43. IRIS

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Si potrebbe pensare che le cose siano diventate terribilmente imbarazzanti dopo averlo avuto così vicino, ma no, Amos si è scostato e ha ripreso a camminare, io al suo fianco.

Il laghetto dove si trovano le carpe Koi dovrebbe essere nelle vicinanze secondo la mappa. Colin non fa altro che ripetere che vuole dar loro da mangiare quindi abbiamo optato per dirigerci direttamente lì e poi continuare con il giro.

Frugo nella borsa alla ricerca del mangime per pesci mentre Amos risponde a una veloce e-mail. Finalmente lo trovo. Sorrido soddisfatta e alzo il capo per informare Colin. Sgrano gli occhi quando lo vedo al centro di un piccolo ponticello, sarà alto mezzo metro e sotto c'è del terreno. Non c'è rischio, eppure il mio cervello va in corto circuito.

«Colin! Colin, vieni via da lì, per favore!» esclamo, allarmata.

Io posso anche riuscire a superare l'ansia che mi attanaglia ogni singola volta, ma vedere Colin lì sopra? Vedere il mio bambino da solo, su un dannato ponte? No, non se ne parla nemmeno.

«Cosa?!» chiede ridacchiando. È poco più lontano, non mi sente bene.

«Iris.» Amos mi richiama, ma lo ignoro.

«Scendi dal ponte, Colin!» dico a voce più alta. «Oh, al diavolo. Vado a prenderlo!»

«Iris.» Amos mi afferra il braccio, fa scivolare una mano sul lato del mio collo, preme delicatamente sulla carotide, percependo il battito accelerato del mio cuore. «Calmati. È al sicuro.»

«Ris, papi, ci sono le carpe!» strilla Colin, ignaro del panico che inizia a serpeggiarmi ovunque. Sento già il sudore formarsi alla base del collo.

«Amos. È su un dannato ponte. Non è al sicuro» ribatto, tentando di spostare lo sguardo in direzione di Colin.

«Non cadrà e sotto di lui c'è il terreno. Il massimo che può accadere è che si sbucci un ginocchio. Calmati. Respira» mi ordina, pacato.

Tento di fare come mi dice ma questo è peggio di stare rinchiusa in una scatola metallica sospesa tra un piano e l'altro. Qui c'è in ballo la vita di Colin e... non posso permettere che gli accada nulla.

«Lo capisco quello che senti, davvero» mormora guardandomi dritto negli occhi, «ma Colin starà bene. Non è in pericolo. Fidati» stringe piano il collo, senza farmi male. Anzi, è una stretta rassicurante.

«Scusa» bisbiglio. «Scusami, Amos» scuoto piano il capo, lo sguardo rivolto verso il basso e le mani strette in due pugni. «Ti avevo assicurato che non sarei andata nel panico e adesso guardami.» La vista si vela di lacrime. Mi sento così stupida.

Amos rilascia un piccolo sospiro, poi scosta la mano dal mio collo e la incastra alla mia. Aggrotto la fronte e osservo le nostre dita intrecciate mentre Amos mi trascina in direzione di Colin.

«Col, vieni via da lì. Spostiamoci dall'altro lato» dice Amos. «Le carpe si vedono meglio.»

«Va bene!» sorride entusiasta.

Con la mano libera mi affretto a scacciare via le lacrime, poi prendo un bel respiro e osservo con estrema tensione Colin che scende dal ponte e si avvicina a noi. Non ci penso due volte a lasciare la presa di Amos e correre in direzione del mio ghiro. Colin strilla euforico mentre lo prendo in braccio e me lo stringo al petto. Per lui deve essere un gioco, crede che stia scherzando, ma la verità è che sentivo il bisogno di averlo vicino e assicurarmi che stesse bene.

«Diamo da mangiare alle carpe insieme?» domanda Colin. «Ris!» mi richiama divertito quando non mi scosto.

«Sicuro.» Gli sorrido e lo metto giù.

𝐒𝐞𝐰𝐞𝐝 𝐇𝐞𝐚𝐫𝐭𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora