Capitolo 30: Quel sorriso da cattivo.

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Theo

Le nuvole mi sembrano troppo vicine. Penso che se cercassi di toccarle con la punta delle dita, ci riuscirei.

Mi alzo, e assottiglio gli occhi. Mi sento strano... Sto sognando. Sì, credo proprio di sì.

«Sei bravo a distinguere i sogni dalla realtà.»

Mi giro di scatto non appena sento quella voce. Quella voce. L'ho già sentita, ne sono sicuro. Forse in un altro sogno...

Ancora non vedo nessuno, ma comincio a camminare. Questo posto è magnifico: mi trovo davanti a quello che sembra un castello, ma non cerco di entrare. La voce proveniva da più in basso, così adesso sto scendendo le scale. Sembrano infinite, e ho quasi paura che lo siano, visto che si tratta di un sogno. Tutto è possibile qui, no?

«Chi è?» dico, alzando lo sguardo verso il cielo, per poi guardarmi intorno.

Non risponde nessuno, ma non appena le scale finiscono, mi ritrovo davanti ad una fontana. È sublime, e ad un tratto mi viene il dubbio di essere in paradiso. Nessun umano avrebbe mai potuto crearla. Cerco di ricordarmi che è soltanto un sogno mentre mi avvicino.

Sul marmo bianco della fontana c'è una presenza. E non c'è nemmeno bisogno che essa mi guardi negli occhi perché io capisca che devo inchinarmi, e immediatamente.

C'è qualcosa di divino nell'odore di vaniglia che mi arriva alle narici.

«Theodor.»

E non appena sento di nuovo la sua voce, so di chi si tratta. Non tutti hanno una voce così bella, fanciullesca e saggia allo stesso tempo.

Quando rialzo piano gli occhi, la donna si è alzata, e le sue labbra rosa si curvano in un leggero sorriso. I capelli biondi le ricadono sulle spalle, e non appena incrocio i suoi occhi grigi, sono costretto a guardare altrove.

È più alta e più grande di me, come lo sono di solito le Dee come lei, e non si avvicina, resta dov'è, ma comincia a parlare.

«Ho paura che la presenza del demone non sarà abbastanza» la sua voce torna a farmi rabbrividire.

Quindi era stata lei. Dall'inizio, era lei quella presenza che avevo sentito nei miei sogni, e che mi aveva suggerito di chiamare Anakin.

«Avrai bisogno di qualcos'altro perché lei si lasci guarire.»

Si lasci guarire? Trovo il coraggio di tornare a guardarla per cercare di capire che cosa intende, e mi accorgo che in mano ha un pugnale. E non è un pugnale qualunque.

«Lo riconosci?»

Annuisco. Non è particolarmente originale. Sembra quasi un pugnale qualunque, se non fosse per la scritta che lo decora. Mi tornano in mente le immagini che avevo visto sui manuali che usavo per studiare storia.

«È il pugnale di Caitlìn» sussurro, osservandolo.

E se non avessi capito prima che si trattasse di un sogno, l'avrei capito adesso, perché quel pugnale non esiste. Non è mai esistito, si tratta soltanto di una leggenda della quale si legge nei libri. Un arma così potente da poter uccidere non solo il corpo, ma anche l'anima.

Lei mi prende la mano con le dita tiepide, e poggia il pugnale sul palmo.

«Cercalo per me» dice, facendomi stringere il pugnale, «E liberala.»

Apro gli occhi di scatto e realizzo che non sono nel mio letto. Sono nel mezzo della cucina, con un coltello stretto in mano. Quasi mi scappa un grido mentre lo faccio cadere. Non sono un sonnambulo, perché diavolo mi sono ritrovato qui?!

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