54. IRIS

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Avrei dovuto essere davvero felice qualche sera fa, mi sarei dovuta concentrare su Colin e ignorare il tumulto di sentimenti che tengo nel cuore. E l'avevo fatto per un po'; avevamo tagliato la torta, scattato le foto e aperto i regali. Colin non si era nemmeno reso conto di non aver parlato con i nonni materni. La serata era proseguita in totale serenità, anche al tavolo.

Poi ero tornata a casa e avevo pianto tutte le mie lacrime perché sono una perfetta idiota. Una bugiarda. Un'illusa che pensava di farla franca.

E invece ho ceduto.

Il cuore ha vinto la lotta feroce con la testa ed essa si è arresa, crollando miseramente ai suoi piedi.

Mentre Amos Wright mi informava di desiderare più di ogni altra cosa sua moglie, io lo guardavo negli occhi e ammettevo a me stessa di essermi innamorata di lui.

Una cosa malata, eh? Una barzelletta. Una presa in giro a tutti gli effetti.

«Anche io sono ferito, Iris, cazzo» sbotta. «Anche a me manca mia moglie più di ogni altra cosa, ma ciò non vuol dire che abbiano il diritto di comportarsi in quel modo. Né con me, né con te.»

Mi sono ripetuta queste parole un migliaio di volte, anche quando Prim mi stringeva a sé tentando di consolarmi. Ho sentito quel "te l'avevo detto" fin dentro le ossa. È solo che lei, da meravigliosa amica qual è, non l'ha espresso a voce alta. Giusto per non peggiorare le cose.

Ho trascorso tutta la domenica a mandare curriculum ovunque, nella speranza di riuscire a ottenere un riscontro. Ho bisogno di cambiare scenario, di stargli vicino il meno possibile.

Non c'è la minima speranza che possa cambiare qualcosa tra di noi ed è meglio che l'accetti il prima possibile. È già un disastro così.

«Lugnello del mio cuore, vado in banca direttamente dall'ospedale dopo pranzo. Non preparare anche per me, d'accordo?»

Annuisco e indosso la giacca. «Va bene. Avvisami quando hai finito, okay? Ti vedo più stanca del solito e non mi piace saperti al volante.»

Lei mi schiocca un bacio sulla guancia e raggiunge la porta. «Ti avviso, come sempre. Buona giornata, bellezza!» esclama prima di chiudersi la porta alle spalle.

Recupero il cellulare in camera, spruzzo un po' di profumo e vado anch'io. Siamo già al dieci di aprile, sembra incredibile come sia volato il tempo, eppure non rimpiango nulla. Mi piace che le giornate siano più lunghe e calde, finalmente gli alberi sono in piena fioritura e l'erba è più verde che mai.

Forse questo giovedì porterò Colin all'Arboretum, magari facciamo un picnic lì. E, per la prima volta, spero con tutta me stessa che Amos sia impegnato e non possa raggiungerci.

Raggiungo casa Wright dopo una quindicina di minuti, saluto Winona già ai fornelli, intenta a preparare la colazione, e rivolgo un cenno veloce ad Amos prima di filare dritta in camera di Colin. Intrattenere una conversazione, seppur breve, con lui non è nei miei piani.

Svegliarlo è il mio momento preferito della giornata; Colin mi si accoccola addosso e lo cullo per qualche minuto prima di portarlo a fare colazione.

«Come si sente il mio ghiretto?» Gli accarezzo la schiena mentre lui sbadiglia e affonda il viso nel mio petto.

«Stanco.»

Sbuffo una risata e annuisco. «Cos'è, sei già diventato un vecchietto per caso?»

«No», mugugna, scostandosi per potermi guardare, «ho sonno» si strofina gli occhi.

Gli allontano un paio di ciocche più lunghe dal viso e gli inclino il mento così da lasciargli un bacio in fronte. «Lo so, tesoro. Forza, andiamo a fare una bella colazione e poi un bagnetto veloce.»

𝐒𝐞𝐰𝐞𝐝 𝐇𝐞𝐚𝐫𝐭𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora