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«Cazzo» sibilò Tif, puntellandosi sui gomiti verso la porta alle sue spalle. Si era scordata di avvisare Alice che quel pomeriggio non andava al lavoro perché il proprietario doveva sbrigare una faccenda urgente e all'ultimo aveva avvisato i pochi dipendenti che sarebbe rimasto chiuso l'alimentare per quella giornata.

«Scusa, la mia coinquilina non sapeva...»

«Beh, poteva anche unirsi.» Duccio le rivolse un sorrisino monello che le fece arrivare una forte ondata calda alla base dello stomaco.

Lo vide chinarsi e sparì tra le sue cosce frementi, le mordicchiò l'interno delle gambe con delicatezza prima di strapparle con una lingua rossa e umida il suo striminzito perizomino.

«Sei un monellaccio» gli mormorò a occhi stretti e vide i suoi occhi chiari ridere prima di ritornare in immersione verso il suo sesso palpitante.

Tiffany buttò indietro la testa e si morse il labbro inferiore mentre sentiva i suoi baci intimi, le carezze umide sulla sua seconda bocca, il clitoride in fibrillazione.

Oddio... Oddio se ci sapeva fare!

Allungò un braccio e gli accarezzò i folti capelli carota, mentre sentiva il piacere montarle dentro, riempiendola tutta di un calore avvolgente.

«Non ti fermare, ti prego!»

*

Alice stava andando verso il baretto in piazzetta lì accanto, sempre se non la investiva un tir, non la rapivano gli alieni o altro, quel giorno poteva aspettarsi qualsiasi cosa.

Girò sui tacchi a capo chino, sentendosi stanchissima, ed andò a sbattere contro una persona.

«Oh, mi scusi io...»

Si trovò davanti al fratello di Alex, di cui non si sovveniva il nome, che la guardava con aria vagamente accigliata.

«Alice, giusto?» domandò col vocione, e lei ebbe un vuoto sul come si chiamasse quello spilungone dall'aria vagamente arcigna.

«Sì! Esatto... mh... dovete fare qualche lavoro ancora?»

Le cadde l'occhio sul grosso mazzo di chiavi con cui aveva appena aperto la saracinesca del negozio, e sbirciando dentro scorse nell'ombra scura le sagome ordinate degli scaffali in legno massiccio.

«Mh, sì, ormai è ultimato, abbiamo fissato l'inaugurazione del negozio tra circa una settimana, dobbiamo solo aprire gli ultimi scatoloni e via» elencò sulla punta delle dita (che mani enormi, ma cos'erano dei badili?).

«Quindi dovete ancora aprire degli scatoloni e basta!»

«Più le pulizie, però sì.» Aveva un tono spiccio, non le pareva che se la cavasse bene con le chiacchiere di circostanza. Alice ebbe una folgorazione.

«Ascolta! Posso aiutarti con gli scatoloni se ti va, che dici?» Così poteva aspettare arrivasse Alex e approfondire un po' di più la sua piacevole conoscenza.

Ci fu un urlo non proprio articolato di gemiti di piacere, ed entrambi arrossirono di colpo, finendo poi per ridere.

«Va bene!» fu il suo educato commento tra le risate, ma ad Alice le risate vennero meno quando capì da chi provenissero.

«Dai, ti do una mano con gli scatoloni» fece con tono di voce più squillante di vari decibel in più del dovuto, e vedendo che stava per ricominciare a piovere, il ragazzo la fece entrare.

«Beh, grazie.» Pareva un po' impacciato mentre le faceva strada all'interno. Accese le luci e Alice vide finalmente il locale: erano due grosse stanze collegate da una porta, e attorno a lei stavano alti mobili scuri pieni di bottiglie panciute e scure. Tutto aveva un sapore di antico e il profumo di legno e vagamente dolce dell'alcol rendeva tutto estremamente piacevole.

«Che bello!» esclamò, rendendosi conto di aver fatto una constatazione più che banale, l'altro però fece un cenno di assenso col capo ed un accenno di sorriso gli illuminò il viso. «Grazie.»

