23.

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Alice fece partire l'ennesima chiamata di quella mattinata di lavoro che si stava rivelando piuttosto infruttuosa: telefoni che squillavano a vuoto, una serie interminabile di segreterie e l'immancabile simpaticone che fingeva di non capire.

«I don't speak italian. I don't speak english» le aveva detto un cliente, di chiare origini e madrelingua italiane, e ad Alice era venuta voglia di chiedere che accidenti di lingua parlasse, allora.

Mentre il telefono dall'altra parte squillava a vuoto, Alice stava canticchiando "Always" che le era rimasta impressa dalla serenata di Paride della notte precedente.

Aveva la mente assopita, complice la noia e la levataccia a metà notte, ed era imbambolata, quando il suo campo visivo fu occupato da due occhi piccoli e scurissimi su un viso tondo contornato da una folta barba ben curata.

Alice trasalì, facendo fare un balzo indietro alla sedia girevole della sua postazione, riconoscendo il galeotto della festa di Halloween.

«Scusa, non volevo spaventarti» si affrettò a dirle lui, al che lei aprì la bocca per ribattere, ma le parole le morirono in gola. Chiuse e riaprì la bocca un paio di volte, e poi farfugliò: «No no, ma figurati... scusami tu...»

Lui allungò una mano verso di lei, ed Alice la strinse con un sorriso imbarazzato: «Sì, perdonami, io sono Alice.»

«Oh, ehm... Neri, piacere. Ti posso chiedere...?» Con la mano libera indicava il telefono che lei teneva accanto a sé, poi notò la sua giacca con il logo e capì che si trattava del tecnico venuto per metterle a posto il suo telefono. Non certo uno che si voleva presentare con lei.

Arrossì e desiderò che la terra la inghiottisse. «Scusami!»

«Ma di cosa, ti pare!» le rivolse un sorriso gentile e spontaneo mentre armeggiava con i cavi rossi del suo apparecchio. «Guarda tu, si era usurato il disgraziato. Aspetta che dovremmo già avercelo qui.» Si chinò goffamente, essendo massiccio faticava a muoversi in quello spazio angusto, ed Alice non staccò gli occhi dal suo fondoschiena tondeggiante.

«Respira, eh» le sussurrò Alberto sporgendosi verso di lei con un ghigno, e lei di rimando lo cacciò al suo posto con una gomitata secca.

«Eccolo qui.»

«Perfetto» cinguettò Alice in tono decisamente troppo alto, al che lui commentò divertito: «Parola mia, la prima persona qui che sia felice di tornare a lavorare.»

Lei si unì alla sua risata, virando verso un tono sempre più bordeaux.

«Beh, grazie mille Neri, sei stato gentilissimo.»

«Figurati, mi pagano per farlo.» Alzò una mano in segno di saluto e girò sui tacchi per tornare al suo ufficio al quarto piano.

Alice alzò l'indice minaccioso verso Alberto che non aveva smesso di fissarla divertito.

«Non un commento, grazie.»

Espirò lentamente, e calmatasi un attimo, si rassegnò a dover tornare al suo elenco di numeri da chiamare.

*

Tiffany trotterellava verso casa, il naso affondato nella grande sciarpa calda, persa nei suoi pensieri mentre attraversava a passo svelto la piazza del comune, tra la luce dei lampioni nella penombra della sera.

Arrivata sotto casa vide che la vetrina dei Leone era illuminata, e così entrò con passo deciso.

«Stiamo chiudendo» la raggiunse la voce di Lorenzo, strascicata.

«Ehi, Lore, sono Tif.» Si sporse oltre il bancone per cerare qualcuno, ma l'altro uscì fuori da dietro uno scaffale con le sopracciglia lievemente inarcate. «Oh, ciao. Avevi bisogno?»

RUM MATESDove le storie prendono vita. Scoprilo ora