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«Sto arrivando a pensare che ci sia qualcun'altro..»
Quelle parole che sussurrate così lentamente, tagliano il cuore più di un urlo.
Veleno.
«Cosa?! Non l'hai detto davvero..»
«Invece sì, questo è quello che penso..»
Non ci credevo.
Come poteva pensare una cosa del genere?!
«Non hai nulla da dire?» continua lui impertinente.
No. Non avevo nulla da dire, il sangue bolliva dentro le mie vene, gli occhi si riempivano di lacrime ma non ne avrei fatta scendere neanche una.
«Kalvin, davvero, odio quando fai così, odio quando dici cose che non pensi... E poi proprio tu che mi conosci da tutto questo tempo dovresti sapere che persona sono..»
«Ed è proprio perché ti conosco che lo dico»
Nessuno dei due urlava più ormai.
Silenzio.
«Non rispondi quasi mai ai messaggi che ti mando, sono sempre io che ho chiamato, tu invece, in questo periodo non mi hai mai telefonato una. Sola. Volta.»
«Magari perché non voglio disturbarti! Magari non ti ho mai chiamato perché voglio che ti dedichi alla tua squadra pienamente! Magari perché voglio che tu vinca questo europeo! Perché so quanto tu ci tenga! Non ci hai pensato a questo?!»
Ho il fiatone, ho parlato tutto ad un fiato e le lacrime minacciano di uscire sempre di più, ma non gliela darò vinta.
«O magari perché sei troppo occupata a scoparti qualcuno..»
Mi arrendo.
Con quelle parole mi ha trafitto il cuore, lentamente, crudemente.
«Vaffanculo... Vaffanculo!»
Chiudo la chiamata.
Prima una, poi un'altra e un'altra ancora, le mie guance erano segnate dalle lacrime.
Basta, vi prego, smettete.
Le lacrime però non smettevano.
Inizio a respirare e inspirare profondamente. Riempivo i miei polmoni d'aria e poi li svuotavo.
Non posso entrare così, intanto da dentro non proveniva alcun rumore, nessuna parola, mi stavano ascoltando tutti.
Butto secchiate d'acqua per far spegnere il fuoco che si era creato nel mio stomaco, e dopo un po' ci riesco, rimangono solo le ceneri grigie.

Vado a risedermi accanto a mio padre, era evidente che avessi pianto, gli occhi gonfi, le guance rosse, ed il fatto che tutti stessero facendo finta di nulla, rende ancora più evidente il fatto che avessero sentito tutto.
Nella stanza non girava nessuna voce, si sentiva solo il rumore delle posate che sfregavano sul piatto e che tagliavano e infilzavano.
Le mie due fette di pane e il cappuccino mi fissavano, pronti per essere mangiati, ma il mio stomaco si era chiuso, la mia gola si era chiusa, il coltello e la forchetta sono ancora intatti, appoggiati sopra il tovagliolo ancora pulito.

Guardo un punto indefinito davanti a me.
"Sto arrivando a pensare che ci sia qualcun'altro."
"O magari perché sei troppo impegnata a scoparti qualcuno."
Queste parole non fanno altro che ripetersi nella mia testa, una dopo l'altra, senza sosta.

Sì, è vero, non l'ho trattato nel migliore dei modi, ma lui si è comportato mille volte peggio con quello che ha detto.

I miei pensieri si interrompono quando sento una mano che accarezza la mia.
«Va tutto bene tesoro..?»
Era mio padre, aveva un tono cauto, ma allo stesso tempo amorevole.
«Sì» un sussurro, forse neanche quello, forse sono state solo le labbra a muoversi senza produrre alcun suono.
Il mister non mi ha creduto, lo so, ma mi conosce, sa come sono fatta, e sa che voglio i miei spazi e che ne avrei parlato quando sarei stata pronta e quando avrei trovato il momento giusto, dunque, non fa altro che sorridermi e continuare ad accarezzare la mia mano, senza lasciarla andare.

«Fuori non mi sembrava che stesse andando tutto bene..»
Vi ricordate quel fuoco di cui ne erano rimaste solo le ceneri? Ecco, adesso ardeva più che mai, la fiamma era tornata alta e divorava ogni centimetro della mia pelle, partiva dal mignolo del piede e arrivava fino alla punta dell'ultimo capello che avevo in testa.
Non ce la faccio più.
Mi alzo dalla sedia di scatto, sbattendo le mani sul tavolo e facendo tremare alcuni piatti.
«Intanto non credo che questo sia il momento per scherzare Nicolò, e poi non credo di dover dare spiegazioni a te.»
Sputo queste parole con tanto odio, ma in effetti avevo ragione, avrei potuto accettare qualsiasi sua battuta seppur scomoda, ma in questo preciso istante no.
Lui mi guarda soltanto e rimane in silenzio, forse si sarà reso conto di aver detto troppo, allo stesso tempo, lo sguardo di mio padre parte dal mio per arrivare a quello di Barella e subito dopo dice «Andiamo ad allenarci ragazzi..»
Io, che ero ancora in piedi con le mani pressate contro il tavolo, mi lascio abbandonare sulla sedia, in me che non si dica ero sola, con la sola compagnia di me stessa.
Prendo la mia testa tra le mani e stringo forte i miei capelli. Nessuna lacrima scende, non ho la forza di parlare e sembra che tutta la mia vita sia scivolata dal mio corpo, ma una cosa la sapevo, dovevo delle scuse.

109 || Federico Chiesa ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora