Capitolo 11: Quand'è che mi sveglio?

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Aideen

Tremo.
Tremo, ma non a causa della tristezza, della gioia, della paura e di tutte le emozioni che sto provando in questo momento. Tremo a causa dell'uragano che si è scatenato nella mia testa. Tutti i cassetti stanno minacciando di aprirsi, minacciando di inondare la mia mente con tutti gli orrori della mia vita.

Stringo i pugni. Non posso lasciare che accada. Non devo cedere, non posso. Eppure lei è proprio lì, a qualche metro, che mi saluta con un sorriso sul viso.

Sentirla morire tra le mie braccia è stata la cosa più orribile e traumatizzante della mia vita, ma non sono crollata. Sono riuscita a superarlo: non ci ho pensato e ha funzionato.
Ma adesso... adesso sono fottuta.

Dev'essere un sogno.
Il secondo prima non riuscivo a muovermi, mentre adesso sto correndo. Devo abbracciarla prima che sparisca. Devo dirle... devo dirle... prima che mi svegli...

Mi butto su di lei in modo talmente brusco che quasi cadiamo tutte e due in terra. Le mie braccia sono intorno a lei, una mano che le tocca la schiena e una che le tocca i capelli.
Sembra reale. Sembra davvero lei.
Ma io l'ho vista, era morta. Era tutta bruciata. L'ho vista bruciare su quel letto, insieme a quel pupazzetto che aveva comprato all'autogrill.

«Aideen.»

Comincio a piangere. Non esiste un modo per non farlo, non questa volta. Cerco di restare silenziosa, di non farmi sentire, ma non ci riesco, non ci riesco proprio, non dopo aver sentito di nuovo il suono della sua voce. Sembra così contenta e meravigliata, proprio come sarebbe nei miei sogni.

«È tutta colpa mia» continuo a singhiozzare, quasi non riesco a respirare.
«Ma che dici, Aidy?» ridacchia, accarezzandomi piano la schiena.
«Sei morta.»

Lei si irrigidisce. Continua ad accarezzarmi la schiena, ma più piano.

«Non dirlo così, Aideen.»
«E come dovrei dirlo? È così e basta» non mi allontano da lei.
«Non cambi mai, Aidy» sussurra, e capisco che sta sorridendo.

Mi stacco da lei per guardarla, e il sorriso che avevo immaginato è dipinto sul suo viso.

«Sei reale?» mormoro.
«Eh? Sì, penso di sì» annuisce, aggrottando le sopracciglia.

Continuo a fissarla. I suoi capelli castani sono raccolti una piccola treccia, con qualche ciocca fuori posto. È scalza, e indossa un vestito bianco.

«Dai andiamo vicino all'acqua» mi prende per mano.

Io non riesco nemmeno a reagire, e mi lascio trascinare. Il suo tocco... la sua mano sembra reale.

«Che belli questi granelli neri...» sorride mentre osserva la scia di peccato che ho tracciato per terra.
«Non li toccare» la avverto.
«Perché no? Mi piacciono...» fa per chinarsi di nuovo
«Potresti farti male-» provo a fermarla, ma è troppo tardi.

Ne prende alcuni in mano e ci gioca un po'.

Io la guardo confusa. Quei granelli sono contaminati, eppure non le fanno male. Strano.

«Ti siedi vicino a me?» chiede.

Obbedisco, e quando mi siedo tutta la sabbia che tocco diventa nera. Jessica appoggia la testa sulla mia spalla fa un piccolo sbadiglio.

«Quand'è che mi sveglio?» chiedo di nuovo.
«Ancora con questa storia?» ridacchia, scuotendo la testa.

Si tocca un po' la nuca, poi torna a giocare con la sabbia.

«Sai, vi ho guardati a volte» dice.
«Cosa?»
«Lo so che non è molto simpatico di spiare la gente. Però... volevo solo sapere che cosa stava succedendo» alza le spalle.
«Jessica... hai sofferto abbastanza, non credi?»
«No, non credo proprio» aggrotta le sopracciglia.

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