Capitolo XXIX: Gaerlonn
Il giorno seguente, come da programma, Nerwen venne svegliata che il cielo stava a malapena impallidendo ad oriente. Consumarono una rapida colazione a base di tè nero profumato al bergamotto e gallette assai simili a lembas, seppure non così dolci né altrettanto fragranti, e poi si incamminarono seguendo la costa, rasente agli alberi. Fecero una sola sosta a metà mattina, per mangiare qualcos'altro - frutta essiccata ed un gustoso misto già sgusciato di noci, nocciole, mandorle e pistacchi - poi ripresero la marcia. Era quasi mezzogiorno quando infine raggiunsero la meta, un torrione basso e massiccio di pietra quasi nera, posizionato su una collina in riva al mare, sul quale sventolava un lungo vessillo con un albero rosso in campo verde scuro: l'emblema dei Kindi, come le spiegò Aryon.
Si fermarono il tempo di mangiare un boccone caldo assieme alla piccola guarnigione del torrione, poi Aryon scelse sei dei suoi, tra cui l'Elfa che comandava il drappello, perché accompagnassero lui e Nerwen, e diede disposizioni affinché fossero loro preparate delle cavalcature. Finito il pasto, uscirono e trovarono otto splendidi cavalli con testiera, morso e redini, ma privi di sella, al posto della quale c'era un drappo di lana fissato con cinghie attorno alla pancia. Era quello infatti il modo di montare tipico degli Elfi Silvani, in uso anche a Lothlórien. Durante la Prima Era, Nerwen aveva provato la sella con le staffe, come usavano gli Uomini, e da allora aveva adottato abitualmente quel modo di cavalcare, che trovava più comodo; ma per pochi giorni non avrebbe avuto problemi ad adattarsi.
Accarezzò il muso della cavalla baia che le era stata assegnata e la salutò mentalmente, per farsi conoscere e per conoscerla. La giumenta rizzò le orecchie per la sorpresa, vagamente inquietata, ma la Maia le trasmise una sensazione rassicurante e l'animale si calmò subito.
Grazie per portarmi, le disse Nerwen, accarezzandole il collo fulvo.
È un piacere, rispose la cavalla, Sei piccola, non peserai quasi nulla.
L'Aini aggrottò leggermente le sopracciglia: qualcosa nell'affermazione della giumenta suggeriva una motivazione precisa, per cui la esaminò. Scoprì che era incinta di poche settimane; il minuscolo embrione sembrava sano, ma non era molto saldamente ancorato all'utero.
Non devi fare sforzi, le disse allora, o rischierai di perdere il tuo piccolo.
Dalla giumenta le giunse un senso di allarme, ma di nuovo la tranquillizzò:
Basta che tu stia a riposo.
"Non posso cavalcare questa giumenta", annunciò ad alta voce, "Ha appena iniziato una gravidanza, ma rischia di abortire: tenetela in stalla e non fatele fare alcuno sforzo."
Aryon si accigliò:
"E tu come lo sai?", domandò. Lei si girò a guardarlo, una mano sul fianco; non rispose, limitandosi a sollevare un sopracciglio.
Aryon si sentì irritato dal suo atteggiamento; poi ricordò la sua capacità di comunicare con gli animali - le aveva parlato di Calad e della delfina, non c'era quindi da mettere in dubbio che parlasse anche coi cavalli - e si sentì sciocco.
Odiava sentirsi sciocco.
"Ma certo", disse a denti stretti, poi si rivolse al palafreniere e gli riferì quanto detto da Nerwen. L'altro Avar rispose in tono di protesta, ma il principe, intollerante al fatto di venir contestato, gli lanciò un'occhiata che avrebbe incenerito un drago; il malcapitato si affrettò ad inchinarsi ed afferrò le briglie della giumenta, pronto a condurla via.
Nerwen diede una pacca sul fianco della cavalla a mo' di congedo e le augurò mentalmente buona fortuna. Ne ottenne in cambio una sensazione di gratitudine.
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Nerwen la Verde e la ricerca delle Entesse
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