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Passo l'aspirapolvere nel salone muovendomi a passo di musica che ho prontamente messo dallo stereo. Sto cercando di abituarmi a questo cambiamento, pulire questa casa, ad esempio, è un inizio. Sono sicura venga qualcuno a pulirla, ma non fa male una seconda pulizia. E poi mi rendo utile. Certo, però, che sentire la musica fa formare un nodo alla mia gola, nostalgia, questo è quello che provo sentendo la musica. Non riesco a metterci una pietra sopra, il mio lavoro è sempre stata una passione prima che un lavoro, e il non poterlo più svolgere, mi provoca malinconia. È quello che sono, e che sono stata per moltissimo tempo. Come posso metterci una pietra sopra? È come negare me stessa, o una parte di me, non potrei mai perdonarmelo se lo facessi.

Non riesco a stare sola in questa casa, o almeno, Aiden non mi lascia mai da sola, quando non c'è lui mi rammenta delle guardie che stanno in ogni angolo fuori casa, non sono mai completamente sola, mi ripete sempre che non sono pronta a restare sola, come se fossi una bambina poi. Ma questa volta non gli ho detto niente, forse ho ancora il senso di colpa per aver quasi invaso la sua intimità, entrando nella sua camera. Ancora non capisco come abbia fatto a non entrarci. Potevo scoprire ciò che nessuno vuole dirmi, e maledizione se voglio sapere qualcosa.

Non mi è mai piaciuto essere all'oscuro di qualcosa, soprattutto se mi riguarda, quindi niente sorprese per me, è un qualcosa che odio non sapere un qualcosa. E ironia della sorte, sono all'oscuro di molte più cose di quanto immaginavo. Se avessi saputo ciò che mi tengono all'oscuro, sicuramente sarebbe andato tutto diversamente. Sicuramente.

Non mi rendo neanche conto che sto passando l'aspirapolvere sullo stesso punto da ormai cinque minuti, mi distolgo dai miei pensieri, e vado ad aprire alla porta. Dovrei ringraziare chiunque ci sia lì dietro, ha interrotto tutti i miei pensieri negativi.

«Ma buongiorno» una chioma di soffici ricci neri mi salta addosso. Per poco non cado.
«Buongiorno anche a te, Diana, a cosa devo tanta dolcezza?» chiedo allontanandola da me.
«Per farmi perdonare» il suo sorriso smagliante è il contrario del fratello. Caratterialmente sono gli opposti, Diana è solare, gentile, Aiden è freddo, distaccato. Se non fosse per i capelli e per la struttura del viso non li considererei neanche fratelli.

«Vieni entra pure» la faccio entrare chiudendo la porta alle mie spalle.
«Come mai c'è un aspirapolvere nel salone?»
«Stavo pulendo, non ho niente da fare, Aiden si è rifugiato di sopra e mi è sembrata un buon impego del mio tempo pulire»
«Capisco»
«Scusami un secondo, vado a togliere la musica» non la lascio rispondere che mi precipito nel salone. Maledico mentalmente chi ha deciso di creare un open space, se prima avrei potuto chiudere una porta alle mie spalle, ora è materialmente impossibile, e addio privacy. Mi avvicino allo stereo e lo spengo. Silenzio. Niente che non sia silenzio, l'ho sempre odiato, il silenzio ti dà il consenso di pensare, e io sono una di quelle persone che non vuole pensare a niente, che fa di tutto per tenersi occupata pur di non pensare.

«Ma ti sei resa conto di che ora sia?» sussulto sentendo Diana.
«No, perché che ore sono?» cerco di calmare i battiti accelerati.
«È ora di pranzo, sai questo cosa significa vero?» mi guarda con un'espressione indecifrabile.
«No?» non so neanche se la mia risposta sia più una risposta che una domanda.
«Amica mia» mi prende per mano «Significa che mi delizierai con la tua cucina»
«Quindi tu sei venuta qui solo per mangiare qualcosa fatto da me?»
«Direi proprio di sì» mi trascina in cucina e un sorriso spontaneo si forma sulle mie labbra.


«Ancora non riesco a capire come tu possa cucinare così bene» afferma Diana bevendo un sorso d'acqua. Le avevo chiesto se avessi dovuto avvisare suo fratello che stavamo per pranzare, ma mi ha detto che è meglio non disturbarlo quando si rifugia al piano di sopra. E per una volta non ne ho fatto una riflessione personale, ho bisogno un po' di distanza da quell'uomo, soprattutto dopo quello che è successo il 31 Dicembre.
«Quando ero piccola stavo sempre con mia nonna, i miei genitori erano sempre a lavoro e quindi sono cresciuta con lei. Mi ha insegnato tutti i trucchi di una buona cucina, e non è l'unica cosa che mi ha insegnato» è uno dei pochi argomenti in cui divento sensibile. Un tasto dolente, fa sempre male doverne parlare.
«Un giorno me la presenterai? Vorrei farle i complimenti e magari chiederle se può insegnare anche a me qualcosa»
«Non penso sia possibile» nel suo sguardo vedo solo compassione, in questo momento, e la compassione mi ha sempre provocato una rabbia incontrollata. Non voglio che gli altri provino compassione nei miei confronti, compassione significa trattarti come se fossi in una campana di vetro, e non è il mio caso, non lo è mai stato, e non sarà mai il mio caso.

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