21. IRIS

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La serata da Pizzeria Credo si rivela davvero piacevole. È Colin a trainare la conversazione e farci ridere. Amos, come sempre, commenta ogni tanto qualcosa e aiuta Col a non sporcarsi di sugo.

A fine cena, Colin chiede il dessert e, per quanto mi piacerebbe acconsentire, sono già le dieci e mezza e l'ora della nanna è passata già da un bel pezzo.

«Ma non è giusto. Io volevo il gelato» sbuffa Colin, tra le braccia di Amos.

«Ghiro, sta nevicando. Se vuoi il gelato ti basta aprire la bocca e mangiare la neve» scherzo, seguendoli.

«Davvero?!» Colin apre la bocca.

«No, sciocchino! Stavo scherzando» sbuffo un'altra risata.

Amos sospira e si sistema meglio Colin in braccio. «Tieni la bocca chiusa, tesoro, non voglio che ti ammali.»

«Hm-hm.» Colin serra le labbra e annuisce.

Una volta giunti in macchina, ringrazio chiunque abbia inventato i riscaldamenti e sistemo meglio il cappotto.

Il viaggio di ritorno è silenzioso, fin troppo. Realizzo il perché solo quando mi rendo conto del leggero russare di Colin. Così infagottato sembra un cucciolo che riempirei di baci e carezze. Non smetterò mai di dirlo: è adorabile.

«Ci penso io» bisbiglio appena giungiamo al parcheggio.

Amos annuisce, mi cede le chiavi dell'auto e prende Colin in braccio.

Blocco la macchina e raggiungo i due Wright in ascensore.

Le porte si chiudono alle mie spalle, così mi affretto a sistemarmi spalle al muro e rivolgo l'attenzione al piccolo ghiro ronfante tra le braccia del padre.

Alzo lo sguardo per un attimo e rimango sorpresa quando trovo quello di Amos già su di me. So che mi sta osservando a causa dell'ascensore, ma non impazzirò come l'ultima volta. Dovrebbe darmi un po' più di fiducia, santo cielo.

Arcuo un sopracciglio. «Cosa?»

Le porte dell'ascensore si aprono, facendomi sospirare di sollievo. Apro la porta e lascio entrare i due, poi me la chiudo alle spalle. Ho necessario bisogno di disfarmi di questi indumenti e indossare il mio pigiama caldo, poi di struccarmi e filare a letto.

Amos sparisce nel corridoio, io ne approfitto per liberarmi degli stivaletti e darmi una rinfrescata. Come prima cosa, mi cambio. Soddisfatta del mio pigiama comodo e morbido, stringo i capelli in uno chignon disordinato e recupero lo spazzolino dalla borsa. Infine, mi dirigo in bagno.

Ora che ci penso, mancano otto giorni all'evento in cui sono stata incastrata. So solo che si tratta di un gala di beneficenza, nient'altro. Di preciso, non so come mi sia tornata in mente una cosa del genere, eppure è così.

Il panico mi avvolge; dicevo sul serio quando ho affermato chiaramente che non so ballare. Forse dovrei inventare una scusa dell'ultimo minuto? O essere onesta e affrontare la cosa? Insomma, gli ho detto che sarei andato con lui come favore, non sarebbe affatto carino dargli buca. Sì, nonostante si tratti di Amos.

Mentre lavo i denti penso a una possibile soluzione. Chiedere aiuto a Prim è fuori discussione. La poveretta ha turni lunghissimi ultimamente e quando torna a casa dorme e basta. Non mi va di stressarla con i miei problemi insignificanti.

Ma allora come faccio? Mi sentirei una completa idiota a ballare da sola nel soggiorno. Per non parlare del fatto che trascorro quasi tutto il tempo dai Wright, ritagliarmi un po' di spazio per esercitarmi è complicato.

Finisco di lavare i denti e raggiungo la cucina per recuperare una bottiglietta d'acqua. Scorgo Amos proprio davanti al frigo, una bottiglia in mano e un bicchiere nell'altra.

Rendo nota la mia presenza schiarendo la voce. Amos mi rivolge un'occhiata, una lampadina si accende, poi si fulmina e si riaccende nella mia testa. E se... mi ha cacciata lui in questo guaio, no? Allora dovrà essere lui a tirarmene fuori.

«Devo chiederti un favore che non potrai rifiutare.»

«Stai facendo un'imitazione pietosa de Il Padrino?» ribatte, fissandomi.

«No», ribatto, infastidita. «Devi insegnarmi a ballare.»

Un alone di stupore gli balena sul viso. «Come, prego?»

«Ondeggiare, ballare, chiamalo come ti pare. Hai deciso di portare me? Bene, insegnami. Non ho alcuna intenzione di fare una figuraccia davanti a tutta quella gente» proferisco, decisa, mentre stringo le braccia al petto.

È solo quando noto il suo sguardo abbassarsi sul mio petto che realizzo il pigiama che indosso, e soprattutto, il fatto di essere senza reggiseno.

A mia immensa discolpa, non credevo lo avrei beccato, ero convinta che sarebbe sparito nella sua tana. Invece adesso mi sta di fronte e sposta gli occhi dalla testa ai piedi della sottoscritta con espressione... neutra.

Non traspare niente, ma so che tra poco verrà fuori il disgusto. Perché? Semplice. Sfoggio il mio pigiama preferito in pile della Disney. Le facce giganti di Chip e Chop si trovano ad altezza tette e poi tanti piccoli scoiattoli e alberelli sui pantaloni.

Il silenzio regna sovrano mentre le guance si riscaldano e la sua attenzione rimane fissa sulle teste degli scoiattoli.

Insomma, Amos continua ad occhiarmi le tette, io fisso lui.

«Quindi?» domando dopo qualche altro secondo di silenzio.

«Questo è il tuo pigiama» riflette a voce alta, ignorando la mia domanda.

«Già. Cos'ha che non va?» chiedo, pur sapendo l'ovvia risponda.

«Non c'è bisogno di rispondere, parla da sé. Non mi stupirei nemmeno se mi dicessi che ne hai un'altra decina con delle iguane stampate sopra.»

Non ribatto, lo fisso e basta.

«Dannazione. È così, vero?» mi guarda.

Annuisco. «Senti, mi piacciono, va bene? Fattene una ragione. E adesso rispondi alla mia domanda. Mi insegni? Solo le basi, per favore.»

Amos rilascia un profondo respiro, si passa una mano tra i capelli e, scioccandomi da cima a fondo, mi afferra la mano.

Pensavo che in quasi un mese che lavoro qui non avrei mai toccato Amos Wright, se non per stringergli la mano in segno di saluto. Adesso, invece, mi ritrovo ad aver avuto un contatto con lui più di una volta in solo qualche ora.

Ieri sera, dopo esserci sistemati accanto a Colin, ho seguito il cartone per cinque minuti – o almeno, credo fossero cinque – poi sono stramazzata sulla spalliera del divano e mi sono risvegliata il mattino dopo nel letto della stanza degli ospiti. Ora, è chiaro che non sono sonnambula, che Colin o Flounder non abbiano la capacità di trascinarmi fino alla camera, quindi rimane una sola persona che ieri mi ha presa in braccio e mi ha messo una coperta addosso. Amos.

Non l'ho ancora ringraziato. Avrei potuto mentre gli medicavo la scottatura, questa mattina, ma non ho avuto il coraggio di guardarlo negli occhi sapendo che lo stavo toccando.

I miei ormoni possono tollerare una cosa alla volta.

Lui non ha commentato la vicenda, perciò abbiamo entrambi fatto finta di niente e abbiamo continuato con la nostra giornata.

Ammetto che avrei voluto essere cosciente, sentire il suo calore vicino, il suo profumo inebriante... invece sono praticamente svenuta tra le sue braccia. In più, nessuno mi assicura che non gli abbia sbavato la camicia costosa. Non voglio pagare la lavanderia per una macchia di bava.

Scuoto il capo e riporto l'attenzione su di lui.

«Vuoi ballare?» Mi scruta con attenzione. «Balliamo.»

𝐒𝐞𝐰𝐞𝐝 𝐇𝐞𝐚𝐫𝐭𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora