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Il clima si faceva sempre più caldo, era ormai giugno, e tra pochi giorni i ragazzi avrebbero dovuto giocare la loro prima partita.
Si sentiva già la tensione nell'aria, erano tutti molto tesi ma non vedevano l'ora di scendere in campo, da quasi un mese si allenavano senza sosta, erano più che pronti a battere la Turchia.

Dal giorno dell'abbraccio io e Federico siamo diventati ottimi amici, mi aveva parlato di Benny e del periodo che stavano attraversando, la distanza faceva male, a lei mancava lui e come a lui mancava lei, a me mancava Kalvin.

«È una donna fantastica..» aveva detto una sera dopo cena mentre eravamo seduti su una panchina.
«È solare, intelligente, gentile, generosa, é...» si fermò, forse per le troppe parole che gli stavano venendo in mente, come un computer, un sovraccarico e dopo buio, tutto nero.
Poggiai la mia testa sulla sua spalla «Lo so..»
Sorrisi, mi ricordava me, avevo la sua stessa faccia, i suoi stessi occhi quando parlavo di Phillips, ero felice per lui.
«È fortunato ad avere una persona come te» disse Federico guardando il cielo stellato.
«Chi?»
«Kalvin» rispose con così tanta naturalezza facendo spallucce
«Perché dici questo..?» Alzai la testa dalla sua spalla e lo guardai, adesso il suo viso non era più puntato in alto ma si era perso ad osservare la natura scura davanti a noi.
«Perché sai ascoltare, e di persone che sanno ascoltare non se ne trovano quasi più, oggi la gente è così piena di sé che si dimentica degli altri..»

Era malinconico, mi piaceva tanto quando era così, pensieroso, i suoi occhi fissi nel vuoto, fermi nel presente, ma che in realtà viaggiavano tra i ricordi.
«Anche lei è fortunata ad averti»
«Tu dici?» questa volta si giró a guardarmi.
Io annuii «Sei puro..»
Lui fece un piccolo sorriso, mi avvolse con un braccio e chinó la testa sui i miei capelli.
Rimasimo così ancora un po', illuminati dalla debole luce del lampione e delle stelle, in silenzio, con le menti vuote o forse troppo piene da sembrarlo.

«Rientriamo?» Mi alzai dalla panchina, l'aria iniziava a diventare fresca, ed io avevo una semplice canotta nera, volevo un po' riscaldarmi al chiuso.
«Tu vai, voglio stare ancora un po' qui..»
«Va bene» gli rivolsi un leggero sorriso per poi andare in hotel.

Attraversai la sala da pranzo ormai deserta, salii le scale ed entrai in camera.
Vuota.
Né Matteo, né Ciro, né Lorenzo. Nessuno.
Strano...
Uscì dalla camera e bussai alla 112, la stanza di Nicolò, Federico e Berna.
«Avanti»
Entrai ed eccoli lì, tutti a parlare con tutti, sparsi sui quattro letti.
«Potevate avvisare!» dissi con le braccia incrociate al petto, sedendomi sul letto vuoto accanto a quello di Nicolò.
«Sapevamo che saresti venuta comunque» si giustificarono Ciro e Lorenzo, alzando le mani in segno di resa.
«Stronzi» feci una smorfia con una finta risata e stringendo gli occhi.
Gli altri si misero a ridere, e sinceramente neanche io mi riuscì a trattenere.

La porta si apre e Federico entra nella stanza un po' infreddolito, rivolge un saluto generale a tutti con un sorriso e si siede accanto a me.
Con ancora la risata presente sulle mie labbra, gli chiedo «Ti siedi sempre accanto a me, perché?» ogni tanto ci facevamo queste domande, ci piaceva  punzecchiarci a vicenda.
Federico abbassa lo sguardo e si mette a controllare il letto, accarezza le lenzuola, sposta in avanti la testa per guardare il cuscino e poi con un espressione ovvia dice «Perché è il mio letto..»
I miei occhi si muovono velocemente attraverso questo.
Giusto.
«Giusto..»
Lui sorride e scuote la testa.

«Che facciamo?» dico sfregandomi le mani. Tutti si guardano tra di loro, in cerca di qualche idea, poi a proporre qualcosa è Nicolò.
«Obbligo o verità..?»
Seriamente?
Ma la cosa che più mi stupì fu la conferma dei ragazzi, Lorenzo e Ciro per primi.
L'unico "No" fu il mio, ma mi pregarono così tanto che alla fine mi convinsero.

109 || Federico Chiesa ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora