26. AMOS

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Sono poche le volte in cui sono rimasto senza fiato in vita mia. La prima è stata un giorno che ho smesso di ricordare da parecchio tempo, la seconda quando ho stretto Colin appena nato tra le braccia, la terza quando ho versato lacrime silenziose, da solo, alle due del pomeriggio, in camera da letto.

Stavolta, però, è Iris Thomson, la babysitter di mio figlio che mi coglie del tutto alla sprovvista. Aggraziata ed elegante, riesco a scorgere solo la parte inferiore del suo abito lungo. Cammina sui tacchi vertiginosi come se stesse indossato un paio di pantofole e la cosa mi stupisce. L'ho vista inciampare un paio di volta a casa, di conseguenza ho sempre pensato che fosse un po' maldestra, figuriamoci se capace di destreggiarsi sui tacchi con tanta semplicità.

Se c'è una cosa certa, tra tutte, è proprio il fatto che Iris Thomson mi stia rimettendo a posto senza nemmeno saperlo. Non ha bisogno di parole, lei agisce e basta, dimostrandomi ogni santa volta come mi sbaglio su di lei. Come ho già detto, sono abbastanza uomo da ammetterlo.

Se da un lato la cosa mi disturba, perché avrei tanto voluto avere ragione e appigliarmi a tutti questi dettagli per tenerla lontana, dall'altro mi eccita.

E lo so che mi sono ripromesso di non fare pensieri impuri su di lei, lo so che non può esserci niente, lo so dannatamente bene, ma come faccio a non immaginarla distesa sui sedili della mia auto, con le gambe strette attorno al mio bacino mentre la prendo ripetutamente e le faccio gemere il mio nome?

Merda.

Ho bisogno di pensare ad altro. Non posso farmi trovare con un'erezione mentre entra in macchina.

Mamma. Papà. Ingrid. Arthur. Winona.

Respiro.

Lei compie un altro passo, quasi arrivata alla macchina.

Ingrid. Arthur. Winona. Mamma. Papà.

Va meglio.

«Ehi» mi saluta Iris una volta seduta.

I capelli sono stretti in una coda alta e liscia, il trucco è molto semplice, raffinato, rende persino più eleganti i tratti delicati del suo viso giovane.

«Ehi» ricambio il saluto e mi affretto a mettere in moto.

«Dove si terrà il gala? Ho dimenticato di chiedertelo.»

«Al Four Seasons. Prendendo dalla First Ave, ci mettiamo cinque minuti, traffico permettendo» replico mentre svolto a destra proprio per raggiungere la strada menzionata.

«Wow. Non ci sono mai stata. Com'è?»

Le lancio un'occhiata veloce. «Grande. Lussuoso. Bella vista.»

«Mmh. Insomma, come mi aspettavo. Bene.»

Il resto del tragitto trascorre in silenzio. Arrivati all'entrata, lascio le chiavi dell'auto al primo valletto che vedo e aiuto Iris a scendere. Per fortuna, non sembrano esserci paparazzi appostati, ma è raro che si facciano vedere così presto, preferiscono sempre stare nascosti nei dintorni, in attesa di un qualsiasi passo falso.

Poggio una mano sulla parte inferiore della schiena di Iris e la guardo. Con i tacchi è alta quasi quanto me. «Va bene?»

Lei annuisce piano, ma non emette fiato.

Averla così vicino è strano, parecchio strano. La schiena è coperta, ma riesco a percepire il calore che emana la sua pelle anche attraverso il cappotto che indossa. A proposito di cappotti, lasciamo i nostri alla reception e ci avviamo verso l'ascensore. Iris si irrigidisce, ma continua a camminare. Quando entriamo, premo il bottone dell'ultimo piano e la guardo.

𝐒𝐞𝐰𝐞𝐝 𝐇𝐞𝐚𝐫𝐭𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora