IV

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(Azrael)

Il mattino seguente apro gli occhi alle sei, appena la sveglia sul comodino inizia a trillare. Capisco subito che sarà una giornata noiosa e fredda quando apro le finestre e una ventata gelida mi schiaffeggia la faccia. È in arrivo una brutta tempesta dal Pacifico, per nostra fortuna non c'è nessun uragano in vista, seppure sarebbe stata un'ottima scusa per saltare le lezioni.

Mi stiracchio e butto il piumone sul letto.

È venerdì. Questo significa che domani è il giorno del bucato. Mi metto i vestiti del giorno prima e gratto via due gocce di sangue rappreso sulla manica della maglietta a strisce. Mi infilo i miei scarponi preferiti e annodo i lacci rossi stretti, li adoro perché posso infilarci dentro il coltellino svizzero. Vado in bagno e passo i successivi quindici minuti a coprire l'orrendo bitorzolo verde sotto l'occhio con del trucco. Alla fine sembra che una bambina cieca e storpia si sia divertita a fare una sessione di trucco sulla mia faccia, però almeno non paio più uscita da qualche film horror.

Mamma e papà mi aspettano in cucina. Mia madre è seduta a tavola, nel suo vecchio posto preferito, che mi sorride gentile e beve una tazza di tè verde. Mi blocco stupefatta.

«Mamma, ma...» inizio preoccupata. «Non dovresti sforzarti.»

La tavola è piena di cibo, soprattutto frutta e agrumi rossi, perfetti per le vitamine. C'è anche una pila di pancake e dello sciroppo. Non ricordo l'ultima volta che abbiamo fatto colazione insieme.

«Oggi sto molto meglio. Abbiamo una visita questa mattina, ma nel pomeriggio ho voglia di andare da qualche parte. Vuoi fare qualcosa in particolare?» mi chiede, muovendo le spalle in un piccolo balletto eccitato.

Rimango a fissarla in silenzio, non sapendo cosa dire. Papà si siede a tavola, lanciandomi un'occhiata cupa e so già che l'idea non deve andargli molto a genio. Non osa dirle di no, tirando in ballo ancora la sua salute fisica e vuole il mio aiuto.

«Mhh, certo. Tutto quello che vuoi» rispondo e vedo lui tirare le labbra infastidito.

Prende altre medicine e finisce la sua arancia con calma, mentre io ingurgito solo dei biscotti al cioccolato e me la svigno in fretta. Non amo restare troppo in casa, specie con mio padre intorno. In rare occasioni ci incontriamo la mattina, esce sempre prima di me e torna dopo, a volte mangia e dorme fuori pur di non vedermi.

Do un bacio a mamma e lei mi blocca. «Dove vai a quest'ora?»

Sbatto gli occhi, non afferrando la domanda.

«È venerdì» le dice papà, indicando lo zaino sulle mie spalle. «Sasha va a scuola il venerdì.»

«Sasha va a scuola?»

Mi fa cenno di lasciarlo solo con lei e me ne vado senza salutare. Mia madre non lo nota nemmeno, è lucida se non si calcola l'ultimo commento e spero solo che le sue promesse di trascorrere un pomeriggio insieme non siano il frutto di una vaga fantasia. Ho davvero voglia di trascorrere del tempo con lei e non voglio cederlo a nessuno, tanto meno a mio padre.

Il cielo è cupo e sul mondo è calato un velo oscuro. Non si vede alcun sole dietro le nuvole o le montagne distanti, il monte Rainer è ammantato da un fitto strato di nebbia e lo Space Needle scompare nel nulla. Fa freddo per essere a settembre ed è umido, le fogne hanno iniziato a puzzare e di lì a poco avrebbe iniziato a piovere.

Dopo un giro in autobus arrivo all'Alington, ricolmo di centinaia di studenti mogi che parlano nei giardini, aspettando il suono della campanella. L'erba è bagnata e la terra piena di fango, non c'è nessuno in giro e molti sono appollaiati sotto le tettoie della palestra per ripararsi.

La leggenda di KiralDove le storie prendono vita. Scoprilo ora