Parte Quarta-Mattia-Capitolo 1

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Le gambe strette al corpo, rannicchiato su sé stesso, ascolta quel sordo battere che squarcia il silenzio.

Tum, Tum, Tum, Tum

Si copre le orecchie con le mani per non sentire. Davide fa cose orribili in quella cantina, lo sa e cerca di evitare di pensarci, perché il solo pensiero lo fa rabbrividire. Ne ha paura e ne è affascinato nello stesso tempo.
Non ricorda esattamente quando è iniziato, forse ancor prima che morisse nonno, quello che lo apostrofava come il piccolo bastardo, non ricorda una volta in cui l'abbia chiamato con il suo nome. Pensa che suo nonno lo odiasse e non c'era giorno che non ricordasse a Davide di quanto fosse inutile la sua piccola gentilezza. Perché in tutta quella merda, lui era un fiore delicato. Non ricorda sua mamma se non vagamente come due braccia che lo avvolgono, gli unici abbracci di cui abbia memoria. Poi solo un freddo glaciale. Suo nonno lo picchiava spesso, diceva che serviva a raddrizzarlo e lui ne aveva sempre avuto paura, sempre di più. Poi aveva iniziato a stare male, chiuso in una stanza a urlare e maledire il mondo e Mattia aveva avuto un po' di pace, gli bastava tapparsi le orecchie per non sentire e si poteva illudere che lui non esistesse più. Un giorno era successo, le sue preghiere erano state esaudite e nonno era morto. Guardava il suo corpo freddo e immobile e non provava nulla, neanche più odio, nulla. Aveva allungato un dito, infilandolo nella guancia, aspettandosi che sarebbe scattato in piedi iniziando a vomitargli contro parole irripetibili e invece era rimasto immobile, senza dare nessun segno di vita. Non che Davide fosse più gentile, almeno non si accaniva su di lui senza motivo. Aveva imparato cosa lo mandasse in bestia, prima di tutto quando gli disubbidiva. Cercava di assecondarlo in tutto e provava a stargli distante quando aveva quello sguardo, ma non sempre gli era possibile. Ormai non usciva quasi più, a scuola non era mai andato, anche se avrebbe già dovuto frequentare la seconda elementare, Davide gli faceva prendere lezioni private e aveva presto imparato a leggere e scrivere. Era un bimbo molto intelligente, forse troppo e alle volte la sua insegnante aveva intuito qualcosa nei suoi silenzi e nei suoi atteggiamenti ma lui era stato abile a non raccontarle niente, non voleva sparisse anche lei come sua mamma. Era l'unica presenza femminile avesse mai conosciuto e non voleva perderla, anche per quelle poche ore la settimana. Poi avevano incominciato a spostarsi e anche la sua maestra aveva smesso di esserci. Cambiavano casa un po' troppo sovente e lui non si era mai azzardato a chiederne il motivo.
Aveva imparato ad assecondarlo, così le punizioni erano meno violente e poteva nasconderne i segni sotto le maglie lunghe. Non che ci fosse qualcuno che potesse salvarlo, ormai usciva così raramente che non ricordava più come fosse il mondo esterno. Aveva invece imparato a muoversi agevolmente nei cunicoli che attraversavano le case dove andavano a vivere, l'ultima aveva una rete di tunnel che dall'appartamento portava a delle cantine segregate che lui aveva paura di avvicinare e che lo affascinavano. Sapeva che Davide nascondeva delle persone in quei posti e aveva spesso sentito rumori ed urla provenire da lì. Quando tutto era troppo orribile si chiudeva nel suo mondo fantastico, fatto di luci colorate e pace e si estraniava da tutto quanto, anche se era sempre più difficile.
Davide provava ad attirarlo nell'oscurità della sua mente e qualche volta aveva avuto presa su di lui, come quando l'aveva costretto ad addormentare quella ragazza e lui aveva ubbidito senza fiatare. Per fortuna il liquido che le aveva iniettato non era mortale e lei si era risvegliata, in una delle prigioni che lui aveva ricavato nelle cantine. Non appena ne aveva avuto la possibilità ed era rimasto solo era andato a controllare come stesse. Si sentiva in colpa, era la prima volta che Davide lo coinvolgeva direttamente nel rapimento di qualcuno, le altre volte aveva solo assistito o percepito ciò che faceva e aveva potuto illudersi fosse solo un brutto sogno, che lo veniva a visitare di notte, come le urla e l'odore del sangue. Quell'odore che rimaneva addosso a suo padre per giorni, nonostante provasse a lavarlo via. Ma lui lo sentiva e dopo che qualcosa di orribile succedeva Davide era tranquillo per giorni e lo ignorava, come se fosse placato. Ma ciò lo spaventava ancora di più, perché sapeva che presto si sarebbe rimesso in caccia di altro sangue che lo soddisfasse. Per quanto fosse solo un bimbo, Mattia era consapevole di quanto fosse ingiusto tutto quanto e non provava che terrore per quel padre che non gli aveva mai chiesto di chiamarlo così. Sperava solo che potesse accadere qualcosa che lo potesse liberare da quell'incubo, perché ogni giorno che passava se ne sentiva trascinare sempre più dentro, sempre più a fondo, nonostante provasse a prenderne le distanze. Ma quando qualcosa diventa la tua quotidianità finisci per abituarti, poi per giustificarla e infine per pensare che sia normale.
Quella ragazza, Giulia, come gli aveva detto di chiamarsi, era il suo primo contatto con il mondo esterno dopo mesi e lui ne era stato attratto, come una falena con la luce. Era così graziosa e gentile, nonostante il male che le avevano fatto si era interessata a lui e gli aveva chiesto come stesse, come si chiamasse e cosa gli piacesse fare. Nessuno, a parte la sua insegnante, aveva mostrato gentilezza prima di allora. Aveva provato il desiderio di proteggerla e di evitare che Davide le facesse del male, ma non sapeva come. Dopo quella prima visita le aveva promesso che sarebbe tornato, ma aveva dovuto attendere di essere solo.
Gli piaceva Giulia, era così delicata che gli sembrava quasi fragile in quella delicatezza, eppure non aveva pianto e non l'aveva pregato di tirarla fuori di lì, si era preoccupata di lui e se stesse bene. Nessuno l'aveva mai fatto e lui aveva sentito che avessero qualcosa in comune, qualcosa di molto intimo e profondo che l'attirava verso di lei. Le aveva promesso che sarebbe tornato e le avrebbe mostrato le sue pietre ed era riuscito ad intrufolarsi nella sua prigione e farsi vedere da lei.
Era rimasto sorpreso dal modo in cui l'aveva guardato, avrebbe dovuto provare odio per il semplice fatto che era il figlio dell'uomo che la teneva prigioniera, eppure nel suo sguardo non c'era disprezzo, ma amore e compassione, quella buona che ti fa venire voglia di entrare in sintonia totale con l'altra persona. L'aveva stretto tra le braccia e gli era sembrato che quasi piangesse per il solo fatto di poterlo avere così vicino e non si era preoccupata neanche per un attimo di sé stessa, almeno lui non l'aveva percepito. Gli era arrivata tutta la sua compassione e ne era stato investito in pieno, il male non aveva mai esercitato un fascino altrettanto forte su di lui e ne era rimasto spiazzato. Voleva aiutarla in qualche modo ma non riusciva a capire come.
Davide era sempre più nervoso, come se stesse annusando la possibilità di arrivare al suo scopo e ne percepisse l'eccitazione e questo succedeva prima che quelle persone scomparissero. Sarebbe toccata la stessa sorte a Giulia? Non poteva permetterlo, era ora di agire. Qualche tempo prima Davide gli aveva regalato un coltellino affilato, uno di quei cutter che si usano per mille cose, da tenere in tasca in caso di emergenza. Presto gli avrebbe insegnato come usarlo, per ora l'unica esperienza traumatica era stata su un coniglio e lui ne era rimasto scosso. L'aveva portato nei boschi e quando quel povero essere indifeso era passato loro davanti gli aveva sparato, ferendolo senza ucciderlo.
L'aveva afferrato per le spalle stringendo forte e fissandolo negli occhi, ghiaccio contro acqua.

"Devi finirlo, un colpo diretto al cuore, senza esitazione."

Mattia aveva scosso la testa, non ci pensava neanche ad uccidere quel povero essere indifeso, la sola idea gli faceva ribrezzo.

"Sei una pappamolla, alla tua età sai quanti animali avevo già ucciso e torturato? Aveva ragione il nonno, non sei buono a niente. Dovrò liberarmi di te."

Mattia aveva tremato nonostante il pesante giaccone che lo avvolgeva, avrebbe voluto piangere ma sa che questo gli porterebbe il disprezzo di Davide e probabilmente lo lascerebbe giorni senza cibo per punirlo, come era già successo altre volte. Con la mano scossa e poco ferma si era avvicinato al povero animale indifeso, ormai agonizzante. Aveva chiuso gli gli occhi e preso un lungo respiro.
Ti prego, perdonami.

Aveva alzato la mano e lo aveva colpito, riaprendo gli occhi. Il colpo non era stato troppo forte ma ben indirizzato e l'animale aveva sussultato appena.

"Dai qua, non sei neanche capace di uccidere una bestia." gli aveva sfilato il coltello e colpito con ferocia più volte, fino a che neanche un sospiro di vita era rimasto in quel povero coniglio. Mattia si era coperto gli occhi, sussultando e quando si era sentito afferrare per un braccio era conscio che suo padre fosse adirato oltremodo, perché non gli aveva mostrato di essere crudele, come lui sperava. Lo aveva strattonato con forza, riportandolo alla macchina senza dire nulla e quando si erano trovati seduti uno accanto all'altro, aveva lanciato il coltellino sulle sue gambe, ancora sporco del sangue dell'animale. Per giorni quelle immagini avevano tormentato i suoi sogni, scene di animali sgozzati ed uccisi senza pietà. Non voleva che lo stesso destino capitasse a Giulia e non potendo tirarla fuori di lì, poteva almeno cercare di darle una mano a difendersi. Attende il momento giusto, quando Davide si allontana per preparare la cena. Sa che sarà impegnato per qualche minuto e che non andrà a cercarlo e decide di rischiare.
Afferra il cutter e lo infila in tasca, passando per la cucina per accertarsi che Davide sia intento ai fornelli e non possa accorgersi di nulla. Scivola nelle cantine e arriva al punto dove sa che Giulia, dall'altra parte del muro, possa sentirlo. Batte energicamente un paio di volte, poi altri due colpi.

"Mattia sei tu?"

Sentire la sua voce lo tranquillizza, ha quel potere strano su di lui e si trova a desiderare che lo porti via, da lì è da tutto quell'orrore.

"Ti ho portato una cosa, spero possa esserti utile." attraverso la fessura nel muro le passa il cutter, facendo attenzione che non cada.

"Sei sicuro che vuoi darlo a me?"

"Non voglio che ti faccia del male. Ora devo andare potrebbe tornare."

Sta per voltarsi ma sente la sua voce che lo richiama.

"Ti prometto che ti porterò via da qui, non ti farà più del male." gli occhi gli si riempono di lacrime, come vorrebbe abbracciarla e farsi portare lontano da lì, per sempre. Non rimpiangerebbe neanche per un attimo la vita che conosce, non ricorda un giorno in cui non abbia vissuto nella paura e nel terrore, non ricorda un abbraccio o una parola di conforto. Appoggia la mano sul muro come se lei potesse sentirlo, potesse avvertire il desiderio che cresce in lui di libertà. I rumori che gli arrivano alle orecchie lo costringono ad andare via da lì, Davide sta scendendo in cantina e non deve trovarlo. Fortunatamente conosce quei cunicoli a memoria, potrebbe percorrerli ad occhi chiusi e gli sono familiari tutti i nascondigli in cui può infilarsi per non farsi scorgere. Quando suona la sirena e già nella sua camera, sperando che non le abbia fatto del male.
Davide piomba nella sua stanza e senza dargli il tempo, se non di buttare qualche vestito in uno zaino, lo trascina via di lì, attraverso quel labirinto buio che sbuca all'aperto, dove la macchina è pronta per portarli via. La faccia di suo padre non promette niente di buono, come se gli avessero sottratto il giocattolo preferito, ha l'espressione del gatto a cui il topo è sfuggito all'ultimo istante.
Spera solo non le abbia fatto altro male e si trova a pregare che non le sia accaduto nulla. Il suo ultimo pensiero mentre la macchina si allontana da quel mondo che ha conosciuto fino ad allora è per lei, Giulia, per quegli occhi dolci che lo avevano guardato come se lo conoscessero da sempre, come se potessero leggergli dentro e si aggrappa a quell'ultimo promessa.
Ti porterò via da qui.

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