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6 Luglio 2021.

Ci svegliamo tutti presto, in questi giorni non abbiamo fatto altro che rispettare le regole, alle 11 di sera già a letto, nessuna festicciola clandestina dopo che tutti andavano a dormire, nessuno visitava le stanze di altri, niente di niente.

Eravamo molto carichi, ma la tensione si è fatta già sentire appena abbiamo aperto gli occhi, si è attaccata allo stomaco e non aveva intenzione di andarsene.

Arriviamo tutti in sala da pranzo. Silenzio. Silenzio che però diceva tutto. Diceva mille responsabilità, mille preoccupazioni, mille sogni, mille cose che potevano andare storte, ma mille cose che invece, potevano funzionare.

Ma soprattutto diceva una cosa a cui stavamo cercando di non prestare attenzione, ma che in fondo sapevamo tutti.
Oggi più che mai, poteva finire il nostro europeo.
Questa frase mi sembra di averla detta non so quante volte, ma purtroppo oggi ci credevo più delle altre volte, il giro si stava facendo sempre più stretto, e alla fine ne uscirà solo una vincitrice.

Pazienza. A differenza di mio padre credo che il destino sia già scritto, credo che sia il fato che giochi con noi, e non il contrario, crediamo tanto di dominarlo ma alla fine siamo in balia di esso. Crediamo di essere padroni dell'universo, ma non ci accorgiamo che siamo solo un granello di sabbia in confronto alla sua grandezza, siamo insignificanti.

Come i greci sacrificavano gli animali agli dei per favorirli, come Agamennone sacrificó sua figlia Ifigenia ad Artemide per far ritornare i venti e partire per Troia, noi, per far girare la fortuna a nostro favore, avevamo, ancora una volta ricreato tutti i riti scaramantici.

Mio padre, come al solito si alza dal suo posto e inizia a girovagare lungo il tavolo.
Ci guarda e sorride.
Le sue braccia sempre strette al petto, continua con passo leggero.

«Siamo in semifinale. E questo provoca tanta, tantissima gioia, ma come porta felicità, porta anche tristezza e preoccupazione, come è giusto che sia.
Vivete sempre come se stesse trascorrendo il vostro ultimo attimo, anche se oggi non sarà il nostro ultimo giorno di europeo. No. Perché se ricordate, un mese fa vi ho fatto una promessa, vi ho detto che ci avrei portato a Wembley l'undici luglio, e sapete che non mi tiro mai indietro, sapete che se sono convinto di una cosa, è perché so che è possibile, anche se questa mattina, a vedere le vostre facce mi sembra tutto il contrario, mi sembra che io sia l'unico a crederci..»

Scoppia una piccola risata sul volto di tutti, perché in fondo neanche noi sapevamo come ci eravamo arrivati fino a quel punto, come avevamo fatto ad arrivare in semifinale, ma adesso ci siamo arrivati. È reale. Non è più un sogno.

Mio padre continua.
«Vi chiedo soltanto, di pensare ad una sola cosa mentre stasera sarete in campo. Pensate agli italiani, pensate a tutti gli italiani che saranno davanti la tv a sperare in un vostro gol, a tutti i bambini che sognano di fare il calciatore da grande, pensate che voi siete l'idolo di qualcuno, e che facendo quello che vi viene meglio, giocare a calcio, potete ingigantire un sogno, che come sappiamo, si può realizzare.
Fare il calciatore.
Pensate alla felicità che provocherete negli occhi di tutti noi se segnerete, se il pallone attraverserà quella piccola linea bianca e sfonderà la rete. Pensateci. E con questo, andiamo a Wembley, di nuovo.»

C'era silenzio. Ma stavolta un silenzio diverso. Non più preoccupato, spaventato, ma pieno di energia, voglia di spaccare il mondo.
Ci guardavamo gli uni con gli altri e ci sorridevamo. Prima ho detto che non sapevamo come ci eravamo arrivati fino a quel punto, ma in fondo, eravamo stati noi stessi, avevamo solo bisogno di qualcuno che ce lo ricordasse.

Incrocio lo sguardo con quello di Federico e gli sorrido timidamente, magari per oggi potevamo mettere un po' da parte il nostro ignorarci, tanto domani sarà ritornato tutto come era fino a ieri. Indifferenza. Ma oggi no.

109 || Federico Chiesa ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora