12. IRIS

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Stamattina svegliarsi è stato più complicato del solito, non ho dormito molto stanotte. Mi piacerebbe affermare che si è trattato del sonnellino che ho fatto prima del ritorno di Amos dalla sua serata importante, ma non è così. La vera causa è proprio lui. Volevo iniziare a sciogliere il ghiaccio, a stuzzicarlo un po', e invece sono direttamente passata in prima base e gli ho risposto come si deve.

Se da un lato ho davvero temuto per il lavoro, dall'altro mi sono liberata di un peso enorme, detesto camminare sui gusci d'uovo attorno alle persone. Rispondergli a tono è stato liberatorio.

Non so quali programmi abbiano per la giornata, ma io so di dover tornare a casa perché ho una migliore amica assetata di rabbia, due lavatrici da fare e un sacco di lezioni di yoga da recuperare. Mi piacerebbe rimanere ancora in compagnia dei Wright – già, Amos incluso – tuttavia, ho delle faccende da sbrigare e non posso perdere ulteriore tempo. Dunque, sveglio Colin con più facilità e vado a preparare la colazione. A quanto pare Winona non lavora la domenica.

In cucina trovo Amos Wright seduto su uno sgabello, tazza colma di caffè amaro in mano e tablet nell'altra. Scorgo una seconda tazza sul ripiano e aggrotto la fronte. Ne ha già bevuti due in così poco tempo? Non va bene.

«Dovresti bere meno caffè.»

Lui non distoglie lo sguardo. Figuriamoci. «Il caffè è per te.»

Ecco, questo sì che mi coglie alla sprovvista. Mi avvicino alla tazza ed effettivamente è piena. «Per me.»

«Avanzava. Ma è amaro, non ho idea di come lo prendi» specifica.

Cos'è, pensava che mi sarei commossa al pensiero e gli avrei steso un tappeto rosso? Lo apprezzo, non c'è il minimo dubbio, però non era necessario precisare che avanzava.

Vabbè.

Più tempo passa, più inizio a inquadrarlo. È ancora presto, ma dal punto di vista ciclico, compie più o meno sempre le stesse azioni. Devo pur partire da qualche parte, no? Ecco. Inizierò a conoscerlo meglio dalla sua routine.

«Be', grazie, è stato gentile da parte tua.»

Amos molla il tablet sul ripiano e mi lancia uno sguardo mentre prende un sorso di caffè dalla sua tazza. «Prego.»

«E... giusto per fare conversazione, il caffè lo prendo con due cucchiaini di zucchero e uno di latte.»

Il mio commento cattura la sua totale attenzione. «Troppo zucchero. E un cucchiaino di latte? È ridicolo. Faresti prima a non metterlo, non c'è alcuna differenza.»

Tiro fuori i biscotti di Colin dalla dispensa e arcuo un sopracciglio. «Hai provato per caso? Tu prendi il caffè amaro

«Mi godo il sapore originale, è diverso» ribatte, deciso.

Riempio una tazza vuota con del latte e poi lo zucchero, faccio lo stesso con il mio caffè sotto il suo sguardo disgustato. «Vuoi proprio avvelenarti, altro che» borbotto.

«Continuo a ribadire che tutto quello zucchero non fa bene, dovresti saperlo.»

Certo che lo so, ma papà lo prendeva così ed è l'unica cosa che me lo ricorda in maniera costante. «Prima o poi passerò a un solo cucchiaino» mento.

Lui mi guarda ma non ribatte. Bene.

Prima che possa arrivare Colin, troppo impegnato a sonnecchiare ancora, ne approfitto per domandargli di venerdì.

«Venerdì hai la serata libera, porto Colin dai nonni» asserisce Amos.

A quanto pare i miei piani sono appena saltati.

𝐒𝐞𝐰𝐞𝐝 𝐇𝐞𝐚𝐫𝐭𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora