VIII

131 19 0
                                    

Ho degli incubi. Vengono da me ogni notte e non sono mai troppi diversi l'uno dall'altro. Sogno di essere a scuola, ma nessuno riesce a vedermi o a sentirmi. Sono invisibile a tutti, mentre sul liceo incombono grosse nubi rosse temporalesche. Corro a casa, sperando di trovare rifugio, e rivedo Samuel, papà e Azrael. Le fiamme iniziano ad avvolgermi, bruciano e mi fanno male, eppure come sempre non riesco a dare una fine alla mia infinita caduta. Vedo quell'ombra lontana, a volte persino riesco a udire delle voci, e la corda continua a tendersi per riportarmi indietro.

Ho ucciso una persona, o qualsiasi cosa fosse. Un Caduto, giusto, ma di cosa? Azrael aveva ragione a mettermi in guardia, non sono al sicuro e non riuscirei a badare a me e proteggere il piccolo allo stesso tempo. Quanti ancora ne verranno? Non sono pericolosa, non voglio far del male a nessuno, in fondo non ho una fazione e non devo dimostrare nulla, però mi chiedo cosa farebbe la gente se un giorno scoprisse di me, del cadavere che ho lasciato nel bosco.

Ho abbandonato il corpo morto tra alberi e arbusti, come un ragazzino butterebbe via un mozzicone, e l'ho fatto con leggerezza e contentezza perché ho vinto io. Essere mezzi Demoni è più complicato di quanto mi aspettassi, penso a troppe cose, la mia mente si sta evolvendo, come i miei sensi e abilità.

I giorni successivi li passo in casa, in tutta tranquillità. Trovo un modo per riallacciare la corrente (era saltato un fusibile), mangio tanti dolci (oh, scopro che ai Demoni piacciono i dolci alla liquirizia e fragola!) e guardo la TV. Quattro giorni dopo, un giovedì, decido che la segreteria scolastica mi ha scocciato troppo con le mail e le telefonate e devo risolvere la questione in sospeso. O almeno provarci: scrivo e stampo una certificazione dove dico che Sasha Bryce, nata il 16 ottobre del 1985, ha contratto la mononucleosi.

Per i pochi che non sanno cos'è la mononucleosi, è un'infezione bella tosta. Un mio compagno di classe, Nick Dunne, se l'è beccata al primo anno e non lo abbiamo visto per cinque mesi. È un'ottima scusa, ho del tempo extra per capire cosa fare e, sopratutto, se tra cinque mesi sarò ancora viva. Firmo il certificato a nome di Elijah Stone, il nostro medico privato.

Sono molto soddisfatta del risultato. È davvero ben fatto.

Giovedì mattina quindi mi alzo presto con l'idea di porre fine a questa fastidiosa questione. Non avere amici o compagni di classe simpatici è risultato un punto a mio favore, piuttosto penso che alcuni, come Matthew, saranno felici di non vedermi in giro.

«Non aprire la porta» mi dice Azrael mentalmente e io sobbalzo, lasciando cadere a terra la spazzola.

Non capisco l'utilità della sua affermazione fino a quando non bussano alla porta d'ingresso.

Mi guardo intorno confusa. Suonano con più insistenza. L'ultima volta che qualcuno lo ha fatto non è andata molto bene, ma vado comunque a vedere chi è dallo spioncino. C'è un poliziotto davanti alla mia porta e ha lo sguardo incollato sul buchetto da cui sbricio, come se sapesse che qualcuno è lì.

«Buongiorno, signore. Polizia di Seattle, siamo qui per farle qualche domanda di routine. Può aprire la porta?» dice cordiale.

Ha dei lunghi numeri sulla fronte ed è umano, lo riconosco dall'odore zuccherato.

La prima cosa che noto è che il quartiere è pieno di vari poliziotti e macchine di servizio, ergo non sono qui per me. Il poliziotto si imbambola un po' nel vedermi, forse perché ho abbinato una camicetta a dei pantaloni larghi a scacchi, e mi fa un timido sorriso.

«Mi dispiace averla svegliata, signorina.»

«È successo qualcosa? Perché c'è tutto questo baccano?» domando.

Il poliziotto si guarda alle spalle. Dei suoi colleghi stanno interrogando una donna che sta facendo jogging insieme al suo grosso cane. «Siamo solo delle pattuglie preventive, non è successo niente di grave.»

La leggenda di KiralDove le storie prendono vita. Scoprilo ora