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I giorni continuano senza sosta, allenamento e riposo.
Da quella sera, in cui nella mia camera io e Federico avevamo accennato al bacio, tra noi due sembrava essere tornato il sereno, la tranquillità, io con Kalvin e lui con Benny.
Sembrava che il loro momento di crisi fosse passato, notavo che lei lo chiamava più spesso e lui era più felice.
Mentre tra me e Kalvin era tutto più schematico, ci sentivamo alla stessa ora, ogni giorno, non c'era nulla di nuovo.

Era l'ultimo di giugno, non potevo credere che tra 11 giorni sarebbe finito tutto, se non prima.
Forse proprio per questo, per allentare un po' la tensione, mio padre aveva pensato di portarci in campagna, tutti insieme.

L'autobus ci viene a prendere dopo la colazione e dopo mezz'oretta ci lascia in una strada piena di ciottoli che portava ad un cancello di ferro nero.

Il sole, nonostante fosse ancora mattina, picchiava già forte.
Raggiungiamo il cancello, mio padre lo apre, ed arriviamo in una grande distesa di prato verde, vivace.
Le uniche zone d'ombra erano create dai grandi alberi, cresciuti nello spiazzale, infatti, proprio sotto uno di questi era apparecchiato un tavolo, pronto per mangiare.

Quando avevano avuto il tempo di sistemarlo?

«Il proprietario dell'hotel ci ha messo a disposizione la sua villa estiva, quindi ho pensato di trascorrere qui la giornata di oggi» dice mio padre felice.

Ci voleva un po' di svago, stare a contatto con la natura non poteva che farci solo bene.

Il prato sembrava non finire, e di fronte a i noci enormi c'era una casa, altrettanto grande, tutta bianca, col tetto marrone, sembrava una di quelle solite case che si vedono nei film americani, quelle solite ville con la fontana e qualche statua greca sparsa qui e lì.

Ovviamente, la partitella non poteva mancare, avevamo portato più di un pallone e con dei pezzi di legno abbastanza grandi, conficcati nella terra, Donnarumma aveva improvvisato una porta.
Anche se dovevamo riposarci, la testa era sempre lì, al calcio.
Non riuscivano a rilassarsi per un giorno, e poi si lamentavano di essere sempre stanchi...

Si inizia a riscaldare la brace, e il dj ufficiale della nazionale attacca con le sue canzoni, che ormai erano diventate anche le nostre.

Mentre io e Matteo ballavamo, mi sento improvvisamente tutta la schiena bagnata, mi giro di scatto e vedo Barella con un sorriso maligno e una bottiglia vuota in mano.
«Te la farò pagare.» dico a bassa voce.

Subito mi metto alla ricerca di un qualcosa da riempire. Sul tavolo prendo anch'io una bottiglia di plastica e la riempio d'acqua fino all'orlo con la fontanella attaccata alla parete della casa.

Corro, facendo cadere qualche goccia per terra.

Dov'è Nicolò?

Continuo con la mia ricerca, fino a quando non lo trovo. Si stava nascondendo dietro Bernardeschi.

Sorrido, mi avvicino piano, e faccio segno di silenzio a Federico, così da non far scappare Barella che era dietro le sue spalle e non mi aveva ancora visto arrivare.

Allungo il braccio che attraversa la spalla di Berna e si ritrova su Nicolò che ancora non si era accorto di nulla, e capovolgo la bottiglia.

Ecco che tutta l'acqua finisce sulla sua testa fino a scivolare anche sui vestiti.

Lui si gira di scatto.

Inizia la guerra.

Corre, si dirige alla fontanella pronto per riempire la sua di bottiglia e inizia l'inseguimento.

Cerco di allontanarmi il più possibile da lui, ma mi raggiunge. Mi scaraventa anche lui l'acqua nei capelli.

Avevo la testa fradicia e la maglietta mi si incollava al corpo, così era anche Barella.

109 || Federico Chiesa ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora