino di carta stretto al petto.

«E poi..?» Fece Nicolò. Aveva entrambe le mani che sostenevano il mento, sembrava un bambino che ascoltava il nonno raccontargli una storia.

La mattina dopo decisi di cercarlo, mi rispose quasi subito, decidemmo di incontrarci il pomeriggio. Stranamente il cielo di Londra era limpido, ma il vento era gelido.
Lo trovai già alla caffetteria quando arrivai.
Era lì da tanto?
Spero di no.
Ero sempre puntuale, erano le sei spaccate del pomeriggio, evidentemente lui aveva paura di arrivare in ritardo.
Gli chiesi se stesse aspettando da molto, ma lui rispose di no. Tirai un sospiro di sollievo.
Risi un sacco quel giorno, era davvero simpatico, sembrava che ci conoscessimo da una vita. Era un giocatore, aveva 22 anni, ne avrebbe compiuti 23 il due dicembre, tra un paio di giorni.

Il 30 novembre io, Sarah e Nicole tornammo in Italia, lui si offrii di accompagnarci. Carino da parte sua. Il viaggio in macchina con lui fu meraviglioso, iniziammo a cantare a squarciagola come delle ragazzine, con la mano, stretta a pugno che usavamo per microfono.
Nonostante ci volesse un'ora per raggiungere l'aeroporto, il tempo sembrò passare molto più velocemente, un battito di ciglia e mi ritrovai già sull'aereo.
Il giorno del suo compleanno facemmo una videochiamata, passammo un'intera ora a parlare. Mi disse che avrebbe festeggiato con un paio di suoi amici al pub dove ci siamo incontrati. Feci una risata.

I mesi passavano ed io mi affezionavo sempre di più a Kalvin.
Febbraio. Tra qualche giorno avrei compiuto diciotto anni. Sento il campanello suonare, sarà mio padre, mi affacciai dal balcone e lo vidi. Pensai fosse un miraggio, non poteva essere vero, non poteva essere lì, scesi di corsa le scale, ancora in piagiama e ciabatte, aprii il portone e lo abbracciai. Kalvin mi strinse forte e posò la testa nell'incavo tra la spalla e il mio viso. Lo sentii prendere un respiro. Gli ero mancata. Io feci lo stesso, mi era mancato.
Rimase fino al 21 febbraio, il giorno dopo del mio 18 esimo.
Lo accompagnai all'aeroporto, il primo di un'infinita serie di viaggi, mi scese una lacrima, la prima di tante.
Ed ora eccoci qua, tre anni dopo. Non abbiamo un giorno preciso per festeggiare il nostro anniversario, anzi -mi correggo- festeggiamo il nostro anniversario il giorno del nostro primo "ti amo", il 28 aprile.

Mio padre mi guardava, era felice, felice per me, felice che sua figlia si sia innamorata di un così bravo ragazzo, potrei giurare di averlo visto sorridere.
Sentii una voce. «Interessante.» Quasi un sussurro, mi girai. Chiesa. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, parlò forse senza accorgersene.

109 || Federico Chiesa ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora