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Guardo le nuvole dalla finestra dell'aereo. Sembrano così leggere, ma pesanti allo stesso tempo.
Vorrei lanciarmi, rompere il vetro e cadere, sentire l'adrenalina salire su per lo stomaco e arrivare al cuore, prenderlo, stritolarlo, fino a ridurlo in cenere, polvere.
Vorrei provare qualcosa, rabbia, tristezza, dolore, ma no, non provo nulla, o forse questo provare nulla, è già provare qualcosa..

Vero..?

È come se qualcosa fosse bloccato, come se non riuscisse a risalire, a uscire.

L'hostess, di tutto punto, con giacca, gonna e cappello blu arriva con la colazione, uova strapazzate e bacon. Non tocco nulla, non alzo neanche la forchetta per provare a infilzare qualcosa, non ho fame, il mio stomaco è chiuso, serrato col cemento armato.

A stento riesco ad inghiottire la mia stessa saliva, come se quella piccola quantità d'acqua sia troppo grande per la mia gola.

A volte penso che sia meglio scomparire, non doversi più preoccupare di nulla, né di ciò che pensa la gente, né di quali potrebbero essere le conseguenze delle tue azioni.

A volte vorrei non provare nulla, quasi proprio come ora, a volte credo di non riuscire a sopravvivere al mio stesso mare di emozioni, mi travolgono e mi stordiscono, mi tirano verso il fondale ed io non riesco più a respirare e tutto si fa sempre più buio.

Basta pensare.

L'aereo è atterrato. Finalmente sono in Italia, finalmente sono a casa.

Attendo la valigia, e subito dopo mi dirigo verso l'uscita, ecco mio padre, subito mi si dipinge un sorriso in faccia. Il primo vero sorriso dopo giorni e giorni interi.

L'avevo chiamato ieri sera stesso, appena avevo trovato il volo di ritorno, nonostante i suoi impegni, trovava sempre del tempo per me.

Cammino verso di lui, che era appoggiato ad un'Audi bianca, i suoi occhi erano protetti dagli occhiali da sole, sembrava tanto un giovanotto.

E secondo lui lo era.

Lo raggiungo e lo abbraccio.
Finalmente cuore a cuore, finalmente vedo un viso che mi ama, finalmente sento il suo profumo, finalmente sono a casa.

Lui mi stringe e mi bacia la guancia.

«Viaggiato bene?» mi sussurra all'orecchio come suo solito.
Io scuoto la testa, non voglio neanche parlare.

Saliamo in macchina e andiamo.

Per tutto il tempo della strada non faccio altro che guardare fuori il finestrino evitando lo sguardo del mister.
Sapevo che non mi avrebbe fatto nessuna domanda, ma sapevo anche che il mio ritorno last-minute era a dir poco sospetto.

Nonostante io non lo vedessi da più di un mese, e nonostante mi fosse mancato da morire, io decido di non dirgli nulla, né di quello che è successo a Londra e né queste parole.

***

Arriviamo a casa senza ancora aver detto nulla entrambi.
Mio padre si mette a cucinare, non l'avrebbe mai detto ma in realtà era una sua grande passione, e inoltre era anche molto bravo.

Dopo neanche mezz'ora era tutto pronto.
Mi siedo a tavola, Mancini riempie prima il mio piatto con la pasta e poi il suo.

Io ovviamente, non avevo fame. In effetti non mi ricordo neanche l'ultima volta che io abbia mangiato qualcosa.

Forse due giorni fa.

In casa non si sentiva volare neanche una mosca, c'eravamo solo io e lui, forse era una casa troppo grande solo per due persone.

109 || Federico Chiesa ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora