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Era un sogno, e vi chiediamo, se davvero stavamo sognando, per favore, non svegliateci.

Eravamo ancora in campo. Non avevamo ancora realizzato.
I ragazzi orgogliosi ricevevano le medaglie, mentre gli inglesi... Beh, non erano molto contenti.
La nazionale a testa alta portava al collo quei cerchi splendenti, mentre Kalvin e la sua squadra, neanche il tempo di mettere la medaglia al collo che già subito, la toglievano.
Noi piangevamo di gioia, loro piangevano pure, ma per rammarico, tristezza.

Provo ad avvicinarmi a Kalvin ma tutta la sua squadra mi lancia delle occhiatacce, come se non fossi la benvenuta solo perché ero italiana.
Non curante di questo, lo abbraccio comunque, io lo stringo forte, ma lui no, lui ha soltanto le braccia attorno a me, fine. Non sorride, non mi bacia, non è felice per me.
Io mi allontano subito da lui e la sua squadra per tornare con la mia e da mio padre.

Che mi cerchi quando gli sarà passata la sconfitta.

Che mi cerchi lui stavolta.

Non volevo farmi rovinare la giornata da Phillips solo perché aveva perso, anzi, doveva essere grato perché era riuscito a sconfiggere tutte le altre squadre e arrivare in finale.

La nostra festa continua però negli spogliatoi.
Mio padre era ricoperto di spumante, dalla testa fino ai piedi, letteralmente.
De Rossi si faceva scivolare sul tavolo. Tutti cantavano e gridavano, mentre io ero abbracciata a Federico.
Lui mi avvolgeva le spalle con la mano sinitra, non come Kalvin.

Nonostante avessimo chiarito il nostro "rapporto" ci volevamo comunque bene, io sapevo che potevo contare su di lui e lui poteva contare su di me.

***

In autobus mi siedo accanto a Chiesa, come anche in aereo.

Giorgio Chiellini e Bonucci custodivano la coppa, l'avevano messa a riposare tra i due sedili.
Più indietro Spinazzola dormiva beatamente con una corona di plastica dorata in testa, così decido anche io di appoggiare la testa sulla spalla di Federico e chiudere gli occhi.

Sento l'aereo atterrare. La mia vista era appannata, Chiesa dormiva pure, non si sentiva una mosca, eravamo tutti stanchissimi. Quando abbiamo preso il volo c'erano ancora le stelle, mentre adesso vediamo l'alba, erano le 7:30 del mattino.

Sorrido. Era così bello. Con la testa appoggiata al finestrino, qualche ciuffo di capelli castani che gli cadeva sul viso, qualche ombra data dalla luce del sole macchiava la sua pelle candida. «Fede... Siamo arrivati...» gli sussurro dolcemente all'orecchio.
Lo vedo stiracchiarsi, alzare entrambe le braccia in aria e girare il collo un po' indolenzito.

Mi guarda.
«Buongiorno..» mi dice curvando le labbra.
«Buongiorno» ricambio sorridendo.

Scendiamo dall'aereo, eravamo a Roma, non a Coverciano perché tra qualche ora avremmo dovuto incontrare il Presidente della Repubblica Mattarella.

Chi sbadigliava, chi sbatteva gli occhi più volte per cercare di svegliarsi, più che campioni d'Europa sembravamo i superstiti di un'apocalisse zombie.

I più fortunati avevano dormito 3 ore, forse.

Io mi guardo nello schermo del telefono e vedo che sia il mascara che l'eyeliner erano un po' sbavati, giusto un po', nulla di irriparabile.

Nicolò era quello messo peggio. Aveva delle occhiaie violacee sotto gli occhi semichiusi, così per non cercare di fare brutta figura davanti il Presidente, ruba gli occhiali di Florenzi e li mette addosso, così da camuffare la stanchezza.

***

Ore 9:00. Incontro con Mattarella.

Prendiamo tutti posto in uno spaziale enorme, pieno di alberi e cespugli, mi ricorda il giardino dell'hotel, era davvero tanto simile, con i ciottoli bianchi a terra. Mancavano solo le discussioni che io e Federico facevamo di notte.

Qualcuno però mi porta via dai miei pensieri, una voce, un ragazzo mi stava chiamando.
Mi giro e subito lo vedo, alto, pelle ambrata, capelli ricci e castani, scuri come gli occhi, era Matteo Berrettini.
«Mia!» mi saluta lui felice.
«Matteo!» lo saluto abbracciandolo.
Io e Matteo ci conoscevamo da tantissimo tempo, da almeno sette anni.
Mi ricordo di essere andata a vedere una competizione di tennis con mio padre e lui mi ha subito colpito, aveva talento e passione, ed ora, sapere che aveva portato l'Italia a Wimbledon dopo 60 anni mi riempiva il cuore di gioia, nonostante fossi dispiaciuta per la sua sconfitta.
Da quel giorno in poi, io e lui abbiamo coltivato una sana amicizia, non ci vedevamo spesso, però quando volevo ricevere un consiglio da un amico sincero, la prima persona che mi veniva in mente era lui.

«Complimenti, davvero, sei stato bravissimo...» gli dico.
«Grazie mille...» mi dice lui stringendomi ancora una volta e dandomi un bacio sulla guancia.

Sento però gli occhi di qualcuno su di noi.
Mi giro, e quegli occhi appartenevano a Federico, anche se smette di guardarci nello stesso istante in cui io mi sono girata verso di lui.

Saluto Matteo con un altro abbraccio e poi mi siedo accanto a Chiesa.

«Geloso..?» lo stuzzico.
«Cosa? Io..?» mi chiede come se non capisse a cosa io mi stessi riferendo.
«Sì, proprio tu..» ghigno.
«Perché dovrei essere geloso..?»
«Non lo so, dimmelo tu...» sorrido.
Lui apre la bocca per ribattere ma non fa in tempo perché il Presidente arriva.
Federico, ormai arreso, mi guarda, sorride e scuote la testa.

Mattarella si congratula con tutti noi, anche con Matteo Berrettini, e dopo a prendere la parola è mio padre. Era ancora emozionato, con le lacrime agli occhi, lacrime di felicità.

***

L'autobus ci aspettava. Ne avevamo affittato uno per portare la coppa in tutta Roma. Le strade erano gremite di persone, non si vedeva neanche l'asfalto, e vedere tutta quella felicità nei volti degli italiani era un'emozione inspiegabile, noi, la squadra, la nazionale, i ragazzi erano riusciti nel loro intento, mio padre era riuscito nel suo intento.

Tutti a cantare ad un solo cuore l'inno di Mameli, Notti Magiche, che ci aveva accompagnato in questo lungo percorso di pianti, gioie, risate, emozioni, scherzi, nottate passate a parlare del più e del meno, nottate invece che hanno aperto i nostri cuori, il mio cuore, nottate che rimarranno speciali... Quel pomeriggio che rimarrà sempre con me, io e Federico... Il nostro segreto, sperando che rimanga solo nostro, e forse anche di Lorenzo, lui che era stato il primo a capire.

A capire cosa?

Lo vedevo lì, distaccato da me. Chiesa era più felice che mai, sembrava passata una vita, invece non erano trascorsi nemmeno due mesi.
Vedevo tutto a rallentatore, i suoni erano ovattati e i movimenti lenti.

Maggio.
Appena arrivata con Phillips, mi ritrovo 26 facce, se non di più, a guardarci.

Prima volta in campo, dove conosco Chiesa e Barella.

Federico, un ragazzo scontroso, fastidioso ed egoista.

Giugno.
Federico, un ragazzo dal cuore d'oro, che dà più di quello che riceve, che è troppo puro per stare a questo mondo.

La prima partita, la prima di tante. La Turchia, quanto impegno e quanta paura.

La litigata con Kalvin che è durata giorni.

La litigata di Chiesa con Benny a causa mia.

In discoteca con la Nazionale. Federico, io e la tequila.

L'inizio.

Il primo bacio, negli spogliatoi dopo la partita con l'Austria, e poi Nicolò ci aveva scoperto.

Quel giorno in campagna.

Il secondo bacio.

Indifferenza.

Luglio.
Semifinale.

Quel pomeriggio... Da due a uno.

E poi... Campioni d'Europa.

SPAZIO AUTRICE
Scusatemi tantissimo per il ritardo, ma spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto, la storia non è finita, ma anzi, siamo solo all'inizio, ci vediamo al prossimoo! ❤️❤️

109 || Federico Chiesa ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora