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(Matthew Klee)

Matthew mi tira un altro pugno e, cazzo, questa volta fa davvero sul serio. Sento il sangue colarmi dal naso e me lo pulisco con una manata incazzata, senza perdere tempo a cincischiare o pensare a quanto mi faccia male il colpo sul mento.

La prima regola delle arti marziali è quella di non stare mai faccia a faccia contro il tuo aggressore, specie se è un ragazzo del quarto anno con un pessimo carattere, pronto a spaccarti le ossa per l'ultimo pacchetto di Skittles rimasto; il trucco è restare diagonale, con il peso del corpo sulla gamba posteriore.

La fregatura vera è che Matthew non sa niente di tecniche di difesa o attacco, eppure riesce sempre a tenermi testa per via della sua mole. Non è un granché gradevole considerando la mia misera altezza. Finisco contro la macchinetta automatica delle merendine e quasi casco a terra, davanti a tutti i ragazzi che, da parte, ci stanno fissando. Difficile a dirsi se sono preoccupati o incuriositi dall'esito dello scontro, dopotutto io e Matt ce le diamo di santa ragione un giorno sì e l'altro pure.

Prende il mio pacchetto di Skittles ("mio" per modo di dire, dato che a mia volta l'ho rubato a una ragazzina del primo anno) e ingurgita almeno metà caramelle. Mi guarda con un enorme sorriso stampato in faccia e mi chiedo cosa vuole davvero: i miei dolci o innervosirmi?

«Spiacente, oggi ti è andata male» gongola e passa un po' di dolci ai suoi amici.

L'altra settimana ho vinto io e l'ho ridotto male. Il livido sul mento ne è la prova. Anche io ne ho alcuni, non inferti da lui e lo sa molto bene. Una cosa che apprezzo di Matthew è il fatto che non si impiccia mai di niente e nessuno.

È un ragazzo fin troppo alto per i suoi diciannove anni, ha i capelli color d'inchiostro, unti come le patatine del McDonald's, un fiato che puzza di fumo e dei piccoli occhi verdi. È di buona famiglia e forse è per questo che la preside non lo ha mai spedito fuori dal liceo a calci in culo, perché senza i soldi di sua madre molti progetti andrebbero buttati al vento.

Per quanto mi duole ammetterlo, anche io sono quella che molti definirebbero "di buona famiglia". Insomma, mio padre è uno degli architetti più famosi di Seattle e tutti sanno che sono ancora qui solo per lui, perché ha progettato il liceo, sovvenziona molti progetti e la preside è una sua vecchia compagna di classe.

E, ovviamente, chi è la pecora nera uscita storta dalla nuova generazione? Io.

«Ehi, prendere a pugni una ragazza non è tipo, che ne so, contro le regole maschili?» scherzo. «A te serve un hobby.»

«Tu sei il mio hobby» mi risponde. Se non fosse stato Matt a dirlo l'avrei preso come un apprezzamento. «Un giorno qualcuno ti porterà al porto con il chiaro di luna.»

Che minaccia originale, penso.

Mi alzo a scatto e, prima che possa pensare a qualcosa, gli tiro un pugno sulle palle. È una mossa scorretta e davvero ignobile, però devo giocare sporco e vincere è l'unica cosa che conta. Non mi interessa se in palio ci sono dei soldi o un misero pacchetto di caramelle, ho imparato da mio padre a puntare alto e prendermi ciò che è mio di diritto.

Matthew cade a terra in ginocchio e piagnucola, mentre gli Skittles cadono a terra.

«E poi mi prendi anche per mano? Stringi le palle, idiota» sospiro nervosa.

Le ragazze parlottano tra loro e, nonostante l'aria si faccia più pesante, noto che gli studenti sono dalla parte di Matthew. Forse, se fossi stata una ragazza più carina o gentile al primo anno, la gente proverebbe pena o simpatia per me. Non sono niente in questa scuola, ho pessimi voti, non ho amici, mangio da sola ad ogni pausa e nessuno vuole fare coppia con me nei progetti o a ginnastica.

La leggenda di KiralDove le storie prendono vita. Scoprilo ora