Aprirono il primo scatolone ai loro piedi ed iniziarono a riempire gli scaffali ancora vuoti di Ron Miel dalle Canarie. Alice rimase un attimo a contemplare l'etichetta in spagnolo. «È fatto col miele? Perché se è così ve ne prenoto già una cassa...» Fece un gesto veemente alla cassa ai suoi piedi, ma ne farlo le scivolò la bottiglia che cadde sui piedi del ragazzo.

«Porca p...»

«Oddio! Oddio, scusa, scusami! io...»

«Tranquilla.» Le rivolse un sorrisino tirato, e raccolse la bottiglia. «Per fortuna non si è rotta...»

Ad Alice salirono le lacrime agli occhi. «Scusa, oggi davvero, non è giornata.»

Lui la guardò aggrottando la fronte, e poi spalancando gli occhi dalla vaga forma a mandorla si affrettò ad aggiungere: «No, io ecco, intendevo per i vetri, queste bottiglie non sono poi 'sta grande cosa.»

Lei accusò il colpo, e preferì partire all'attacco: «E quindi... quando arriva tuo fratello?»

«Oh. Alex non viene.» Si chinò ad aprire un'altra scatola. «Oggi accompagnava nostro pare dal dottore.»

«Oh, spero... nulla di grave.» Alice pregò che la sua delusione non fosse così evidente.

Lui fece spallucce. «No, soliti controlli di routine.»

«Ah, meno male.»

«Sì.»

Attimi di silenzio imbarazzanti per Alice, lui invece continuava placido come nulla fosse. Cavolo, non si ricordava ancora il suo nome! Forse iniziava con la M, no, cavolo...

«Beh, vostra madre invece tutto bene, immagino.»

Passandogli la bottiglia vide sul suo viso allungato un'espressione indecifrabile. «Mh, ecco... in realtà... mia madre è mancata quando avevo sei anni.»

A sua discolpa, Alice aveva passato una giornata tremenda. Lei non era tipa da lasciarsi andare a sentimentalismi davanti a sconosciuti.

Solo che, ecco, quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Grossi lacrimoni le rotolarono sulle guance rosa, non poté minimamente fermarle mentre se ne stava lì impalata a fissarlo con occhi sgranati.

Lui sul momento non capì bene cosa stava succedendo, gli venne quasi da ridere, ma quando ad Alice sfuggì il primo singhiozzo, si agitò un attimo.

Che cazzo, lui voleva solo pulire il locale in santa pace.

«Ehm, ehm, tutto... tutto bene?»

Alice si odiò, ma non fece nulla per porre freno a quel mare di lacrime e lasciò libera quell'esondazione liberatoria.

«Sono un'insensibile!» singhiozzò affondando il viso tra le mani ben curate mentre l'altro si passava nervosamente una mano sulla nuca.

Alice vedeva quel bambino dai capelli scuri, il viso lungo e gli occhi tristi accanto ad un lettino d'ospedale, la stanza piena di gigli bianchi...

«Veramente non c'erano gigli bianchi o stanze di ospedale. Per quanto suggestivo.»

Alice si trovava seduta a terra con un braccio forte attorno alle spalle.

«Oh... ho parlato...»

Lui aveva un'espressione imbarazzata, seppure con un sorrisino trattenuto.

«Ammetto che è la prima volta in vent'anni che qualcuno reagisce così alla notizia di mia madre» confessò, lanciandole un'occhiata obliqua allargando il sorriso bianco.

Ad Alice sfuggì un ultimo singhiozzo.

«Scusa, ma... io non... di solito non faccio così! Solo che oggi è stata una giornata infelice!» Si fermò un attimo.

Ah, forse si ricordava del suo nome!

«Ehm... spero che la tua sia andata meglio... eh, Luca?»

Lo vide fare una smorfia.

«Quando vedrò Luca, glielo chiederò.»

Cazzo, cazzo.

«Visto?! Oggi non è giornata... Lorenzo. È Lorenzo, non è così?»

Lui se la stava ridendo. «Dai, al secondo tentativo ti è andata meglio. Forza, una tazza di tè potrà almeno risollevarti il morale?»


RUM MATESDove le storie prendono vita. Scoprilo ora