Quel pomeriggio, le infermiere mi dissero che Jesse era crollato nel sonno dopo aver finito la terapia. Dissero che era uno degli effetti collaterali dei farmaci che stava provando, di non preoccuparmi troppo anche se non lo vedevo reattivo.
Io entrai nella sua stanza a passo lento, aprii la porta attenta a non fare rumore, quando l'odore inconfondibile di feci e urine mischiate insieme mi allagò i polmoni, in un istante così rapido da lasciarmi ferma sulla soglia d'ingresso.
Jesse dormiva profondamente e all'altezza delle sue gambe le lenzuola si erano imbrattate della sua stessa pipì, con la diarrea fresca che ne macchiava il bianco pallido come un lago di fango.
Corsi verso di lui e mi affrettai a urlare per chiamare le infermiere, lo guardai in viso e mi accorsi che ancora non si era svegliato. Provai a dire il suo nome: «Jesse, Jesse, Jesse!»
Lui schiuse appena gli occhi, mi guardò, ma non lo fece davvero, aveva le pupille dilatate e sembrava osservare qualcosa oltre le mie spalle, uno spettro che nessuno in quella stanza riusciva a vedere. «Jesse, mi senti?» Gli carezzai la guancia e mio fratello sospirò.
«Callisto?» sembrava confuso, come se non fosse in grado di distinguere più la realtà dal mondo dei sogni. Si guardò un attimo, guardò ciò che aveva tra le gambe, e reclinò la testa sul cuscino, lanciando una bestemmia che rimbombò tra le pareti della stanza. «Io non... la pipì... io non...» Biascicava, le parole scivolavano impastate dalla bocca.
Le infermiere arrivarono l'attimo dopo, pronte a ripulirlo. «Posso farlo io» dissi loro. «L'ho già fatto, posso-»
«No» udii Jessie sussurrare. «No... vanno bene loro... Tu... libera, devi essere... libera...» Una di loro si mosse e lo aiutò a sollevarsi e a scendere dal letto; a vederlo camminare era evidente che non si sentiva più forza nelle gambe, perché si piegavano ad ogni passo in maniera scomposta, come se le ossa non riuscissero più a restare legate tra loro.
Ci vollero venti minuti perché riuscissero a ripulirlo, lo portarono nel bagno con rapidità e misero nuove lenzuola sul letto. Io aprii tutte le finestre per far cambiare l'aria, sapevo quanto umiliato si sarebbe sentito se avesse annusato ancora quell'olezzo.
Quando ritornò, addosso aveva uno dei camici che forniva gratuitamente la clinica, celeste e dai bordi neri, e l'aria di uno che ancora non riusciva a prendere piena coscienza di sé. Si sdraiò sul letto con versi intraducibili, biascicando parole di una lingua sconosciuta, le palpebre che tremavano ad ogni respiro.
Le infermiere controllarono un'ultima volta i suoi segni vitali, prima di lasciarci soli. Io mi misi al suo fianco, presi la poltrona per i visitatori e la spostai accanto al letto, e Jesse mi guardò con uno strano sorriso sulle labbra, quasi ebbro.
«Ho pisciato e cagato sul letto» sussurrò con voce flebile, «forse ho di nuovo due anni.»
«Non è la prima volta che succede» gli ricordai e la mia mano andò subito a cercare la sua, ne strinse le dita con forza. «Avrei potuto pensarci io, davvero.»
«La tua reputazione... da adolescente ribelle... ne risentirebbe.»
Ridacchiai, anche in quello stato brillo provocato dalle medicine, continuava ad essere se stesso, e di questo ne ero così grata da non poterlo descrivere a parole. «Quando ti troverai il ragazzo...» balbettò ancora, «non voglio che tu gli dica... che l'unico pisello che hai mai visto... è il mio.»
Mi tremarono le spalle, le labbra arcuate. «Potrei metterlo sul mio curriculum, però.»
Era evidente che ogni parte del corpo gli doleva, perché impiegò un bel po' di tempo solo per inclinare il capo sul cuscino e guardarmi negli occhi. «Professione: pulisco il culo... di merda... di mio fratello» gracchiò, e venne travolto da un'altra risatina.
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Apologia di Callisto - COMPLETA
Literatura Feminina"Per stare accanto alla persona che più ami al mondo, cosa saresti disposto a fare?" Mentirle. "Se dovessi scegliere tra la tua libertà o la sua salvezza, cosa sceglieresti?" La sua salvezza. Da sempre e per sempre. **** Jesse e Callisto sono fratel...