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Mi giravo e rigiravo nel letto, mi coprivo e scoprivo con il lenzuolo, sentivo caldo e poi freddo.
Apro gli occhi e guardo l'ora: 5:06. Sospiro. Gli altri stavano ancora dormendo, si sarebbero dovuti svegliare tra un paio d'ore.
Non riuscivo a prendere di nuovo sonno, così, attenta a non fare rumore, metto una felpa, jeans, Nike ma prima di uscire mi fermo ad osservare i ragazzi.
Matteo dormiva tranquillo, con la pancia in giù e le mani sotto il cuscino, poi, facendo attenzione a non colpire le scarpe e i borsoni che erano a terra mi avvicino al letto di Lorenzo e Ciro, che dormivano abbracciati.
Provo a trattenermi ma non riesco a non sorridere, erano troppo teneri.
Piano piano apro la porta e la richiudo alle mie spalle.

Volevo camminare, mi aiutava a pensare e a schiarirmi le idee.
Percorro il corridoio, scendo le scale, attraverso la hall dell'hotel ed esco dalla porta di vetro principale.
Appena metto un piede fuori, l'aria fresca mi inonda il viso e, accompagnata da quel vento mi immergo nel verde dell'edificio.
Ero sola, completamente sola, gli alberi verdi e rigogliosi, le api che si poggiavano sui fiori appena sbocciati, serenità.
Mi sedetti su una panchina in pietra bianca e ammirai tutto questo, la natura viva.
Poi sollevai il volto, non c'era neanche una nuvola e il sole scopriva i suoi primi raggi di luce, il cielo era ancora violaceo, grigio a tratti e a volte si macchiava del nero delle rondini.
Immaginavo questo posto in inverno, neve, alberi spogli, magari passare qui il natale con Kalvin.
Kalvin.
Vorrei chiamarlo, adesso, dirgli quanto mi manca, ma sicuramente starà ancora dormendo e non voglio disturbarlo.
Tra un paio di settimane sarebbe iniziato tutto, si allenava ogni giorno e riuscivamo a sentirci solo la sera con una chiamata veloce o un semplice messaggio, ma a me questo bastava.

Erano ancora solo le sette del mattino ma iniziavo ad avere fame, la mia pancia insisteva con i suoi mugugni però non mi andava di fare colazione in hotel con sempre le stesse cose, cappuccino e toast con burro e marmellata ai frutti rossi, così mi alzai dalla panchina e continuai a camminare, alla ricerca di una caffetteria in centro.
Dopo un po' la trovo: parete in mattoni, e un'enorme vetrata dalla quale vedo quelle che sembrano fumanti brioches,
non appoggio le mani sul vetro per non sporcalo ma mi sembrava di essere una bimba davanti ai regali la mattina di Natale.
Per un momento sbiancai. I soldi. Non avevo con me il portafoglio, non pensavo che avrei mangiato fuori, poi però mi ricordo che metto sempre qualcosa dentro la cover del telefono, così sperando di trovare qualsiasi cosa, sollevo la custodia e trovo cinque euro, solo li ricomincio a respirare.
Allora entro e il profumo di dolci appena sfornati mi riempie il naso, prendo una brioches al cioccolato e mi siedo in un tavolino in fondo.
Il posto era molto caloroso e accogliente, c'era un camino spento accanto a me che sicuramente in inverno riscaldava la stanza che non era poi così grande, mi ricordava tanto quelle caffetterie americane dove andavi a prendere una cioccolata calda in una giornata piovosa.

Cammino ancora, quando, verso le 11 decido di tornare in albergo, avevo fatto un bel po' di strada a piedi, me ne accorsi per il fatto che era passata un'ora e mezza da quando decisi di tornare.
Il sole era già alto e l'aria era molto più calda rispetto a stamattina presto.
Arrivo in hotel, sicuramente staranno pranzando, infatti trovai sia mio padre -come sempre a capo tavola- che la squadra lungo il solito tavolo a mangiare.
Mio padre era ancora seduto quando lo abbracciai da dietro e gli diedi un bacio in guancia.
Lui sorrise e mi domandò: «Dov'eri stamattina?»
«Volevo camminare un po'»
«Va bene.. Non mangi nulla?»
«No, adesso non ho fame, magari prendo qualcosa dopo»
«Come vuoi.» Fece spallucce.
Salutai gli altri ragazzi e accarezzai la spalla del mister, per poi andare in stanza.
Mi chiudo in bagno e faccio una doccia.

Poco fa Federico mi guardava strana.

Sarà forse per ieri sera?

Non lo so, forse.

Scendo per la cena, c'erano ancora pochi ragazzi, Spinazzola, Bonucci, Chiellini, erano sempre i più puntuali loro, colazione, pranzo o cena, erano sempre i primi ad arrivare.
Io mi siedo verso il centro del tavolo, entrambe le sedie accanto a me erano vuote, fino a quando, quella di sinistra non viene occupata da Federico.
Con la coda dell'occhio vedo che il suo sguardo è dritto davanti a sé. A cosa starà pensando?
Dopo qualche secondo arriva la domanda che conferma:
«Possiamo parlare?» Si gira a guardarmi.
Mi giro a mia volta.
«Non ho niente da dirti.»
«Io si.» Dice lui subito dopo.
Non dico nulla, lo guardo soltanto, volevo solo che finisse tutto il più velocemente possibile ma nel frattempo non avevo voglia di parlare con lui dopo la scorsa sera, ma sapevo che se avessi continuato a rifiutare, lui avrebbe insistito quindi mi arresi.
«Okay, ne parliamo dopo in camera tua.» Tagliai corto, usando il tono sufficiente con il quale mi aveva parlato lui ieri sera.

Non so il perché, ma durante la cena ero rigida.
Anche lui.
Non ho detto quasi nulla.
Nemmeno lui.
Non ho parlato quasi con nessuno.
Lui neppure.
La serata sembrò durare un'eternità, ma finalmente quando tutti stavano iniziando ad alzarsi per andare a dormire, io e Federico andammo in camera sua.
Lui aprì la porta, fece passare prima me, da vero gentiluomo, e infine mi seguì.
Feci un sospiro per scaricare la tensione, mi misi le braccia al petto e iniziai io.
«Quindi?»
«Volevo chiederti scusa per come ti ho trattata ieri..»
Era spaventato.. Spaventato dalla mia possibile reazione, spaventato perché sapeva di aver sbagliato. Sincero.
Continuò a guardarmi, aspettandosi una risposta da parte mia che non si fece attendere.
«Va bene, scuse accettate..» Ero un po' diffidente nei suoi confronti, apprezzo davvero le sue scuse, ma non può riversare la rabbia che prova sugli altri.

Ci fu un lungo silenzio pieno di tensione ed imbarazzo, io non mi aspettavo nient'altro da parte sua, e lui aveva detto ciò che doveva dire, quindi attraversai la stanza e feci per andarmene.
«Aspetta.»
Mi girai istintivamente, non ero sicura di aver sentito quelle parole, leggere come un soffio di vento.
Adesso aveva gli occhi bassi, stava guardando il tappeto come se fosse la cosa più interessante che ci fosse nella camera.
«Cosa..?» Dissi senza sapere se quella parola fosse riferita alla frase che ho sentito un paio di secondi prima, oppure perché non avevo sentito bene.
«T-ti sbagli, non ti odio..»
Mi guardò per un istante e poi i suoi occhi tornarono in basso.
Continuò, io non mi azzardai a spiccicare parola.
«Sto.. Sto attraversando un periodo difficile con Benny..»
Disse mantenendo il viso all'ingiú.
Mi avvicinai lentamente come il giorno prima, gli poggiai la mano sulla spalla, e anche se lui era più alto di me, dovetti abbassare la testa per cercare i suoi occhi che alla fine trovai.
«Vuoi parlarne..?» Dissi a bassa voce, sempre con cautela.
Nella mia bocca comparve un leggero e quasi impercettibile sorriso, volevo rassicurarlo, potevo immaginare quello che stesse provando, la distanza non era semplice, e lo sapevo fin troppo bene, volevo aiutarlo, faceva sempre bene parlarne con qualcuno.
Alzò il viso.
«No, ho bisogno di un abbraccio..»

109 || Federico Chiesa ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora