XVIII

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(Seth)

La rossa ci conduce verso una scanalatura della montagna, un varco naturale che si addentra nelle sue viscere. Io e Az la seguiamo senza osare porre domande e dubito che avrebbe per me parole gentili. Non mi ricordo il suo nome, ma suppongo non me l'abbia nemmeno detto.

A mano a mano che ci addentriamo, le torce poste alle pareti si fanno sempre più accese e le rocce lisce sotto i piedi, lavorate con attenzione. Il corridoio è umido, le rocce trattengono l'acqua e c'è un leggero strato di muschio scuro ovunque, e troppo stretto.

Nel momento in cui vedo la fine sono stranamente felice. Ai Demoni piace l'oscurità, eppure a me continua a spaventare e non voglio che gli altri mi vedano in difficoltà. Ci fermiamo a bruciapelo con l'ultima facciata e ne approfitto per prendere delle boccate d'aria.

«Stai bene?» mi domanda Azrael, facendosi più apprensivo.

«Non è nulla, mi manca un po' d'aria» ammetto.

La ragazza non ci degna di alcuna attenzione, sfiora il muro con la mano e immediatamente il terreno sotto di noi trema. Un fascio di luce ci illumina dal basso e la piattaforma si solleva, iniziando a salire di quota velocemente. Siamo in un'ascensore.

Chiudo gli occhi. La luce, il senso di oppressione e la velocità mi fanno salire il vomito in gola e Azrael ne approfitta per scivolarmi più vicino e passarmi un braccio sulle spalle, evitando di farmi cadere e farmi fare un volo di cinquanta piani.

«Devi mangiare» mi fa notare.

«Sto bene» ripeto scocciata. «Sono solo stanca.»

«Vi riposerete più tardi, ho già avvertito mia madre del vostro arrivo e stanno procedendo con l'assemblea. Siete gli ultimi arrivati» constata con un sorrisetto divertito. «Questa sera si terrà il banchetto, hai davvero così fame?»

Il bambino ha fame, le vorrei dire con alterigia, però non lo faccio. Non mi piace sbandierarlo ai quattro venti, ho sempre paura della reazione degli altri, di vedermelo strappato dalle mani e ho il timore di non essere abbastanza forte. Il piccolo però si sta sviluppando ed esige molte energie.

«Posso resistere» affermo. «E se le cose diventeranno noiose posso sempre mordere uno dei presenti.»

Mi getta la prima occhiata allarmata che le vedo fare, ne sono compiaciuta. I Demoni hanno un senso dell'umorismo macabro e non sempre si distingue realtà dall'ironia.

«Sto scherzando» preciso.

Sono costretta a chiudere gli occhi appena arriviamo alla vetta e le ante si aprono in un lampo di luce. Ci ritroviamo in un ambiente totalmente diverso da quello sotterraneo, in un ampio e lungo corridoio che da sulla piana della valle. Siamo ad un'altezza impressionante, mascherati dalla foschia e dalle nuvole, affacciandomi riesco a vedere i boschi, il fiume oltre i monti circostanti.

«Di qua» dice la ragazza sbrigativa, raggiungendo un altro corridoio più grande.

La seguiamo come pesci fuor d'acqua in questo labirinto intricato di corridoi e stanze. I soffitti sono altissimi, con delle luci che ne pendono e il pavimento è a lastre. Vediamo altre persone passeggiare tranquillamente, ci sono anche dei bambini che giocano a palla e la ragazza dice loro di correre altrove, nei loro spazi.

Quando si avvicinano e mi annusano guardinghi scoprono che sono un Demone, o che almeno puzzo come tale, e se ne vanno. Hanno delle graziose corna tra i capelli ricciuti e zoccoli sottili.

«Az...» borbotto.

«Sono cuccioli di fauno, sono innocui» mi spiega. «Pensavo vivessero principalmente in Europa.»

La leggenda di KiralDove le storie prendono vita. Scoprilo ora