20. AMOS

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Colin è entusiasta all'idea di uscire fuori a cena. Ha assillato Winona per tutto il tempo, dal momento in cui è entrato in casa fino a quando non è andata via.

Purtroppo, non andiamo spesso a cena fuori. Lui è piccolo, io lavoro parecchio e torno a casa stanco. Vedere l'entusiasmo di mio figlio alle stelle mi porta, però, a pensare di dover cambiare questo aspetto della nostra vita.

Colin, come già accennato, non mi ha mai fatto pesare il lavoro, gli eventi, le notti in ufficio o le giornate in compagnia delle babysitter. Nonostante la sua tenera età, non si è mai lamentato.

Eppure, adesso che lo vedo così elettrizzato all'idea di uscire fuori per una semplice pizza insieme a me e Iris, capisco che mio figlio mi sta proteggendo. A soli quattro anni, preferisce non disturbarmi con richieste come queste perché sa che acconsentirei anche se sono stanco e non vuole vedermi così.

Il mio cuore si riempie di emozioni contrastanti che battono solo per lui. L'amore della mia vita mette davanti il mio riposo al suo divertimento. Cristo... non posso credere di aver accantonato questa fetta importante del nostro rapporto.

Uscire, svagarsi, non deve essere solo qualcosa di concordato – come la domenica al parco – ma di spontaneo. Io e Colin non usciamo mai spontaneamente. Seguiamo un'agenda invisibile che sono costretto a portarmi dietro a causa del lavoro.

Colin non ha mai chiesto di essere portato al cinema, alle giostre, in vacanza... mai. Ha quattro anni, è piccolo, questo è vero, ma ciò non significa che non capisca niente di quello che gli accade intorno. Anzi, è tutto il contrario. Proprio per questo dovrei spronarlo a uscire di più, a farlo insieme.

Ha dovuto pensarci Iris a portarlo fuori. Così come è stata sua l'idea di portarlo in cerca di scoiattoli. Di costruire un fortino in soggiorno la scorsa settimana. Di regalargli un set di matite colorate e un album da disegno.

Ho il cuore dolorante.

Amo mio figlio con tutto me stesso, farei di tutto per lui, eppure... sembra che non me ne freghi un accidenti della sua vita, dei suoi interessi. Non mi impegno abbastanza per renderlo il più felice possibile.

Ma che razza di padre sono?

Inghiotto il nodo in gola e osservo Colin ridere in compagnia di Iris, seduta al mio fianco. È molto bella stasera, nonostante indossi qualcosa di molto semplice. Pantaloni neri a zampa d'elefante – si chiamano così, no? – una camicia bianca e sopra ad essa un gilet di lana nero. Cappotto bianco e stivaletti.

Sta bene.

E questo l'ho già detto.

«Ris, mi fai sentire quella canzone che mi piace tanto?» chiede Colin, dal suo seggiolino.

Iris tira fuori le cuffie wireless dalla borsetta e gliele passa. «Pronto?»

Qualche secondo dopo Colin esclama: «Pronto!»

Iris preme qualcosa sul suo cellulare, poi una musica lontana arriva dalle cuffiette che indossa Colin.

«Ehi» mi richiama Iris. «Va tutto bene? Se non te la sentivi, avrei potuto portarcelo da sola, sai?»

Aggrotto la fronte. «Sto bene.»

Iris annuisce piano e torna a fissare il paesaggio di fronte a sé.

Strano, pensavo avrebbe ribattuto con una delle sue frasi impertinenti.

Stringo i denti e avanzo nel dannato traffico.

Sono irritato.

Avrei dovuto avere io l'idea di portarlo a mangiare una pizza fuori. Io a costruire un fortino con lui. Io a regalargli un album da disegno, sapendo quanto ami colorare.

𝐒𝐞𝐰𝐞𝐝 𝐇𝐞𝐚𝐫𝐭𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora