Capitolo 43: Non nei cassetti... nel mio cuore.

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Aideen

Scendo le scale di casa mia, cercando di non barcollare. Dopo aver saputo di Arrow sono restata chiusa nella mia stanza, con Royal che cercava di consolarmi in tutti i modi, ma poi ho capito che dovevo risolvere alcune cose.

Arrow... so che non ho nemmeno il diritto di essere triste per lui: ha vissuto per così tanto tempo, e adesso finalmente è in pace con Jessica. Eppure lo sono. Non potrò mai più sentirlo ridere.

Ma da un'altra parte sono felice per lui. Devo esserlo. Ho solo bisogno di tempo.

Ho bisogno di tempo.

Quando alzo gli occhi e mi accorgo di un odore familiare, spalanco gli occhi. Peter.

«Aideen» pronuncia il mio nome, un po' incerto.

Lo osservo, e cerco di trattenere le lacrime. È magro, troppo magro. La felpa blu che indossa gli sta larghissima, e le guance sono troppo diverse da quando l'avevo lasciato. Sono stata io. Sono stata io a ridurlo così.

«Sei tu?» sussurra, avvicinandosi piano.

I suoi occhi marroni si spostano dal mio viso alle mie mani che tremano. Vedo un piccolissimo sorriso farsi spazio sulle sue labbra screpolate, e poi azzera la distanza tra noi, abbracciandomi. Lo fa come se stesse abbracciando un pezzo di vetro, senza stringermi e quasi senza toccarmi.

Appoggio piano la testa sul suo petto, ma non faccio nient'altro. Ho paura di toccarlo. Ho paura di fargli male. Ricordo ancora la mia mano sulla sua gola, e stringevo, stringevo, stringevo.

Quando Peter si allontana un po' da me, non riesco nemmeno a parlare.

«Io...» sussurro, cercando le parole.

Lui non dice niente, ma con uno sguardo mi invita a seguirlo fuori.

Mentre camminiamo, mi tornano in mente tutte le cose che lui mi ha detto, ma soprattutto tutte le cose che io gli ho detto.

Cominciano a tremarmi ancora di più le mani, e quando Peter se ne accorge, me ne stringe una. Non so nemmeno come faccia a toccarmi, o a guardarmi.

Ad un certo punto scorgo una panchina, e mi siedo, perché non sarei riuscita a stare in piedi più di così. Mi prendo la testa tra le mani e mi viene quasi voglia di strapparmi i capelli corti.

Che cos'ho fatto?

«Ehi...» sento Peter sedersi accanto a me.

Comincio a scuotere la testa, senza guardarlo. Non ci riesco.

«Ho rovinato tutto» mormoro, «Sarei dovuta restare dov'ero, avrei dovuto...»

Non sarei mai dovuta tornare. L'inferno... è lì che devo stare.

«Tutto quello che ti ho detto» alzo di scatto la testa, e mi giro verso di lui, «Non è vero niente, ti prego, devi credermi.»

Peter mi guarda come se guardasse una persona che non ha visto da tanto, tanto tempo.

«La verità è che io volevo essere come voi. Non volevo dover richiudere le mie emozioni, i miei ricordi. Volevo solo... essere umana. Volevo essere come te» comincio a sentire le lacrime scendere dai miei occhi fino alle mie guance, «So che è colpa mia se Jessica è morta. E quella sera mi sono... ho detto tutte quelle cose perché avevo capito di aver perso anche te.»

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