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Ed eccoci alla cena.
Visto che ci aveva portato fortuna, adesso era vietato non versare il vino in tavola.
Oggi è stato Barella a rovesciare il bicchiere, ed ognuno, ad uno a uno ci portiamo qualche gocciolina sulla pelle.

Mi metto ad osservare tutto il tavolo, mio padre, lo staff, i giocatori, e vengo inondata da una sensazione agrodolce.
Mi rendo conto di essere davvero felice e subito mi porto avanti con i giorni.

Ci arriveremo in finale?
Vinceremo?
La nostra avventura finirà prima del tempo?

Bisognava prendere in considerazione tutte le possibilità.
Ogni partita poteva essere l'ultima negli Europei, ogni sera prima della partita, poteva essere l'ultima sera prima della partita, ogni viaggio di andata poteva essere l'ultimo viaggio di andata.

Il fatto è che non volevo tornare alla realtà, pregavo che quest'avventura durasse il più a lungo possibile.
L'ho già ripetuto un casino di volte, ma eravamo una grande, enorme famiglia, eravamo complici, non avrei mai pensato di sentirmi così a casa, fuori casa.

«Mia, ci sei?» dice Matteo di fronte a me.
«Si» annuisco e sorrido convinta.
Voglio vivermi ogni attimo.

È arrivata l'ora di riposare, e stranamente anche io avevo sonno.

Mi addormento appena tocco le lenzuola del letto, senza più svegliarmi durante la notte, come faccio di solito, neanche per bere.

Invece, chissà se Federico mi starà aspettando fuori, perché non riesce mai a prendere sonno prima di una partita...

Basta.

-

«Mia...» mi scuote Matteo svegliandomi.

Come sempre i ragazzi erano già in divisa, con pantaloni e canotta neri e giacca grigia, mentre io, ancora dovevo vestirmi.

Raggiungo la sala da pranzo e prendo posto accanto a Bonucci.

Mio padre stavolta, dopo la colazione, non dice nulla, forse per paura di ripetersi o forse perché già sapevamo.
Anzi, dice soltanto «Adesso andiamo a Roma.» con lo sguardo fisso nei nostri occhi, con uno sguardo che diceva più di mille parole.

Il mister è uno che ha sempre parlato con una voce bassa, tranquilla, bisognava fare silenzio per sentirlo.
In campo invece, era più aggressivo, e sinceramente la rabbia non gli si addiceva proprio, sono sempre stata abituata a vederlo sereno.

Anche qui, visto che con la Svizzera, questo casuale errore ci ha portato fortuna, all'arrivo del autobus, il primo a salire è Mancini, poi Acerbi con tutti gli altri, lasciando fuori Gianluca Vialli apposta.
Il mezzo percorre pochi metri, si ferma per poi far salire quest'ultimo, che prende posto accanto a mio padre.

Io mi siedo accanto a Berna, però durante tutto il tragitto fino all'Olimpico, appoggio la testa al freddo finestrino e mi addormento.

Non so come potessi sempre avere sonno.
Dormivo poco? Avevo sonno.
Dormivo tanto? Avevo sonno.
Avevo sempre sonno.

Federico infatti, mi sveglia, scendiamo, prendiamo gli zaini e entriamo nello stadio.

Il sole era ancora in cielo, macchiato da qualche nuvola.
Nonostante fossero già le tre del pomeriggio, in piena estate, il vento aveva degli accenti freschi che non dispiacevano.

-

Io, mio padre e gli assistenti tecnici ci dirigiamo verso gli spogliatoi.
Io con jeans, maglia bianca e giacca nera, mentre mio padre e gli assistenti, sempre con camicia e cravatta.
Alcuni ragazzi non erano ancora pronti.
A Ciro mancava ancora da indossare la maglietta.
Aveva un bel fisico, addominali asciutti e ben evidenti, spalle possenti, proprio niente male...
Spinazzola doveva ancora mettersi i calzettoni e le scarpe.
E nel frattempo il mister inizia a parlare.

109 || Federico Chiesa ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora