40. IRIS

23.5K 845 60
                                    

Giunti a casa, Penelope saluta Colin, me e Winona e va via. Desmond è stato risucchiato da un paio di vecchi amici per giocare a bowling e lei ha preferito passare a trovare suo nipote. Mi è sembrata un'ottima idea, e poi, ha potuto ammirare pure i disegni che Colin ci ha mostrato. 

Winona se ne va proprio nello stesso istante in cui Amos mette piede dentro casa. La tensione già presente nel mio corpo si amplifica. Vorrei massaggiarmi da sola e stendere queste spalle rigide, sciogliere un po' i muscoli e scrocchiare collo e schiena. Ma non posso farlo, perciò mi limito a raccogliere i disegni di Colin mentre lui accoglie suo padre.

«Vieni con noi al giardino giapponese giovedì, papà?» gli chiede Colin.

«Te l'avevo promesso, no?» Amos si china per prenderlo in braccio e se lo stringe al petto.

La vista mi riempie il cuore di gioia. Dopo quello che gli ho detto a proposito di Colin ho notato un velo di tristezza negli occhi di Amos e... non mi piace. Non è colpa sua se Ingrid e Arthur hanno detto quelle cose a Colin.

«Non vedo l'ora di dare da mangiare alle carpe, però ho paura di cadere» borbotta Colin.

«Non cadrai, ti tengo stretto stretto» lo rassicura Amos, muovendolo a destra e sinistra con il corpo.

Colin ridacchia e annuisce. «Va bene. Ora mi fai scendere?»

«Giusto.» Amos mette giù Colin che si affretta a raggiungere il divano. Flounder lo segue in silenzio e si sistema ai piedi di Col mentre lo guarda scegliere quali giocattoli prendere per il solito inseguimento.

Amos si disfa del suo cappotto e della ventiquattrore, poi si avvicina all'isola. Fingo di essere ancora indaffarata con i disegni di Colin e tengo lo sguardo basso.

«Possiamo parlare?»

Alzo di scatto il capo e incateno gli occhi a due zaffiri blu. «Adesso?»

«Magari dopo cena» afferma, pensieroso.

«Vuoi che resti qui?» ribatto, sorpresa.

«Se non puoi, va bene. Ho solo pensato che sarebbe stato meglio non farlo con Colin sveglio, per avere più calma» spiega, intento a riempirsi il bicchiere con del succo alla pesca.

«No, va bene, posso restare.»

E così, mi ritrovo a cenare a casa Wright. Colin ne è felice e lo sono anche io, mi è mancato questo fine settimana, ma adesso voglio davvero parlare con Amos, quindi lo convinco ad andare a letto presto per potersi riposare in vista di giovedì. Mancano ancora due giorni, ma a Colin non sembra importare, anzi, sbadiglia e annuisce.

Lo metto a letto e, dopo avergli raccontato una favola, Colin si addormenta. Gli auguro la buonanotte in un sussurro prima di lasciargli un veloce bacio sulla fronte. Accarezzo la testolina di Flounder, sistemato ai piedi del letto, e socchiudo la porta. Quando ritorno in cucina Amos sta sorseggiando del vino bianco, in piedi, davanti all'ampia vetrata.

«Dorme?»

Annuisco. «Come il ghiro che è.»

«Quindi... te ne vai?» domanda, andando dritto al punto. Mi rivolge ancora le spalle, lo sguardo fisso sullo skyline notturno di Seattle. Immagino debba essere rilassante ammirarlo ogni sera, prima di andare a dormire. C'è qualcosa di magnetico nelle luci di Seattle, riescono a catturare l'attenzione anche col minimo movimento. Peccato non sia qui per parlare delle luci, al momento.

«Mi piacerebbe che mi guardassi negli occhi mentre mi parli» affermo avvicinandomi.

Amos si volta, prende un altro sorso di vino e poi molla il tumbler basso sul tavolino. I suoi occhi mi trovano subito; come sempre, del resto. Che mi osservi con disprezzo, desiderio, fastidio o persino un pizzico di curiosità, lo fa all'istante. Non posso sfuggirgli e... francamente, non credo nemmeno di volerlo fare.

𝐒𝐞𝐰𝐞𝐝 𝐇𝐞𝐚𝐫𝐭𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora