🕸️ Un mondo per pochi

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Cinto al suo collo c'era il braccio dell'amico riccioluto. Alcuni ciuffi crespi della folta chioma gli solleticavano la guancia procurandogli un leggero fastidio. Non lo teneva stretto a sé, a legarli in quel momento era un leggero abbraccio fraterno. Nonostante non fossero insoliti gesti del genere fra i due, risultava comunque difficile deambulare per i corridoi scolastici in quel modo.

Non c'era un motivo preciso per il quale Ray avesse deciso di accogliere Frank così quella mattina. Si sentiva particolarmente su di giri per gli allenamenti e la conseguente partita di baseball di quel fine settimana. Entrambi erano ottimi giocatori sin dal primo anno, e Frank era di sicuro il miglior battitore che la scuola avesse. Una risorsa preziosa da tenere al sicuro. Anche se Frank non si sentiva affatto così.

Frank non era per nulla abituato ad essere quello trattato bene, quello importante e rispettato. Non gli dispiaceva affatto, ma era strano. Sin dalle elementari aveva capito che il suo posto nella scuola, così come nella società, non era in prima fila, bensì nei posti in fondo alla sala. Erano stati chiari a riguardo, non sarebbe mai diventato nessuno, e nessuno gli si sarebbe mai avvicinato per puro interesse in lui, figuriamoci desiderato essere suo amico. Se all'epoca gli avessero chiesto di paragonare la sua vita a qualcosa avrebbe sicuramente detto "pezzo di un puzzle", inutile se preso da solo, e Frank non aveva mai avuto nessuno che lo completasse. Per questo non riusciva a sentirsi pienamente importante.

Era strano che venisse reputato addirittura un ragazzo da tenersi stretto in squadra. Ray sapeva bene che, per quanto Frank si fosse abituato in tutto quel tempo ad essere quello popolare e circondato da ragazzi che vogliono essere amici e ragazze che vogliono qualcosa in più, una parte di lui avrebbe trovato quel posto socialmente non adatto a sé. Secondo Ray gli faceva onore restare con i piedi per terra, ma cercava comunque di fargli godere un po' di più quello che aveva. In fondo anche per lui era nuova come cosa, ma da quando erano entrati in squadra e avevano iniziato a frequentare le persone giuste, aveva accettato di buon grado - e di certo più velocemente rispetto a Frank - la popolarità.

Nel loro percorso verso gli armadietti, meta di ogni studente prima di frequentare le lezioni, Ray vide, come attirato da un segnale luminoso, un ragazzo moro che con la vitalità e il pallore di chi è morto da diverse settimane. Questo maneggiava con il contenuto del suo armadietto. Ray non conosceva bene Gerard, a parte aver avuto un paio classi in comune durante gli anni e averlo visto per i corridoi sin dalle medie non aveva fatto. Ma conosceva a menadito tutti i nomignoli e le voci su di lui. Salutarlo con il suo appellativo più usato era come un'abitudine, lo faceva sin dalle medie. Non per cattiveria, preferiva definirsi indifferente suoi confronti, ma per abitudine. E lo fece.

«Smettila Ray» lo rimbeccò Frank attento ad usare un tono di voce non troppo alto, non voleva attirare l'attenzione di tutti in quel corridoio, già lo faceva senza che iniziasse a gridare. Ad accompagnare il rimprovero ci fu una leggera gomitata, essa non fece neanche male a Ray, ma anzi dovette trattenersi dal ridere dato che soffriva il solletico.

Ray ridacchiò sommessamente tastando il fianco in maniera meccanico, poi rispose a Frank con uno sguardo interrogativo in volto, non capiva cosa avesse sbagliato. «Perché questo?» domandò. L'amico lo guardò con sguardo quasi ovvio, di chi non si aspettava quella domanda, «Ma come perché? Gli hai detto una cattiveria in modo gratuito, senza motivo» spiegò andando sempre più in disparte rispetto al resto degli studenti.

«Quale cattiveria?» si inserì senza preavviso nella conversazione Robert. Robert, o come veniva chiamato comunemente da tutti Bob, aveva il cattivo vizio di entrare sempre a gamba tesa nelle conversazioni, anche quelle che non gli riguardavano. Questo suo comportamento veniva scusato dalla maggior parte dei suoi conoscenti con un "è semplicemente il suo carattere", come se questa fosse una scusante valida. Infatti per Frank quella era una cavolata, sapeva che se voleva Bob poteva evitare, ma sapeva anche che non voleva affatto. Frank quindi non lo scusava, piuttosto lo sopportava, dato che dal canto suo non poteva permettersi di perdere gli amici che si era guadagnato.

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