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Eravamo in finale, e chi ci avrebbe mai creduto? Io di certo no.
Ci sembrava tutto uno scherzo, non era possibile, era tutto troppo bello per essere realtà.

È stata una partita sofferta, ma sarei stata disposta a rivivere ogni attimo, ogni secondo, ogni minuto se avessi saputo che avrei provato un'emozione così forte.

Vedere mio padre felice, i ragazzi increduli, era un qualcosa che non aveva prezzo.

***

Saliamo sull'autobus, proviamo a contenerci, ma niente, non ci riusciamo.
Nessuno poteva dirci di fare silenzio, nessuno poteva dirci di stare tranquilli, di stare zitti, nessuno, proprio ora che eravamo più forti che mai, proprio ora che avevamo davvero capito quello che potevamo fare.
Sedili spinti in avanti e indietro, gli sportelli che contenevano gli zaini venivano aperti e chiusi di botto, le mani sui vetri. Quelle quattro pareti racchiudevano tutta la nostra gioia.

Arriviamo in conferenza stampa, come ogni post-partita.

Il mister al centro del tavolo, affiancato poi da Federico.

Io e lui ci eravamo un po' sciolti, giusto un po'. Avevamo fatto un passettino in avanti, io verso di lui e lui verso di me, ma ancora eravamo lontani anni luce, o forse ci sembrava di esserlo.

Io rimango in fondo la stanza, attaccata alla porta di ingresso, davanti a me, lo spazio è occupato da almeno venti sedie bianche, erano tutti giornalisti che creavano tanto brusio, un suono lieve ma continuo, che però dava un po' di fastidio.

Si inizia con mio padre, sempre le solite domande:
"Si aspettava questo risultato?"
"Adesso ha paura per la finale?"
"Lei già sapeva che sarebbe riuscito ad arrivare fino a questo punto?"

Zero originalità, e mio papà risponde con le stesse cose che ci aveva detto stamattina, lui ci ha sempre creduto, anche se a volte ha avuto paura.

Le domande più interessanti però, vanno ai giocatori, infatti quelle cambiano in base alla partita che i ragazzi hanno fatto.

Jorgihno era il protagonista della conferenza stampa, lui che ha tirato l'ultimo rigore, però la "star of the match" come lo avevano chiamato più volte, era lui, Chiesa.

Un giornalista di cui non ricordo il nome gli chiede:
«È la notte più bella della tua carriera?»

Lui sembra pensarci un attimo.

«Si.» pausa.
«Si. Si. Si. Giocare per il mio paese queste partite e scendere in campo per 60 milioni di italiani penso sia un sogno incredibile che non ci avrei mai pensato..»

Io non posso fare altro che sorridere, che sorridergli.
Lui mi guarda e i suoi occhi sembrano essere attraversati da una scintilla, in questo preciso momento i suoi occhi sono luce.

C'è un'altra frase che attira la mia attenzione, fatta da Francesco Repice, Radio Rai.

«Fede, te lo meriti tutto il premio, sei stato bravissimo, sei stato fortissimo... Io, quanto ti ho visto caricare quel tiro, alzare la testa da sinistra col piatto destro, ho visto tuo papà, ho visto Enrico, ho visto la palla che girava, l'avevo vista già dentro prima, ero pronto a gridare con il microfono, ed infatti ti è riuscita..»

Appena hanno nominato il nome di suo padre, se i suoi occhi erano già lucidi, adesso erano meravigliosi, nonostante il loro colore marrone, non erano per niente bui.
Lui continuava a sorridere, non sapeva fare altro, non sapeva cosa dire.
Sembrava tanto che avesse giocato una partita qualunque nel campetto sotto casa con gli amici di sempre, non si era forse reso ancora conto che grazie a lui l'Italia era in finale.

109 || Federico Chiesa ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora