13. IRIS

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«Be', buongiorno» sbuffo una risata, lo sguardo sull'ammasso di coperte e valigie attorno al divano.

A quanto pare la mia migliore amica si è appena trasferita nel mio appartamento. Da... ieri sera, ne deduco.

«Spegni la luce» bofonchia Prim, la testa sotto al cuscino improvvisato.

«Certo, fammi domandare al sole se può prendersi ancora un paio d'ore di vacanza solo per non disturbarti» sghignazzo. «Alzati, dormigliona, ho preso la colazione.»

In origine, le due ciambelle glassate al cioccolato con noccioline sopra erano per me, un premio con cui festeggiare il botta e risposta avuto con Amos Wright. Tenergli testa è stato rigenerante, ma di sicuro faticoso.

«Che si mangia?» gracchia, adesso seduta. I capelli arruffati davanti al viso e la felpa caduta da un lato che le lascia una spalla scoperta. Sembra una barbona a tutti gli effetti.

«Ciambelle e caffè.»

«Mmh, quelle al cioccolato, vero?» sbadiglia mentre stiracchia le braccia.

«Mi conosci. Allora, devo chiamarti ufficialmente coinquilina?» chiedo, intenta a preparare il caffè fresco.

Ne avevo lasciato un po' nella moka sabato mattina. Disgustoso, lo so, lo so, ma dovevo buttarlo prima di andare via, solo che mi è totalmente passato di testa e così eccoci qui.

«Sì», risponde Prim mentre raggiunge il tavolo e prende posto. «Mi sono stufata di vivere in quello stupido appartamento, ho preferito mollare tutto e fare le valigie. È un problema per te? Posso trovare qualcos'altro.»

Scuoto il capo. «No, a me fa solo piacere.»

Prim sospira e mi ringrazia quando le porgo una tazza colma di caffè. «Lo so, ma avevamo concordato per fine febbraio e adesso eccomi qua.»

La spintono piano. «Piantala, non c'è problema.»

«Grazie, Lu.»

«Smettila di chiamarmi in quel modo o ti sbatto fuori» le punto un dito contro prima di mordere la ciambella che reggo in mano.

«Primo: non puoi sbattermi fuori perché da questo momento pago anche io l'affitto. Secondo: non posso smettere, Lugnello è un nome davvero adorabile e ci ho messo una vita per trovarne uno che ti si addicesse» spiega, serietà nel suo tono.

Rilascio un profondo sospiro e la spintono di nuovo. «A che ora sei arrivata?»

«Intorno alle tre, tre e mezza. Ho finito il turno in ospedale e sono passata a recuperare le valigie, poi ho mollato tutto lì davanti, come hai potuto notare, e sono crollata. Ero distrutta.»

«Ti capisco» le stringo la mano. «Oggi hai la giornata libera? Possiamo fare yoga, poi una bella pedicure e ordinare cinese. Che ne dici?»

«Amen, sorella. Dobbiamo aggiornarci su tante cose. Ma non farò yoga e nemmeno tu, tanto rischi solo di romperti l'osso del collo. Dovresti piantarla.»

Mando giù il boccone e la fulmino con lo sguardo. «Se ben ricordo, tu eri quella che non riusciva a fare un prelievo in modo decente. Ci hai impiegato due anni prima di riuscire a essere una vera esperta. Vale lo stesso con lo yoga.»

«Mi allenavo sui manichini ed era sangue finto, non facevo del male a nessuno. Tu rischi di morire ogni volta che provi la posizione del cammello e questo la dice lunga» mi fissa.

«Sono scivolata una volta perché avevo messo male la mano!» mi difendo.

«Ah, sì? E quando hai tentato la posizione della locusta e hai sbattuto tre volte il naso? Hai sanguinato, Ri» sghignazza, totalmente divertita dalla mia inabilità.

𝐒𝐞𝐰𝐞𝐝 𝐇𝐞𝐚𝐫𝐭𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora