Sixty.2

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Sono andata via, no, no la frase giusta è sono scappata!

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Sono andata via, no, no la frase giusta è sono scappata!

Non ho retto i loro sguardi, il loro dispiacere verso la povera Ginevra che ha vissuto una vita che non è mai stata sua, è questo ciò che pensano? Provano pena per me? Perché si sono avvicinati a me?

Ci sono così tante domande che affollano la testa che non mi rendo nemmeno conto d'infrangere ogni limite di velocità, guido, guido per scappare via da una vita che sembra volermi mettere ko. Eppure so perfettamente che non servirà scappare, che dovrò affrontare questo gran casino.

Gli credo, io credo a quell'uomo. Non lo conosco, ma gli credo. Sono stati i suoi occhi, che quando hanno incrociato i miei si sono riempiti di lacrime, la sincerità guidava il suo racconto ma io non sono riuscita a reggere la pressione, mamma e papà non sono nemmeno a casa e io non posso nemmeno parlare con loro. Non ho un'amica con cui confidarmi, cazzo sono così sola e non me ne ero resa conto.

Mi fermo, stanca e affranta da tutte queste domande.

L'unica cosa di cui sono, o almeno penso, di essere sicura è il motivo per cui mia madre e mio padre abbiano preso una tale decisione e io, io non riesco ad odiarli.

So perfettamente, o almeno mi sforzo di capire l'intenzione della loro azione. Si sono trovati costretti per un certo senso, non conosco Jordan ma penso proprio che non avrebbe permesso a mia madre di crescermi come mi ha cresciuta. L'amore e il calore mi hanno sempre circondata, loro sono sempre stati i miei pilastri, c'erano e ci sono, sempre.

Non riesco a capire, non riesco a distinguere le emozioni che mi attraversano, sembrano essere più di due i fuochi, come se ognuno di loro avesse una storia, una versione diversa, e io che mi ritrovo nel mezzo cosa devo fare, a chi devo credere, come mi devo comportare?

Come un lampo, ricordo l'unica persona che, forse, mi può aiutare. Così risalgo in sella alla moto e mi dirigo verso casa sua.

Mezz'ora è il tempo che impiego per arrivare fino alla sua villa, e dopo aver abbassato il cavalletto del motore mi appresto a raggiungere la porta principale tuttavia la figura di Meson mi si piazza davanti

<<Che ci fai qui?>>

<<Cerco tuo padre Meson, è in casa?>>

Non aspetto una risposta, perché mi appresto a sorpassarlo, o almeno credo di poterlo fare, perché la sua mano che entra in collisione con il mio braccio mi costringe ad arrestare i miei passi. Devo sollevare il mento per poterlo guardare negli occhi, e mi rendo conto di quanto questi, adesso, siano totalmente sconosciuti per me.

<<Perché lo cerchi?>>

<<Devo parlargli, adesso fammi andare>>

Ma la sua mano resta salda ancorata al mio braccio e la cosa mi porta a sbuffare

<<Meson se non hai altro da dirmi fammi passare>>

<<Tu sai Ginevra, non è così?>>

Un sorriso dal sapore amaro compare sul mio viso, facendo contrarre il suo. Immaginavo si potesse accorgere di qualcosa, ma non credevo arrivasse al risultato così in fretta.

<<E' l'unico di cui posso fidarmi adesso>>

<<Lui non sa nulla>>

<<Questo fallo decidere a me>>

Strattono la sua presa e mi appresto ad entrare in quella casa. Non ho bisogno nemmeno di Meson per trovare lo studio, perché conosco questo posto come le mie tasche, e quando entro mi meraviglio di trovarlo insieme ad un altro uomo, che sembra essere più sorpreso di me quando mi vede.

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