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Da quando Alice si svegliò, capì che sarebbe stata una giornata di merda.

A partire dalla sveglia che non aveva suonato.

«Merda» sibilò, scattando a sedersi sul letto, con i capelli tutti scompigliati. «Tif, la sveglia non ha suonato, cazzo!»

Tiffany dormiva della grossa in quanto quel giorno lavorava di pomeriggio, e i rumori dell'andirivieni dell'amica non la disturbavano minimamente.

Alice non ebbe modo nemmeno di truccarsi e in neanche un quarto d'ora era già fuori casa col fiatone, sotto un cielo greve di pioggia.

Mentre camminava verso la fermata del pullman cominciò a testare la borsetta come una forsennata, ma l'ombrello lo aveva scordato sul comodino, accanto al letto: lo aveva lasciato lì "così quando mi sveglio mi ricordo di mettermelo in borsa!".

"Speriamo almeno non ricominci a piovere" si augurò osservando le grosse pozzanghere che costellavano le strade.

Il 53 era in ritardo o aveva addirittura saltato la corsa, così si decise ad andare al lavoro a piedi, erano venti minuti piacevolissimi col bel tempo, no di certo se per caso...

«Ecco» sospirò mentre sentiva le prime gocce di pioggia bagnarle la giacchetta in jeans.

Allungò il passo, e poco prima di attraversare la strada davanti al suo ufficio, passò un SUV a velocità sostenuta che le inzuppò i pantaloni di pioggia e fango. I piedi le nuotavano dentro gli stivali nuovi presi la settimana prima.

«Ciao a tutti.»

«Ali, ma che fine avevi fatto? Ti stavamo per dare per dispersa... ma che ti è successo?»

Alle macchinette del caffè dell'ingresso incrociò Romina, la sua collega pettegola, con gambe chilometriche e un outfit impeccabile, neanche lavorasse a Wall Street.

Cercò di fare il sorriso più incoraggiante del repertorio. «Ciao Romi, ho dimenticato a casa l'ombrello.»

«Lo vedo» commentò ironica Chiara, la sua pedante tirapiedi con le tette rifatte, che cercava di copiare il look sofisticato di Romina, ma con una vena più puttanona (bastava vedere le unghie lunghe finte tutte glitterate e col diamantino tamarro al centro).

«Eh, già... devo andare prima che arrivi il capo.» Sgusciò via con le gote in fiamme e si lasciò cadere al suo solito posto accanto alla finestra, mentre attorno a lei varie file di centralinisti dibattevano a media voce nelle cuffiette coi clienti.

Girò con la sedia per guardare il ragazzo alle sue spalle.

«Ciao Albi, tutto bene qui finora?»

«Ali ma tutto bene? Hai una faccia.» Alberto era un suo vecchio amico del liceo, che dopo anni aveva ritrovato, entrambi al call center. Lo vide sporgersi oltre la schermata del PC, e sistemandosi gli occhiali aggiunse, a bassa voce: «Perego arriva più tardi, quindi fai con comodo.»

«Oh, cielo, meno male! Almeno qualcosa che vada per il verso giusto...» Non fece in tempo a finire la frase che notò un grosso taglio nel tessuto dei pantaloni, all'interno della coscia sinistra.

«Cavolo, li avevo comprati neanche un anno fa» gemette fra sé e sé avviando il computer con un ronzio stanco.

Alla prima chiamata udì il cliente proprio male.

Chiamò i tecnici solo dopo che le successive telefonate confermarono che la sua linea era disturbata.

In un'ora non era riuscita a farne mezza, di intervista, figuriamoci le quattro che in media avrebbe dovuto fare. Si alzò e andò verso le macchinette del secondo piano dove di solito non incrociava gente spiacevole come Romina e Chiara.

"Con la fortuna che mi ritrovo oggi, la macchinetta non mi darà il resto" si disse laconica, infilando cinquanta centesimi nella fessura, ed in quel momento arrivò Perego, il capo.

«Massari, che ci fa qui?» tuonò col suo vocione. «Perché ogni volta che la vedo, è sempre via dalla postazione? Santo cielo.»

«Ho... il telefono che non va, signore» pigolò cercando di farsi piccola, per quanto le fosse possibile.

Ovviamente non le fece caso. Le piazzò un bel cazziatone di cinque minuti e solo dopo si allontanò furente verso il suo ufficio.

Voltandosi, Alice si ricordò della macchinetta alle sue spalle, e schiacciò per una cioccolata, fanculo ai chili in più, aveva bisogno di tirarsi su il morale.

Uscì solo il bicchierino di plastica.

«Ma che cazzo» esclamò con un moto di rabbia, e assestò una manata alla macchinetta che, evidentemente indispettita dal gesto di Alice, lanciò una piccola esplosione di sostanza scura dal vago sentore di cacao, sporcandole la camiciola bianca.

Perfetto.

L'unica nota positiva era che il problema al suo telefono pareva più serio del previsto, così che con fare seccato, il capo le intimò di andarsene pure a casa.

«Oggi sei stata fin troppo "utile" all'azienda.»

Alice incassò male il colpo.

Prese il 53 dopo pochi minuti d'attesa e in piedi in mezzo ad una marea di studenti, si impose di non piangere. A casa si sarebbe fatta un lungo, lunghissimo bagno caldo ascoltando la nuova playlist scoperta su Spotify "Daily Spa", candele profumate e i sali alla lavanda.

Già si sentiva meglio.

Anzi, si sarebbe mangiata pure gli avanzi della quiche ai funghi della sera prima direttamente in vasca. Sorrise alla prospettiva.

Entrò. E si bloccò.

Sul divano sulla sinistra c'era Duccio che stava togliendo a Tiffany un tanga nero pizzato (Nasty! ebbe giusto modo di pensare, ammirata), stesa sui cuscini dandole le spalle.

«Scusate» strillò con vocetta acuta imbarazzata chiudendo la porta con un tonfo secco e correndo giù per le scale.

Ma che cazzo, Tif! Non lavorava mica a quell'ora? E poi...Duccio. Il suo eterno Flirt, ci era riuscita, eh?

Una volta fuori in strada sospirò. Doveva trovarsi qualcosa da fare nel mentre.


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