31. IRIS

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Significa che ti voglio scopare, Iris.

Significa che ti voglio scopare.

Mi vuole...

Maledizione!

Scaccio via le coperte con le gambe e stringo le mani in due pugni mentre tempesto il materasso di colpi.

Come può dirmi una cosa del genere e andarsene? Il modo in cui mi ha guardata, il modo in cui mi ha toccata la sera del gala... non mentiva. Mi vuole davvero.

Forse crede che sia io a non volerlo? Ma come può pensare una cosa simile dopo quello che gli ho lasciato fare sabato? C'è mancato poco che gli saltassi addosso in ascensore! No... non posso arrovellarmi il cervello in questo modo. Ho bisogno di risposte concrete.

Armata di un momentaneo coraggio dettato dalla frustrazione sessuale, mi alzo e, stretta nel mio pigiama con le iguane stampate sopra, apro la porta e filo verso la sua stanza. Non busso nemmeno, faccio irruzione come se ne avessi il diritto e ammettiamolo, un po' è così. Ho il diritto di sapere, di pretendere delle risposte sensate.

Amos scatta a sedere, preso in contropiede dalla mia invasione del suo spazio personale. Non ha lo sguardo assonato, suppongo fosse sveglio anche lui.

«Iris? Che accidenti ci fai qui? Sono le tre del mattino» ringhia, passandosi poi una mano tra i capelli.

Ma sì, sistemiamoci i capelli mentre Iris sta avendo un esaurimento nervoso e ormonale.

«Hai detto che volevi... portarmi a letto» evito di usare il termine 'scopare' giusto per educazione. «Bene. Eccomi qui» allargo le braccia. «Facciamolo.»

Amos mi osserva, imperturbabile, e si alza con calma dal letto, mi raggiunge con passo felino, come se mi stesse studiando, poi si piazza faccia a faccia con la sottoscritta.

Ha intenzione di baciarmi? Di stravolgermi con un bacio passionale? Ho bisogno di prepararmi mentalmente a un attacco erotico del genere, i miei ormoni possono accusare un colpo alla volta.

«Vuoi che ti scopi» ripete lentamente, un po' come se stesse assaporando il sapore delle sue parole.

Stringo le braccia al petto. «Be', sì.»

«Adesso.»

«Non sapevo di dover prendere appuntamento. Se sono qui, tu che dici? Certo che lo voglio adesso» sbuffo, stanca di reprimere la frustrazione sessuale che mi pervade.

«Mettiamo in chiaro un paio di cose: prima di tutto, bussa prima di entrare, potevo essere impegnato.»

Impegnato a fare cosa? Giocare a scarabeo? O forse... toccarsi? Un brivido corre giù per la schiena al pensiero di Amos Wright, nudo sul suo letto, mentre si tocca con calma, gustandosi ogni spasmo di piacere che la sua mano gli procura.

«Poi, ti avverto che scopo e basta. Niente baci, niente coccole, niente conversazioni profondi nel bel mezzo della notte.»

Le sue parole grezze mi fanno tornare alla realtà, scioccandomi da cima a fondo. «Niente baci? Proprio... zero?» Posso rinunciare alla bocca - con grande dolore - ma non al resto. «Cioè, niente collo, corpo... punto in mezzo alle gambe che ha bisogno di tanta, tanta attenzione?»

Lo sguardo di Amos si accende, famelico e carico di passione. «Solo la bocca. Mi piace moltissimo baciare il resto, te l'assicuro.»

«Posso farmelo andare a bene» annuisco piano.

Amos annuisce, non fiata. Allunga una mano nella mia direzione e mi sfiora il polso. La fa risalire fino all'avanbraccio, sotto al tessuto della maglietta, e torna giù. Compie un passo verso di me, annullando qualsiasi tipo di distanza e torreggiando sul mio corpo. Lambisce l'orlo della maglia, strofinandolo tra le dita, e fa risalire il tessuto lungo i fianchi, le costole, il petto... quando mi libera dalla maglia del pigiama compie un passo indietro per potermi ammirare; i suoi occhi saettano sui seni pallidi, i capezzoli già eretti a causa dei brividi che il suo tocco mi ha causato.

𝐒𝐞𝐰𝐞𝐝 𝐇𝐞𝐚𝐫𝐭𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora