Sixty.3

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Nicholas pv.

E' andata via senz'avvisare. Il giorno dopo non l'ho più trovata, e l'ho cercata, ma tutto di lei sembrava essere scomparso.

Ho passato anni a cercarla, a cercare una spiegazione a quella fuga e non sono mai riuscito a venirne a capo. Fino al giorno in cui per puro caso l'ho vista in televisione mentre inaugurava un altro centro per tossicodipendenti.

E nonostante le mie conoscenze a Parigi lei però sembrava riuscire sempre a depistare le tracce, tantoché sono arrivato a credere di star inseguendo un fantasma.

Poi ho conosciuto Parker, e per puro caso mi ha parlato del suo socio, Dylan. Non ho mai detto a Parker chi fossi, mi sono tenuto in contatto con lui e così ho scoperto l'esistenza di Ginevra, mia nipote. Eppure ancora oggi mi chiedo perché è dovuta andar via da casa, via da me che ero la sua famiglia.

Ho provato a cercare tante spiegazioni ma mai nessuna mi è sembrata quella giusta, mi sono anche chiesto se Jordan Sanders c'entrasse qualcosa con la sua fuga, ma stando ai racconti di Parker, Dylan e Alyce erano sposati quindi mi sono dato dello sciocco per averlo solo pensato.

Non ero pronto a vederla, non mi ero preparato e non sapevo nemmeno cosa dirle.

E adesso, che l'ho davanti, la versione in miniatura della mia cara sorella dentro di me si scontrano così tante emozioni che mi sento confuso, emozione, curiosità, rabbia.

Lei mi guarda, il viso contratto dalla rabbia, i capelli lunghi e neri, gli occhi anch'essi neri, la pelle ambrata che noto con piacere essere uguale alla mia. Ginevra mia nipote è qui davanti a me, ignara del fatto che io sia suo zio.

<<Scusami Parker pensavo fossi solo>>

<<Ginevra cara, tuo padre atterrerà fra un'ora più o meno ti serve qualcosa?>>

La bocca le si apre e le si chiude svariate volte prima che con gli occhi punti la mia persona.

<<Sei uguale a lei>>

Non sono riuscito a controllare l'istinto, la frase mi è uscita dalla bocca imperterrita, come se da quella frase ne dipendesse la mia vita. Ginevra, che adesso ha chiuso la porta, mi guarda, mi osserva si posiziona davanti a me e un sorriso amaro le incornicia il viso d'angelo.

<<Dimmi un po' sei un parente anche tu?>>

La guardo, e non so nemmeno io cosa risponderle, perché mi da l'impressione che se solo le rispondessi in maniera sincera il suo mondo potrebbe crollare sotto le mie parole. La vedo e riesco a percepire il suo turbamento, il suo nervosismo. Mi chiedo cos'abbia potuto sapere per essersi ridotta in quel modo, tuttavia decido di alzarmi e andare via senza darle una risposta certa, se dovremmo avere un confronto penso sia meglio che questo avvenga davanti a sua madre.

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