XIII

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(Alastor)

C'è un gran silenzio quando riprendo conoscenza. Per la prima volta da giorni non ho avuto strani incubi, niente luci a vorticarmi negli occhi e niente uomini misteriosi. Sono comoda in un ampio letto, sotterrata da numerose coperte grige e due cuscini sotto la testa. La testiera del letto è a sbarre di metallo, la stanza odora di legno e di pulito.

Sono in una suite, a giudicare dall'enorme vetrata che occupa tutta la parete a sinistra probabilmente sono al Sheraton, proprio nel centro di Seattle, in uno degli ultimi piani del grattacielo.

Dei ricordi frammentati si fanno spazio nella mia mente. Ci sono Alees, Matthew e quella strana siringa. Oh, Dio, che ci hanno messo dentro? Mi tocco il braccio allarmata. Niente mutazioni, niente lividi e i miei organi sono tutti dove devono stare. Addosso ho anche una bella vestaglia azzurra, che di certo non è mia.

«Questa volta hai proprio esagerato!»

Sento una voce femminile urlare nell'altra stanza. Sembra davvero arrabbiata e, meno di due secondi dopo, una donna entra marciando nella camera da letto. È magnifica, giovane, con una cascata di capelli corvini e occhi violacei, indossa un completo chiaro, con gonna e camicetta bianca.

Azrael è subito dietro di lei con un'espressione corrucciata.

«Questo non è proprio da te!» lo rimprovera e mi viene accanto. «Le hanno sparato, ti rendi conto, e tu sei arrivato in ritardo. Quante volte dovranno mettersi in mezzo quelli dell'OverTwo prima di farti intervenire? Ti fa male qualcosa, piccina?»

Odio quando qualcuno mi da degli epiteti o soprannomi, eppure lei lo dice in modo così carino e amabile che non posso fare altro che scuotere timidamente la testa e fissarla. Mi analizza il braccio e la fronte.

«Ti è andata bene» soffia verso il Demone.

«È andata bene a lei» la corregge, puntandomi un dito contro.

«Mi hai detto tu di andare a casa» dico e Azrael mi fulmina con lo sguardo. Pessimo tempismo. «Che è successo? E tu chi saresti?»

«Sono Amore, una Succube» si presenta. Mi passa un antidolorifico e un bicchiere d'acqua fresca. «Ti è venuta a trovare un'agenzia molto impicciona. L'OverTwo non accetta mai risposte negative e ti hanno sparato un tranquillante. Te ne hanno dato un bel po' perché è due giorni che dormi.»

«Non dormivo da un po'» mi scuso.

«Come ti senti?»

«Molto meglio.»

Azrael borbotta parole incomprensibili a se stesso. È troppo concentrato a maledirmi, tant'è che non nota affatto la mia occhiata. Non l'ho mai visto con dei pantaloni della tuta e una canottiera nera, sembra così umano ed è terribilmente sexy con quei capelli che gli ricadono vispi sulle spalle.

Guardo Amore, non convinta. «Non ricordo, come sono arrivata qui?»

Azrael si mette le mani in tasca. «Ti ho portata qui io. Non sapevo dove altro andare.»

«Abiti in un hotel?» chiedo, quasi con sarcasmo.

«No» ringhia. «Ma portarti al Pandemonium sarebbe troppo complicato ora. Molti Demoni non sarebbero d'accordo. Se vengo nei paraggi alloggio sempre qui. Sei svenuta vicino a Chinatown e ti ho messa a letto. Amore poi si è intromessa...»

«Non ti ho chiesto di aiutarmi» gli faccio notare.

Non lo guardo, ma so che i suoi occhi stanno fiammeggiando di rabbia. Avevo bisogno di aiuto, anche se non voglio ammetterlo.

La Succube lo gela con uno sguardo e mi da un pizzicotto. «Siete entrambi degli stolti, non so chi è il peggiore. Non dovevi abbandonarla, Azrael. Lei è una tua responsabilità, dovevi aiutarla e starle vicino, rimediare ai tuoi errori.»

La leggenda di KiralDove le storie prendono vita. Scoprilo ora