II

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(Gage Bryce)

Le punizioni al liceo sono lunghe e dannatamente noiose. Non si fa nulla, ma se va bene a volte ti vengono a chiamare per delle attività e hai la scusa per fare qualcosa e renderti un po' utile. Se ti va male rimani fregato e ti costringono a restare ore in una stanza a pensare a ciò che ti ha portato lì. Puoi leggere, ma solo testi scolastici. Puoi studiare. Vietati i film, chiacchiere o cuffie alle orecchie, tutto quello che possa farti soffrire meno.

Nell'aula di punizione non c'è mai nessuno. Io e Matt siamo fissi e conosciamo il professor Devon, il docente che si occupa di quelle ore strazianti, l'unico che abbia accettato di farsi assumere part-time per tenere d'occhio dei teppisti.

Oggi c'è più gente del solito, tra cui me, Matthew, Thomas, Lucas e il genio di turno, Oswald Turner, detto Ozzy-il-cannone, per via della sua abitudine di fumare nei bagni della scuola. Se poi il sistema di aerazione è condiviso alla sala professori ti scoprono subito e nessuno pare mai averglielo detto, dato che lo vedo spesso seduto in terza fila, a fissare le mosche sul muro.

Sono l'ultima ad entrare e nemmeno in ritardo. Porgo il foglio al professor Devon e lui solleva gli occhi dal suo giornale.

«Sei tornata» calcola.

«Mi mancava terribilmente» rispondo simpatica.

Non desto il suo interesse, ci tiene a ribadire le regole (no divertimento) per poi tornare al suo brillante articolo di auto aiuto, mentre Matt e i suoi amici studiano fisica. Mi rendo conto di aver lasciato in giro il mio libro di letteratura e le mie speranze di fare qualcosa di fruttuoso vanno in fumo. Per un po' riesco a giocare a tris con Ozzy, un bel risultato dato che il suo cervello è fritto quanto le patatine, poi si addormenta nel mezzo della nostra partita.

All'ennesimo suono della campanella il professore non se ne accorge, Ozzy continua a dormire e non ho voglia di svegliarlo. Prendo la mia roba ed esco.

Dico a Matt: «Fanculo e ci vediamo domani.»

«Chiamami quando il demonio verrà ad ammazzarti.»

«Ma se sono morta come faccio a chiamarti?» Fa per dire qualcosa e si blocca, ripensandoci. «Non è che vuoi il mio numero, vero? Sei troppo brutto per i miei gusti.»

Scatto prima che possa afferrare che sia una pessima battuta e filo via dalla scuola.

L'Alington è deserto a quest'ora, gli studenti sono già scomparsi altrove e perfino le aule dei club sono buie. C'è sempre un'aria strana in autunno, quando i venti freschi dal mare smettono di arrivare e piove un giorno sì e l'altro pure. Seattle inizia a puzzare di fogna e le strade si allagano.

Ad ogni modo, questo pomeriggio c'è un'umidità pazzesca, le nuvole sono già grige in cielo e coprono un sole anemico. Lucas, Thomas e Matt prendono il primo autobus che passa, mentre io aspetto dietro l'angolo e decido di prendere il prossimo. Nemmeno la musica riesce più a distrarmi dal pensiero fisso di mio padre che, mesto e corrucciato, mi sta aspettando a casa. L'unica cosa in cui posso sperare è che ha troppo lavoro ed è incastrato nel suo studio a Downtown.

Non faccio una bella impressione sull'autobus e questa è una delle ragioni per cui non prendo mai la metro. Stare sotto terra mi mette l'ansia e odio gli spazi stretti e bui. Ho il viso sporco e macchiato, alcune tracce di sangue sulla maglietta a strisce bianche e rosse.

Abito nel quartiere di Queen Anne Hill, alle pendici della collina, il che non è male dato che sono abbastanza vicino a Bell town e ho i migliori ristoranti take-away a pochi minuti da casa.

Mio padre ha costruito la sua casa da solo, poco dopo aver completato i suoi studi al college e a quei tempi lavorava ancora per un vecchio studio. Ha comprato il terreno perché gli piacevano i diversi stili che coesistevano. Per molti versi questi quartieri sono ricolmi di ricchi strampalati.

La leggenda di KiralDove le storie prendono vita. Scoprilo ora